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In un libro 23 storie di Difensori della Terra uccisi (spesso) con la complicità di stati collusi

Ti entrano nell’anima. Sono le storie di donne e uomini che hanno pagato con la vita la loro strenua difesa del territorio in cui vivevano. Hanno lottato per la Madre Terra, per i loro diritti, per quelli di tutti gli oppressi. Ma anche per tutti noi. Sono queste le storie narrate nello splendido libro di Salvatore Inguì “I martiri dell’America Latina Difensori della Terra” (Navarra editore, 12 euro). Le parole dell’autore – asciutte, coinvolgenti, angoscianti, ma anche ricolme di sete di giustizia – scorrono veloci come i sottotitoli di un film che non vorresti vedere. Ma queste 23 vite, finite nel sangue dopo giorni di tortura, o senza alcuna pietà davanti a figli piccolissimi, ci impongono di ricordare i loro nomi e soprattutto le loro battaglie.

“Questo libro è un piccolissimo omaggio ai Martiri dell’America Latina – scrive Salvatore Inguì – e una supplica alla coscienza di ognuno di noi”. Si potrebbe aggiungere che le pagine di questo libro andrebbero lette a tutti gli studenti per far loro conoscere le radici che ci legano ad ogni essere umano. Soprattutto quelli che lottano ogni giorno, opponendosi alle multinazionali delle società minerarie, alle mafie del legno e del narcotraffico, agli speculatori, agli sfruttatori delle foreste e dei boschi, con un unico obiettivo: la salvaguardia della Pachamama, la Madre Terra. Sono indios, indigeni dell’America Latina, e tutti quelli che combattono al loro fianco, lontani dai riflettori, invisibili, dimenticati in fretta dopo essere stati ammazzati.

La passione civile dell’autore, coordinatore per la provincia di Trapani di Libera, che da diversi anni dirige l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo, traspare in ogni pagina di questa sorta di diario di viaggio. Che si snoda attraverso la sua intensa esperienza di volontariato vissuta in America Latina con ALAS, la rete transnazionale promossa da Libera.

Ogni storia è arricchita da un ritratto del protagonista ad opera di Giorgio Brugaletta.

“Nel 2019 – si legge nell’introduzione di Emiliano Cottini, referente per il settore internazionale di Libera – sono state assassinate 212 persone che si dedicavano alla difesa della Terra e della natura. Il continente latinoamericano è da anni stabilmente primo in questa triste classifica”. Ed è proprio la corruzione presente in maniera preponderante nella maggior parte dei Paesi latinoamericani “il cemento con il quale si costruiscono solide relazioni politico imprenditoriali finalizzate all’arricchimento illecito di chi le promuove e vi partecipa, a scapito degli interessi collettivi, della protezione dell’ambiente e della vita stessa”.

Parla di “profonda gratitudine” nei confronti delle popolazioni indigene e di tutti quei Martiri tra i difensori della Terra, l’economista Giuseppe De Marzo. Per un lungo periodo della sua vita ha vissuto presso le comunità indigene della Bolivia condividendo le pene di quella popolazione per lo sfruttamento scellerato della parte della foresta amazzonica che si estende sul quel territorio. De Marzo ha condiviso con loro una vera e propria lotta di resistenza contro gli abusi del governo e delle multinazionali. Ed è esattamente per questo motivo che conclude la sua prefazione con l’auspicio “che più persone possano volgere attenzione al loro stile di vita e dei consumi” così da “divenire parte attiva del cambiamento della storia dell’umanità”, con l’obiettivo di una “maggiore armonia tra l’uomo, la Terra ed il cosmo”, e soprattutto con la preghiera “che il sacrificio delle centinaia di martiri tra i Difensori della Terra non sia stato vano”.

“C’è un oceano fra noi e queste storie – scrive don Luigi Ciotti nella sua postfazione – queste vite messe a tacere e che invece ancora parlano, grazie a chi presta loro la voce. Ha scelto di farlo Salvatore Inguì, caro amico, narratore sensibile che indaga e racconta e costruisce il cambiamento, non soltanto attraverso i suoi scritti ma anche in percorsi di impegno che ci hanno visti più volte affiancati”. Il fondatore di Libera evidenzia con forza che gli attivisti incontrati nelle pagine di questo libro hanno effettivamente lottato per le loro terre, i loro popoli, i loro diritti. “Ma nel farlo avevano chiaro di lottare per qualcosa di più grande: la Terra intera, intesa come casa comune di tutte le creature; l’umanità intera, intesa come insieme degli uomini di oggi e di domani”. Un atteggiamento che don Ciotti non esita a definire “prezioso”, praticamente “l’esatto contrario dell’individualismo ed egoismo a cui siamo purtroppo abituati, frutto di una società che esalta la competizione, l’auto-affermazione e l’arricchimento a discapito dei più deboli”.

