Giuseppe Calvaruso il volto “nuovo”, ma non troppo, di una mafia che persiste
Non si aspettava di finire in manette Giuseppe Calvaruso, fermato dai Carabinieri praticamente al nastro bagagli dell'aeroporto di Palermo Falcone e Borsellino nell'ambio dell'operazione Brevis, che ieri ha portato all'esecuzione di altri quattro provvedimenti di fermo disposti dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Salvatore De Luca ed i sostituti della Dda Dario Scaletta e Federica Chioma. Ritenuto al vertice del mandamento di Paglierelli, il geometra Calvaruso, era appena giunto dal Brasile, via Parigi, per passare qualche giorno (Pasqua compresa) con i parenti e curare i suoi affari (investimenti immobiliari e ristorazione), prima di ripartire per il Sudamerica.
Passaggio di testimone
Di fatto un “predestinato”, tenuto conto il ruolo avuto da sempre all'interno di Cosa nostra. Una scalata fino al vertice del mandamento di Pagliarelli che era partita da lontano, quando era stato incaricato di gestire la latitanza di Giovanni Motisi, u pacchione, boss di cui si sono perse le tracce dal 1998, così come lui stesso ammise in un'intercettazione (“Gli unici che andavamo da lui eravamo io e lui… Giusè, un personaggio, credimi”).
Il nome di Calvaruso è finito più volte nelle inchieste degli inquirenti. Per la prima volta venne arrestato nel 2002 e restò in cella fino al 2006.
Oggi assieme a lui sono finiti in carcere Giovanni Caruso, 50 anni, Silvestre Maniscalco, 41 anni, Francesco Paolo Bagnasco, 44 anni, Giovanni Spanò, 59 anni, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, lesioni personali, sequestro di persona, intestazione fittizia di beni, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.
Calvaruso venne arrestato per la prima volta nel 2002, poi ancora nel 2008 nel blitz Perseo che svelò il primo tentativo di Cosa nostra di riorganizzare la Cupola.
Ma era anche vicino al giovane capomafia Gianni Nicchi e Vincenzo Giudice, pure loro reggenti del mandamento di Pagliarelli, fino a raccogliere il testimone da Settimo Mineo, l'anziano boss che si era incaricato di istituire la Commissione provinciale a seguito della morte di Totò Riina. Gli investigatori hanno registrato
A spiegare il suo ruolo sono stati gli stessi collaboratori di giustizia come Filippo Bisconti e Francesco Colletti. "Riconosco Giuseppe Calvaruso, uomo d'onore della famiglia di Pagliarelli e sponsorizzato da Mineo come suo sostituto per il futuro all'interno del mandamento di Pagliarelli (...) - ha messo a verbale Bisconti mentre gli venivano mostrate delle foto - Mineo si sarebbe fatto sostiuire da Salvatore Sorrentino, che però era furbo e non voleva comparire all'esterno, o più probabilmente da Calvaruso. Oggi potrei dire che sia Calvaruso l'attuale capomandamento di Pagliarelli, prima della riunione di maggio 2018, Mineo mi disse che avrebbe fatto presente nell'eventuale riunione della Commissione che i suoi sostituti sarebbero stati Calvaruso o Sorrentino". Anche Colletti non ha avuto dubbi nell'indicare Calvaruso come uomo d'onore di Pagliarelli: “Non ricordo se mi è stato riferito da Filippo Bisconti che me lo ha indicato anche come sotto capo della famiglia di Pagliarelli, dopo Settimo Mineo nella gerarchia della famiglia, veniva lui come numero due, anche se non mi è stato mai presentato ritualmente”.
Del resto dalle indagini era già emerso il suo ruolo all'interno del clan. Prima dell'operazione “Cupola 2.0” erano stati refgistrati summit con Andrea Ferrante e Cancemi il 13 novembre del 2018, nella villa di Altofonte, ed anche lo stesso Mineo, durante le riunioni per la riorganizzazione della Cupola diceva: “Se non ci sono io, alle riunioni della Cupola verrà Giuseppe”.
Gli incontri e i summit
Alla fine il progetto per istituire la Commissione provinciale è stato stoppato, ma non il “passaggio di testimone” all'interno del mandamento di Pagliarleli. Gli inquirenti hanno monitorato e registrato tutto. Così il ruolo di vertice avuto all'interno dell'organizzazione criminale è emersa con sempre più forza tanto che sono stati documentati "numerosi incontri" tra Calvaruso e i parenti di diversi degli arrestati del blitz, come Ferrante, Sorrentino, Cancemi e Matteo Maniscalco, ma anche con Vincenzo Cascino, storico uomo d'onore di Pagliarelli, e pure "una rinnovata frequentazione con la moglie e la madre del boss Gianni Nicchi".
Un incontro, quest'ultimo, registrato il 30 novembre del 2019, per una durata di circa 14 minuti. I carabinieri lo hanno documentato con tanto di foto.
Calvaruso prendeva sul serio il suo ruolo. Dalle intercettazioni emerge anche il compito portato avanti per il sostentamento alle famiglie dei detenuti. La Procura ritiene di aver documentato la consegna dei soldi ai parenti dei carcerati da parte di Caruso, per conto del capomafia di Pagliarelli, in particolare a Natale del 2019: "Uno, due e tre, glieli do a lui spartuti che ha la putia, 14, 15, glieli metto qua... Minchia me li sono tolti tutti e tre, guarda qua, 500, 500 e 500 e mi restano solo mille, 1.500 di quello, 2.500! Per lui e suo parrino e 2 mila euro l'uno e me ne sono andato con il pari...". E Caruso commentava: "Nessuno, tu te la prenderesti una gatta da pettinare di questa? Ormai me lo sono preso ed è come è giusto, ormai ci sono!".
