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Su Presadiretta va in onda "la dittatura delle armi"

Dopo il formidabile servizio dedicato al processo Rinascita-Scott, anche questa settimana Presadiretta, il programma trasmesso ogni lunedì sulla Rai, non ha deluso le aspettative. L’ultima puntata-inchiesta si è infatti concentrata su un tema tanto delicato quanto taciuto: "la dittatura delle armi”, dovuta alle esorbitanti cifre destinate al settore militare italiano e al ruolo svolto dall’Italia nell’esportare armi nel mondo, soprattutto a quei paesi in guerra o che violano i diritti umani. Una "dittatura" in cui, ancora una volta, cittadini e Costituzione vengono messi da parte.

La pandemia non ha colpito tutti: la spesa militare è aumentata
Quando l’anno scorso l’Italia entrava in lockdown, venivano sospese tutte le attività produttive, commerciali e industriali tranne quelle che fornivano al paese servizi di prima necessità. Tra queste, per assurdo, figuravano anche quelle militari, la cui spesa è stata persino aumentata. Infatti, nel discorso del 27 maggio 2020 alla Camera dei Deputati, il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini pronunciava le seguenti parole: "Intendiamo continuare a sostenere il comparto della difesa, mettendo in campo tutte le risorse necessarie per far fronte alle conseguenze dell’emergenza covid". Come sarebbero state spese "tutte le risorse necessarie" è mostrato nel Documento Programmatico Pluriennale della Difesa del triennio 2020-2022, dentro al quale sono contenuti tutti i sistemi d’arma che l’Italia intendeva e intende acquistare: nuovi aerei (per 11 miliardi di euro), navi sottomarine (4,1 miliardi di euro), elicotteri (2 miliardi di euro), blindati (1,5 miliardi di euro) e 8 aerei-spia statunitensi che saranno pagati in 3 rate, di cui 1,223 miliardi di euro solo per la prima. La maggior parte di questi mezzi saranno parcheggiati in qualche magazzino e rimarranno inutilizzati, come dimostrano le centinaia di carri armati ormai diroccati nei boschi vicino a Lenta nelle risaie del vercellese. Inoltre, con l’ultima legge di bilancio (approvata alla fine del 2020), la spesa annuale della difesa è passata da 22,940 miliardi di euro a 24,580. Tutto questo mentre ci veniva detto che i posti letto negli ospedali e il personale sanitario erano insufficienti. Ma non è finita. Spendiamo così tanti soldi per il settore bellico che quelli del Ministero della Difesa non ci bastano più: da più di 10 anni, infatti, oltre 1 miliardo di euro per le missioni militari all’estero viene assegnato direttamente dal Ministero delle Finanze e, visto che neanche questi bastano, circa metà dei soldi usati per comprare nuovi armamenti provengono dai fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Si può comprendere pienamente l’entità di questa spesa se viene comparata a quella investita, invece, nella sanità e nell’istruzione: secondo calcoli effettuati dall’International Peace Bureau, la più antica associazione mondiale pacifista, una sola fregata FREMM vale lo stipendio medio annuale di 10.662 medici, un sottomarino nucleare di classe Virginia equivale a 9.180 ambulanze, un cacciabombardiere F35 costa quanto 3.244 posti letto in terapia intensiva. L’Italia, di F35, ne ha acquistati ben 90 ad un peso d’oro: il programma aereonautico più costoso di tutti i tempi. I politici, da Bersani a Renzi, hanno fatto campagna elettorale su questo tema, utilizzando slogan come "priorità al lavoro e non ai cacciabombardieri". Una volta arrivati al governo, hanno totalmente cambiato posizione.





Egitto, Turchia, Libia e Arabia Saudita: solo alcuni dei paesi a cui l’Italia non dovrebbe vendere armi.
Le leggi italiane sull’esportazione delle armi sono chiare: non sono vendibili "verso i paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo". Ma il nostro governo continua ad aggirare blocchi, leggi ed embarghi per esportare quelle stesse armi a Paesi che, invece, non dovrebbero in alcun modo riceverle perché sono in guerra o perché violano, appunto, i diritti umani. Questo il tema della seconda parte della puntata. La lista di quei Paesi sarebbe lunga e, per questo, sono stati presi in considerazione solo quelli che da noi acquistano più armi.