Nelle parole del fondatore del Gruppo Abele emerge la dimensione più profonda di questi attivisti che avevano compreso un’antica verità: “la vera ricchezza nasce dall’incontro e mai dallo scontro con l’altro, dal riconoscere nell’altro, a partire dai più vulnerabili, una parte imprescindibile di sé”. Don Ciotti si sofferma quindi su un dato di fatto: “il loro destino di morte – morti violente in certi casi quasi annunciate – non è in contrasto con la loro impetuosa sete di vita: una vita che hanno saputo spendere senza risparmio. Sapendo che, quando la loro esistenza individuale fosse caduta vittima della repressione, avrebbe continuato a vivere nell’impegno dei tanti con cui avevano condiviso il cammino”.

Nella sua conclusione don Luigi dà un ampio risalto al senso stesso del libro e all’opera di testimonianza di Salvatore Inguì: “onorare la vita, senza tacere le circostanze oltraggiose della morte. Ridare fiato a chi ha donato fino all’ultimo respiro”. Restituire quindi dignità a tutti quei martiri nei quali il fondatore di Libera rivede una sorta di “trasposizioni umane della storia di Gesù Cristo”, e anche “fari di speranza e pungoli a un cambiamento prima di tutto interiore, poi il più possibile condiviso”.

Una dopo l’altra scorrono quelle che lo stesso Salvatore Inguì definisce “piccole storie”; al di là della commozione che ammette di aver provato dopo esserne venuto a conoscenza, ribadisce che queste storie hanno sortito l’effetto di imporgli di muoversi, di darsi da fare, affinché tutto questo non cada nella voragine dell’oblio. L’obiettivo è alquanto esplicito: “la loro lotta continui con il contributo quotidiano di ognuno di noi”. “Riuscire ad entrare in questa sintonia con il mondo – conclude – ci farà sentire più umili, più piccoli, più in armonia con l’universo, ma anche più capaci di cooperazione e non di sfruttamento”.

23 storie da raccontare
E’ Carlos Hernandez, da sempre impegnato nelle battaglie contro le speculazioni delle compagnie minerarie, ucciso in Guatemala l’8 marzo 2013, ad aprire questa lunga via crucis.

La visione dei Maya – secondo i quali sulla tomba andrebbe riportata unicamente la data della morte perché è con la morte che si inizia la vera vita – si fa spazio nel ricordo di Isidro Baldenegro Lòpez trucidato in Messico il 15 gennaio 2016 dopo anni di battaglie contro i narcotrafficanti che spingevano per la deforestazione.

La consapevolezza di Berta Càceres della sua morte imminente, che si verifica puntualmente il 2 marzo 2016 nella Repubblica dell’Honduras, torna prepotentemente a bussare alle nostre porte.

E’ solamente un “suicidio”, ecco la prima versione di quello che poi è stato riconosciuto come l’omicidio di Macarena Valdès, avvenuto in Cile il 22 agosto 2016, a fronte della sua difesa nei confronti della comunità Mapuche.

Messico, 14 gennaio 2014, rapiti, torturati e decapitati: è questa la tragica morte di Emilsen Manyona, capo delle Comunità per la Costruzione della Pace nei territori, e di suo marito Joe Javier Rodallega, da anni impegnati a denunciare le violenze dei paramilitari contro le popolazioni indigene.

Tra gli intensi ritratti che spiccano nel libro c’è anche il viso di Olivia Arévalo Lomas, un volto che è “come la corteccia degli alberi dell’Amazzonia”. Olivia è una sciamana, una guaritrice, “una dei figli della Pachamama”, difensora delle terre ancestrali, dei diritti e della dignità del suo popolo, viene assassinata in Perù il 19 aprile 2017.

i martiri america latina vert
C’è poi la storia di un giovane argentino di 28 anni, Santiago Maldonado, nato nella provincia di Buenos Aires, che si unisce alle comunità mapuche della provincia di Chubut, in una zona vicina a El Bolsón. E’ lì che Maldonado abbraccia la lotta dei nativi che, tra le varie dominazioni, hanno subito anche quella latifondista della ricca famiglia dei Benetton. Maldonado viene ritrovato morto in circostanze a dir poco misteriose il 1 agosto 2017.

