Sono 1.271 i detenuti all'ergastolo ostativo, conosciuto come “fine pena mai”, che potrebbero accedere alla libertà condizionale, pur non collaborando con la giustizia, se la Consulta dovesse modificare la norma vigente, lasciando al singolo magistrato di sorveglianza la responsabilità della decisione.
Tra questi 1271 detenuti ci sono i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss palermitani di Brancaccio che conservano gelosamente i segreti delle stragi del ’92 e ’93. Condannati all’ergastolo per le bombe che uccisero Falcone e Borsellino con le rispettive scorte, per gli ordigni esplosi nel 1993 a Roma, Milano e Firenze con la morte di tanti innocenti per la scelta stragista dei corleonesi, per l’omicidio di Pino Puglisi, si trovano in carcere dal 1994, avendo concepito i loro figli mentre erano al 41 bis (incredibile, ma vero!!!), ma sono ancora, anagraficamente, relativamente giovani: Filippo 59 anni, Giuseppe 56.
"Lui ha ancora una speranza", ha detto recentemente - riferendosi a Filippo - Salvatore Baiardo, l’uomo che ha curato la latitanza dei Graviano nel Nord Italia nei primi anni ’90, prima dell'arresto. “Che speranza?”, gli ha chiesto l’inviato della trasmissione Report. “Che l’ergastolo venga abrogato. Quella è ancora l’unica sua speranza”, è stata la risposta netta di Baiardo.
Sarà una coincidenza, ma uno dei primi mafiosi di rango a chiedere il permesso premio, sulla base della sentenza della stessa Consulta del 4 dicembre 2019, è stato Filippo Graviano. Non intende collaborare con i magistrati, né svelare i tanti misteri ancora da chiarire delle bombe, ma sostiene di essersi dissociato da Cosa Nostra, e dunque di poter godere dei benefici di legge previsti inizialmente per i detenuti comuni.
E tutto questo fa sorgere degli interrogativi sulle dichiarazioni che negli ultimi mesi Giuseppe Graviano sta facendo a Reggio Calabria davanti al PM Lombardo, dichiarazioni che stanno indicando in un ex cavaliere di Arcore il segnavia di intrecci perversi fra cosa nostra e politica.

Le coincidenze dei Graviano e quella spinta sull'ergastolo ostativo
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- Nicola Morra