Egitto
Al primo posto della lista spicca l’Egitto. Nel report pubblicato nel 2017 dalle Nazioni Unite si arriva all’"inevitabile conclusione" che, in quel Paese, "la tortura è una pratica sistematica". Così anche secondo i dossier pubblicati nel 2020 da Human Rights Watch, in cui si evidenzia che in Egitto ci sono tra i 60 e i 100 mila prigionieri politici, in tre mesi sono state condannate a morte 50 persone e, da quando è al potere Abdel Fattah al-Sisi, sono state costruite 13 nuove carceri. Eppure, nella lista di compratori di armi italiane, figura al primo posto. Infatti, dopo aver interrotto la fornitura nel 2016, anno dell’omicidio di Giulio Regeni, l’Italia ha ripreso a pieno regime, nel 2018, gli affari militari con l’Egitto che, dal 2019, è il primo paese verso cui l’Italia esporta armi: un totale di circa 900 milioni di euro annui. Nel 2020 ha aumentato vertiginosamente l’ammontare degli affari: l’Italia ha venduto due fregate FREMM costruite da Fincantieri, società partecipata al 70% dallo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Una partita da 1,2 miliardi di euro che ha portato a La Spezia centinaia di militari egiziani per l’addestramento. La prima fregata, "Algala", è partita per l’Egitto il 25 dicembre 2020, quasi di nascosto, sfruttando la quiete del giorno di Natale. Ayman Nour, leader del partito liberista egiziano Ghad El-Thawra, accusa oggi al-Sisi di prendere il 2% su tutte le commesse di armi per la difesa nazionale: "Parliamo di un totale di 40 miliardi di dollari di commesse internazionali da quando è presidente, la sua commissione vale 800 milioni di dollari che finiscono sui suoi conti in Svizzera o Manatthan". L’esistenza di questa legge non scritta, tramite cui al presidente egiziano è concesso prendere una percentuale, è stata ammessa anche dall’ex presidente Hosni Mubarak durante il suo interrogatorio avvenuto nel 2011, quando dovette affrontare, dopo essere stato destituito, le accuse di corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici. L’Egitto, sempre secondo Ayman Nour, acquista armi dall’Italia perché vuole, da una parte, comprare il suo silenzio sul caso Regeni e, dall’altra, stimolare altri partner economici all’interno dell’UE.




Fregata "Algala" partita per l'Egitto il 25 dicembre 2020



Turchia

Oshar Ali Abdul è un signore che da anni si dedica a disattivare le mine turche nel Kurdistan iracheno: ne ha disattivate più di 2.368.000. Nel farlo, ha perso entrambe le gambe e alcuni familiari, come il figlio e il fratello. In un video trasmesso nel corso della puntata, Oshar, seduto per terra, mostra una lunga serie di mine anti-uomo e anti-carro mentre pronuncia eloquentemente la parola "Italia". Si tratta delle nostre mine Valmara. Da anni la Turchia bombarda le popolazioni curde siriane e irachene, con il pretesto della "guerra al terrorismo" condotta contro il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Nel 2018, dopo l’ennesimo bombardamento turco nei territori curdi della Siria, l’Unione Europea ha deciso di bloccare l’export di armi alla Turchia. A tal proposito, il Ministro degli esteri Luigi Di Maio, giunto a Lussemburgo il 14 Ottobre 2019, aveva dichiarato: "Tutti gli stati condannano quello che sta facendo la Turchia nel territorio siriano. Tutti gli stati membri si sono impegnati a bloccare l’export degli armamenti, così anche l’Italia per quanto riguarda i futuri contratti". Ma le cose non sono andate proprio così. Come fa infatti notare Giorgio Beretta, dell’Osservatorio OPAL, l’Italia ha deciso di sospendere il rilascio di nuove licenze ma non le forniture già in corso, ossia quegli accordi stipulati su base pluriennale. L’Osservatorio OPAL ha registrato come l’Italia stia continuando l’export di munizioni pesanti, proprio quelle utilizzate dall’aereonautica e dall’esercito turco per bombardare soprattutto i curdi in Siria: "Parliamo di 10 milioni di euro di bombe esportate praticamente ogni due mesi". Secondo il report dell’Unione Europea sull’export di armi, dal 2018 l’Italia è il paese che esporta più munizioni pesanti e armi alla Turchia: solo nel 2019 ha esportato per un totale di 339 milioni di euro. Lo stesso Gem Gurdeniz, ex ammiraglio della marina militare turca, ammette che l’Italia non ha mai smesso di vendere armi e che ha continuato a fare importanti esercitazioni militari con la Turchia nel Mar Mediterraneo. Le strette relazioni sono dimostrate anche dal fatto che la società Beretta ha una fabbrica ad Istanbul e la società Leonardo, partecipata al 30% dallo Stato, una sede ad Ankara.