Un’altra morte annunciata è quella di Hernan Bedoya, instancabile attivista che denunciava i gruppi paramilitari Gaetanisti, colpevoli del furto delle terre ai contadini indigeni, ucciso l’8 dicembre 2017 in Colombia.

Dopo la morte arriva anche la delegittimazione e il disprezzo perchè il suo cadavere è stato ritrovato nudo; come se l’omicidio di Guadalupe Campanur Tapia, avvenuto in Messico il 17 gennaio 2018, non fosse già abbastanza drammatico. Guadalupe era un’indigena della comunità Cheran, in prima linea nelle lotte contro la mafia del legname, la prima donna a diventare guardaboschi nel Michoacán, una vita, seppur breve, a difendere gli alberi.

“Il suo nome evoca il concetto stesso di lotta”, si legge nel libro, e guardando l’immagine di Marielle Franco non si può che essere d’accordo: attivista per i diritti civili, eletta consigliera municipale nel municipio di Rio de Janeiro, membro di una commissione incaricata di valutare la legalità con cui venivano compiute determinate azioni della Polizia Federale, e assassinata in Brasile il 14 marzo 2018.

Piantare alberi nei dirupi dei dintorni della sua città, questo amava fare con i suoi quattro figli nel tempo libero. E’ la storia di Samir Flores Soberanes, membro del Fronte dei popoli in difesa della terra e dell’acqua del Morelos, Puebla e Tlaxcala, attivista che lottava contro il gasdotto, ucciso in Messico il 19 febbraio 2019.

Un appassionato attivista e tenace sostenitore della tutela dei diritti umani delle popolazioni autotctone, questo era Sergio Rojas Ortiz, del gruppo etnico dei Bribri, assassinato in Costa Rica il 18 marzo 2019.

C’è poi la storia di un giovanissimo Kukama, Cristian Javà Rìos, che aveva scelto di difendere la foresta dell’Amazzonia peruviana denunciando i movimenti delle bande e degli operai delle compagnie che illegalmente si ostinavano a penetrare la foresta. Il 17 aprile 2019 Cristian viene ucciso mentre stava perlustrando un tratto di zona, aveva solo 22 anni e un figlio di appena 6 mesi.

Stesso amore incondizionato per la foresta amazzonica, ma questa volta ci troviamo in Brasile, è la storia di Maxciel Pereira Dos Santos, attivista nella Fondazione Nazionale dell’Indigeno, una vita a proteggere i popoli della foresta. Il 5 settembre 2019 Maxciel viene freddato da alcune raffiche di mitra mentre si trovava assieme alla moglie e al figlio, miracolosamente rimasti illesi.

Solamente due giorni dopo, in Guatemala, è la volta di una giovane maestra impegnata nel servizio della sua parrocchia Nostra Signora di Guadalupe. Diana Isabel Hernàndez Juarez aveva 35 anni, il 7 settembre 2019 le scaricano addosso i caricatori di due rivoltelle. Quella dolce maestra era diventata agli occhi dei criminali “una pericolosa rivoluzionaria” capace di far “inceppare la macchina dello sfruttamento capitalista” soprattutto con la sua attività di “denuncia e di contrasto alla spoliazione selvaggia dell’ambiente, alla distruzione sistematica della natura”.

Mirna Teresa Suazo Martìnez è una garifuna dell’Honduras, ma anche la presidente della commissione della Fondazione Masca. I suoi antenati, come quelli di tutti i garifuni, erano africani deportati come schiavi dall’Africa occidentale verso le Americhe, Mirna conosce bene “le ataviche privazioni della sua gente”. Proprio per questo non intende abbandonare la sua casa per lasciarla in mano ai lottizzatori. L’8 settembre 2019 alcuni sicari le sparano ripetutamente per chiuderle per sempre la bocca.