Se da una parte si mostrava spregiudicato, organizzando persino una festa per il suo nuovo incarico a giugno del 2019 con tanto di pesce ed agnello fatto recapitare in carcere a Giovanni Cancemi, mafoso di spicco del mandamento, dall'altra aveva iniziato a muoversi con sempre più discrezione e attenzione. Del resto quando era stato scarcerato, nel 2016, si era subito trasferito in Emilia-Romagna, dove ufficialmente lavorava come collaboratore di un’azienda edile di Rimini, proprio per evitare la sorveglianza speciale.
Gli affari a Singapore e non solo
Tra i capitoli che la Dda di Palermo vuole approfondire vi è certamente quello della rete di affari che portano all'estero, in particolare a Singapore. Qui, tramite un palermitano che da anni risiede nel Paese, Calvaruso ha potuto "intercettare" e incontrare (in oriente e poi a Palermo) un imprenditore di Singapore che in Sicilia ha avviato alcuni investimenti: 11 ettari di terreno in contrada Patellaro a Misilmeri con due ruderi di fabbricati rurali (circa 700 mila euro); e poco meno per due immobili nel centro storico di Palermo.
Secondo quanto emerseo dalle indagini Calvaruso aveva in mente di costruire un complesso di ville a Misilmeri attraverso la società "Edil professional", riconducibile a Giovanni Caruso, anche lui fermato dai carabinieri su disposizione della Dda di Palermo, e considerato il suo braccio destro.
E sarebbe questo il motivo per cui, nel giugno 2019 aveva ospitato a pranzo in un locale di Mondello la delegazione proveniente da Singapore. L'obiettivo, scrivono gli inquirenti era quello di "ingraziarsi le simpatie della controparte, in quanto molto interessato a ottenere dal nuovo acquirente degli immobili l'assegnazione dei lavori di ristrutturazione".
Ovviamente sul gancio di Calvaruso a Singapore - palermitano che vive da anni in quella città dove ricopre il ruolo general manager di un ristorante italiano di proprietà di un imprenditore locale - e l'imprenditore singaporiano sono stati compiuti degli accertamenti.
Secondo quanto si legge dal provvedimento entrambi sarebbero sconosciuti alle forze dell'ordine locali.
Certo è che i contatti con la delegazione di Singapore sono stati molteplici. Così, dopo Mondello, c'è stato un prnazo al ristorante "Carlo V", in piazza Bologni a Palermo, anche questo noto locale di fatto di riconducibile al boss ma gestito da persone a lui vicine. Poi, nel giungo 2019, è lo stesso Calvaruso ad essersi recato a Singapore, dando un'immagine di sé legata alle origini, ma con un interesse internazionale.
In alcune intercettazioni, discuteva degli affari in Sud America (“Lì, c’è un mare di lavoro da fare”), ma anche dell'Africa (“Quello non vede l’ora che vado, tra l’altro hanno un’altra cosa grossissima in Niger, un appalto con l’Onu, grosso, duemila appartamenti, settantacinque scuole, quattro ospedali”).
Controllo del territorio
Ma la forza di Cosa nostra non si misura solo nei rapporti con l'esterno, ma anche con il controllo che è in grado di avere nel territorio. Ciò che emerge dalle indagini della Dda di Palermo è che nel mandamento di Pagliarelli (e non solo) il controllo della mafia è ancora prorompente, con tanti che scelgono di rivolgersi ai boss, anziché alle istituzioni statali, per risolvere le proprie problematiche o chiedere il permesso per aprire un'attività. E non solo.
Gli esempi possono essere molteplici, dal padre che si rivolge ai clan per ritrovare l’auto rubata alla figlia, al commerciante che prima di affittare un magazzino chiede il permesso agli uomini della “famiglia”, o ancora il titolare di un supermercato, rapinato due volte in pochi giorni, che si affida a Cosa nostra per avere giustizia e riavere il maltolto. Quest'ultima è la vicenda di “Serena Detersivi”.
Il titolare, Francesco Paolo Bagnasco, contatta il braccio destro di Calvaruso, Giovanni Caruso, per trovare i responsabili delle rapine e riavere i soldi presi. E nel giro di 24 ore Caruso riesce a trovare i tre responsabili delle rapine, li convoca in un una rimessa e alla presenza di Bagnasco e del boss Calvaruso per poi punirli picchiandoli a sangue.
Ciò che avvenne si apprese dalle confidenze di Caruso alla moglie all’interno della sua Audi Q3: “... tu non ne sai niente di questo discorso ah che capace ti arriva a dire: ‘minchia è selvaggio... mi sono rilassato questa giornata mi sono dato una scarricata che tu non hai idea... appena è entrato... l’ho preso ci dissi: ‘cammina... cammina prima che diventi scolapasta... all’ospedale... è ricoverato... pure il polso mi duole”.
Si legge nel provveidmento di fermo disposto dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia Salvatore De Luca, Federica La Chioma e Dario Scaletta che “questi meccanismi dimostrino in tutta la loro gravità l’esistenza sul territorio di Pagliarelli di un contesto socio ambientale gravemente compromesso dalla connivenza con la cultura mafiosa, ancora in grado di condizionare larghe sacche della popolazione palermitana”.
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