Oshar Ali Abdul



Libia

La guerra libica non durerebbe così tanto se non ci fosse chi, dall’esterno, la alimenta, inviando tonnellate di armi alle fazioni in lotta, violando in questo modo l’embargo delle Nazioni Unite. E’ quanto scritto da esperti ONU nel 2019: Giordania, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Turchia, paesi a cui anche l’Italia vende le armi, forniscono armamenti alla Libia "regolarmente e, talvolta, sfacciatamente". Ghassan Salamè, ex inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, racconta come gli stati occidentali abbiano aggirato il blocco di armi alla Libia: o vendendo armi ad Arabia Saudita e Turchia, i due principali esportatori di armi in Libia, o vendendo direttamente le licenze per produrre le loro armi. In questo ultimo modo risulta che le armi non siano prodotte o vendute direttamente dall’occidente e, così, vengono aggirate le leggi europee e nazionali.
Che le armi vengano vendute alla Libia aggirando l’embargo, lo dimostra anche una recente indagine condotta dalla procura e della digos di Genova. Protagonista dell’inchiesta la nave Bana, finita al centro di un traffico illegale di armi verso la Libia, prima di attraccare al porto di Genova. Marco Zocco, sostituto procuratore della città, racconta di come la nave sia partita da Beirut a inizio gennaio 2020 con destinazione Tunisia. Ma in Tunisia non è mai arrivata: il capitano inverte senza preavviso la rotta, dirigendosi verso il porto di Mersin, in Turchia. Da quel momento non c’è più traccia della nave perché il capitano ha fatto spegnere i sistemi di controllo, facendola così scomparire dai radar di tutta la guardia costiera del Mediterraneo. La spiegazione è contenuta in un video girato di nascosto dal terzo ufficiale della nave; nel video si vede la stiva carica di carri armati, lanciarazzi e altri armamenti. Il terzo ufficiale alla procura ha anche raccontato di come sulla nave fossero saliti militari turchi e che, una volta ripartita, la nave è stata scortata da due fregate della marina militare turca. Grazie alle immagini del satellite Sentinel, la Bana viene rintracciata il 28 gennaio 2020 al largo della costa libica, scortata dalle stesse due fregate turche. Qualche giorno dopo, il satellite Planet Lab scatta una foto in cui si vede la nave attraccata nel porto di Tripoli, dove ha scaricato le armi. Solo allora l’imbarcazione, diretta verso Genova, riapparirà sui radar. Arrivata a destinazione verrà avviata l’attività della magistratura. Infatti, nonostante la stiva della nave fosse stata ridipinta per nascondere le tracce del traffico illegale di armi, la digos riesce a rinvenire tracce di cingoli, a prova che erano stati spostati lì dentro dei mezzi pesanti. Grazie alle indagini, il comandante ha patteggiato una condanna di tre anni, ma, essendo tornato in Libano, non sconterà la sua pena. Dopo questi fatti, l’armatore della Bana ha deciso di demolirla, probabilmente perché non aveva interesse nell’utilizzare la nave in attività legali. Era infatti dal 1980 che andava avanti il suo traffico di armi. Da quell’anno, la Bana aveva cambiato 4 volte bandiera e 8 volte nome per sfuggire ai controlli, soprattutto quelli del Consiglio di Sicurezza che, il primo giugno 2017, l’aveva individuata e segnalata quando, ancora con il vecchio nome "Sham 1", la nave aveva trasportato 300 pick-up blindati a Tobruc, in Libia.




La stiva della nave Bana



Arabia Saudita

Nel maggio 2019, i portuali di Genova scoprono che le navi della compagnia saudita "Bahri" arrivano cariche di carri armati, esplosivi ed elicotteri; sulle stesse vengono poi caricati generatori italiani dual use, utilizzati per alimentare i droni da combattimento e l’artiglieria da campo che saranno impiegati nella guerra in Yemen. Inizia così la protesta dei lavoratori che decidono di bloccare il carico della nave bahri abha. Quella in Yemen è la peggior crisi umanitaria del mondo: secondo alcune stime sarebbero almeno 233 mila i morti fino adesso. Nel conflitto anche l’Italia ha avuto una responsabilità. L’8 ottobre 2016 la coalizione a guida saudita ha sferrato un attacco contro il villaggio yemenita di Deir al-Hajari, nel nord dello Yemen, come documentato dall’ONG yemenita "Mwtana": è stata uccisa un’intera famiglia di 6 persone e non c’era alcun obiettivo militare intorno. La bomba era di fabbricazione italiana, prodotta dalla RWM di Domusnovas, in Sardegna. Uno dei tanti esempi che hanno spinto il governo a bloccare, il 29 gennaio di questo anno, l’export di missili e bombe verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. Inoltre, grazie alle denunce di Mwtana, della Rete Italiana Pace e Disarmo e del Centro Europeo per i Diritti Costituzionali, il 24 febbraio il GIP di Roma ha deciso che la magistratura italiana dovrà andare avanti nell’indagine penale sui dirigenti di RWM e sugli alti funzionari dell’autorità nazionale italiana per l’esportazione di armamenti, accusati di aver autorizzato l’export delle bombe. I magistrati dovranno dunque stabilire quale è stato il loro ruolo nell’attacco mortale al villaggio yemenita. "Chi vende consapevolmente armi ad un paese che le usa per violare i diritti umani deve rispondere di fronte alla giustizia" ha detto Alessandro Gamberini, avvocato della Rete Italiana Pace e Disarmo. Da anni la società civile chiede il blocco delle esportazioni di armamenti verso l’Arabia Saudita. Ora che è stato approvato, sarà rispettato o si tratta solo dell’ennesimo escamotage per placare l’opinione pubblica mentre si continua a vendere armi utilizzando mille altri espedienti?

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