E sempre in Honduras – il Paese in assoluto più pericoloso al mondo per gli ambientalisti – troviamo il caso di Milgen Idàn Soto Ávila “tra i più emblematici del senso di impunità di cui godono i poteri criminali economici dei Paesi dell’America Latina”. Il 23 settembre 2019, dopo aver denunciato il governo honduregno di avere illegalmente e illegittimamente autorizzato i lavori dell’impresa di legname INMARE di proprietà del ricco Wilder Dominguez, Milgen viene sequestrato, torturato e infine ucciso dopo un’agonia di quattro giorni. I suoi resti vengono ritrovati nel luogo del suo lavoro: un monito per tutti gli altri.

Paulo Paulino Guajajara è un indio guajajari dell’Amazzonia, per i suoi compagni è “lobo”, il lupo. In Brasile gli indios guajajari hanno una vera e propria “devozione verso la foresta”, per loro “difendere la natura è difendere sé stessi”, ritengono l’Amazzonia  “la mamma degli esseri umani, il respiro della divinità”. Quello stesso respiro che viene spezzato a Paulo il 1 novembre 2019 mentre difendeva la sua terra dagli artigli di uomini senza scrupoli, spalleggiati da una politica nazionale a dir poco criminale.

E’ una storia d’amore, di quelle autentiche, quella tra Natalia Jimènez e Rodrigo Monsalve. Siamo in Colombia, lei è un’antropologa e attivista ambientalista, lui è un dj molto noto nel suo Paese, in procinto di laurearsi in Antropologia. Dopo 15 anni di convivenza decidono di sposarsi e di partire per la luna di miele. Il 20 dicembre 2019, durante quel loro viaggio tanto sognato, Natalia e Rodrigo vengono rapiti, in quel preciso istante Natalia è al telefono con il padre che sente distintamente le grida della figlia. Vengono ritrovati tre giorni dopo, torturati e uccisi.

26 dicembre 2019, El Salvador: uccisa a 32 anni, all’ottavo mese di gravidanza davanti a suo figlio di 3 anni. E’ questa la fine straziante di Dora Alicia Recinos Sorto. Dora e il marito, Josè Santos, erano stati membri del Comitato Ambientale Cabañas, Josè aveva già subito un’aggressione con un machete nella quale aveva perso due dita. Entrambi erano infaticabili oppositori della compagnia canadese Pacific Rim che si occupava di estrazione mineraria, cercavano di contrastare lo sfruttamento selvaggio delle terre e delle risorse ambientali.

Ed è infine la storia di Homero Gòmez Gonzàles quella che, attraverso il volo delle sue farfalle, conclude questo libro. Siamo in Messico, c’è un omone dal cuore grande, conosciuto come il “Signore delle farfalle” per la sua azione mirata a proteggere le farfalle monarca, contro il disboscamento illegale. Homero arriva a realizzare un parco delle farfalle nella sua città di El Rosario della quale è stato pure sindaco. Quest’uomo viene minacciato più volte di morte per le sue battaglie in difesa dell’ambiente, ma soprattutto per la sua immensa opera di divulgazione ambientalista che aveva coinvolto centinaia di contadini locali. Il 13 gennaio 2020 Homero sparisce al ritorno da un’assemblea cittadina. Viene ritrovato morto due settimane dopo dentro a un pozzo all’interno del parco delle farfalle, a Ocampo, nello Stato messicano di Michoacán.

Quello che resta
E’ un amore totalizzante nei confronti della Pachamama, incondizionato e senza confini quello che resta dopo aver letto questo libro. Il cui respiro vibra di lotta civile, quella stessa che accomuna tutti i protagonisti. Le cui storie sono ferite aperte: dolore e frustrazione per l’impunità dei colpevoli e dei loro mandanti, ma anche resistenza e resilienza di chi, consapevole del proprio destino, continua a lottare. Perchè nonostante tutto le battaglie di questi martiri spesso proseguono sulle gambe di altre donne e altri uomini. Che chiedono di essere ascoltati e sostenuti nella difesa del nostro pianeta, la nostra casa. Ascoltarli significa anche fare i conti con la nostra coscienza troppo spesso anestetizzata; fare i conti con la nostra apatia e indifferenza verso tutto ciò che ci sembra lontano da noi. Ma questa storia è la nostra storia, ci appartiene. Una storia che impone anche a noi di “muoverci”, di dare voce a chi è stata tolta. Prima che per Pachamama sia troppo tardi.

Info: Navarra Editore

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