Il magnate ed ex ministro Bennett ha trovato un accordo di unità nazionale con il centrista Lapid
E’ caduto il “re”. A più di dodici anni dal primo incarico da premier, Benjamin Netanyahu non sarà più presidente. Un epilogo ormai inevitabile dopo che l’ago della bilancia delle ultime elezioni, il leader di Yamina, Naftali Bennett, anche lui di estrema destra, ha annunciato che formerà “un governo di unità nazionale con Lapid per far uscire Israele dalla voragine”. Dura la reazione di Netanyahu che ha attaccato il suo ex ministro della Difesa: “Bennett vi imbroglia, questa è la truffa del secolo“.
Il leader del partito conservatore e nazionalista ha deciso di mettere la parola fine sul lungo dominio politico del Likud che ha caratterizzato l’ultimo decennio della storia di Israele scegliendo di abbracciare il progetto di un governo anti-Netanyahu formato da movimenti per certi versi quasi opposti tra loro, accomunati dalla volontà di rompere con la gestione del premier uscente. Dopo l’ennesimo fallimento politico di Netanyahu che stava governando con l’ex capo di Stato Maggiore Benny Gantz, il Paese rischiava di tornare alle urne per una quinta volta nell’arco di due anni. Uno scenario inammissibile. Ecco quindi che Naftali Bennet ha trovato un accordo con il “centrista” Yair Lapid nonostante le “diversità”, come ha sottolineato lo stesso Bennett, “ma siano intenzionati a trovare l’unità. Lapid è molto maturato”.
Il premier uscente però non ci sta e ha tentato di evidenziare le incongruenze nel comportamento dell’ex alleato: “Aveva detto in campagna elettorale che non avrebbe appoggiato Lapid, di essere un uomo di destra, attaccato ai suoi valori. Naftali, i tuoi valori hanno il peso di una piuma". Ha poi accusato Bennett di aver fatto “molte giravolte”: “L’unica cosa che gli interessa è fare il premier. È scandaloso che con 6 seggi si possa fare il premier. Gli israeliani che mi hanno scelto con 2 milioni e mezzo di voti volevano me come premier”.
Il leader di Yamina aveva già ripetuto più volte di voler evitare che il Paese “scivolasse in una quinta elezione consecutiva in poco più di due anni”, una possibilità che aveva definito la peggiore possibile. Ma trovare un accordo non è stato così semplice: il primo confronto è avvenuto con lo stesso Netanyahu. Dialogo che era però terminato con un nulla di fatto. Stessa sorte toccata al primo confronto con Lapid, al quale, nel bel mezzo di quanto accaduto a Gerusalemme nelle scorse settimane e quindi l’escalation di Gaza, aveva contestato la volontà di inserire nella squadra di governo anche i partiti arabi. Quando tutto sembrava orientato verso il quinto voto in due anni, però, è arrivata la stretta di mano tra Bennett e Lapid: adesso i due hanno tempo fino a mercoledì per limare e rendere noti i particolari dell’accordo di governo, soprattutto sul ruolo che dovranno rivestire i Paesi arabi e su chi sarà il prossimo primo ministro. Carica che potrebbe ruotare, come nel precedente accordo Netanyahu-Gantz, con metà mandato affidato a Bennett e l’altra metà a Lapid.
Chi è Bennett, il tecno-colono di estrema destra
Ma chi è Naftali Bennett? E su chi può contare? Leader di Yamina, 49 anni a giorni, Naftali Bennet è, ancor prima di essere politico, un imprenditore miliardario self-made che nei confronti dei palestinesi sostiene la stessa linea dura di Netanyahu. Ed è per questo che con la sua retorica ha presa sull'elettorato religioso-nazionalista, e non solo. Il mondo hi-tech dal quale proviene, e che ha fatto la sua fortuna, concorre a richiamare anche laici. Nel suo passato c’è il mondo della cyber-security, con un'azienda di software anti-frode, Cyota, fondata nel 1999 e venduta nel 2005 per 145 milioni di dollari; l'anno dopo diventa capo di gabinetto di Benjamin Netanyahu, all'epoca all'opposizione. Pochi anni dopo, lasciato il leader del Likud (pare in seguito a un duro scontro con la potente moglie di lui, Sara), passa alla guida dello Yesha Council, l'organo che rappresenta le istanze dei coloni. Ex leader di Focolare ebraico, divenuto Yamina nel 2018, è stato alla guida anche del ministero dell'Istruzione e dell'Economia, prima di approdare in quello della Difesa, sempre sotto Netanyahu, di cui è stato a lungo considerato il protegé.
In campagna elettorale, ha rivendicato la sua formazione manageriale per 'guarire' l'economia israeliana in crisi a causa dell'epidemia di Covid; la sua ricetta è incentrata su taglio delle tasse e deregulation. Nel mezzo si è detto a favore dell'annessione di parte della Cisgiordania. Nel 2013 aveva sostenuto che i terroristi palestinesi avrebbero dovuto essere "uccisi, non rilasciati"; aveva anche affermato che non esisteva un'occupazione della Cisgiordania dal momento che "non c’è mai stato uno Stato palestinese qui". Più di recente ha esortato a "mettere da parte la politica e questioni come l'annessione o uno Stato palestinese, e a concentrarsi su prendere il controllo della pandemia di coronavirus, risanare l'economia e riparare le spaccature interne". E ancora, ha insistito che "la cosa principale di cui abbiamo bisogno oggi è l'imprenditorialità, l'energia e la gestione delle crisi nazionali". Quanto al futuro non ha voluto dare indicazioni nette: ha più volte ribadito l'intenzione di mandare a casa il leader del Likud, con l'obiettivo di governare alla testa di un'altra coalizione di destra; allo stesso tempo, non ha escluso l'ipotesi di sedere in un governo anti-Netanyahu, tranne che con il leader centrista Yair Lapid, troppo "a sinistra" per lui; ancora ricorda i suoi "attacchi ai coloni durante l'espulsione da Gush Atif" a Gaza nel 2005. "Darò vita a un governo, sostituiremo Netanyahu solo da destra, non da sinistra". Il Paese è diviso in due "culti", pro-Netanyahu e anti-Netanyahu, ha aggiunto. "Io ho deciso di non appartenere a nessuno dei due. Dobbiamo sostituirlo, perché ha fallito profondamente come leader e nella gestione dell'ultimo anno o due. E' tempo di dire 'Grazie, arrivederci, è il momento di Bennett'".
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