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Avviene in Umbria, a Gubbio, e lo scenario potrebbe ripetersi in tutta Italia. La chiamano “svolta green” e piace molto ai magnati del cemento che tentano il tutto per tutto per fare business buttandosi sul redditizio mercato dei rifiuti, promuovendo l’utilizzo del Combustibile Solido Secondario (CSS) da bruciare nei forni dei loro stabilimenti. Un metodo conveniente per le tasche delle lobby del cemento, che indossano l’abito dei benefattori assicurando nientemeno che bruciare CSS risolverà il problema dei rifiuti. Peccato però che i cementifici sono nati per produrre cemento e non per essere degli inceneritori.

La maschera green
Bruciare rifiuti sarebbe la “svolta green”? Chiamiamo le cose col loro vero nome: si tratta di una gigantesca operazione finanziaria, travestita con ipocriti annunci che promettono un verde futuro sostenibile per i cittadini. Ma la verità è che i cittadini diventeranno “esposti involontari” a metalli pesanti, particolato, polveri sottili e altri inquinanti di cui è scientificamente dimostrata la mortale pericolosità. Insomma, si tratta del solito greenwashing in voga tra le file globaliste che fanno impresa anche a discapito della popolazione.

Nella città dove San Francesco ha domato il lupo, oggi c’è da temere un lupo ancora più feroce: la bestia nera del business che si nasconde dietro la maschera del falso progresso. La mossa dei cementieri rischia di fare scacco matto alla salute pubblica. Quello che si prospetta a Gubbio e che potrebbe toccare anche altre città italiane, è un’ecatombe consumata in una delle città medievali più belle della nostra penisola che ora rischia di balzare agli onori delle cronache per divenire la pattumiera ‘green’ del Centro Italia dove si chiuderebbe il ciclo dei rifiuti non solo dei territori limitrofi ma probabilmente anche di quelli esteri. E questo non è “terrorismo psicologico” ma è un grave ammonimento basato su dati scientifici che preoccupano non poco i cittadini che si troverebbero a vivere in una città dove ogni anno vengono bruciate fino a 100 mila tonnellate di rifiuti. Una prospettiva che rischia di trasformare una delle più belle città medievali della penisola nell’immondezzaio-green del Centro Italia per opera dei soliti paperoni che vogliono decidere le sorti di un intero territorio.

A spingere per l’attuazione di questo infausto e non-lungimirante piano, sono i due gruppi del cemento presenti a Gubbio: Colacem S.p.A. e Cementerie Aldo Barbetti S.p.A., proprietari di due imponenti cementifici non distanti da scuole e abitazioni. Queste aziende hanno fatto richiesta direttamente alla Regione Umbria per bruciare CSS nei loro impianti, e le richieste sono al vaglio delle istituzioni.

Cosa significa bruciare CSS nei cementifici
Già noto come CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti), il CSS è costituito da plastiche, vernici, pneumatici, fanghi, rifiuti combustibili, scarti di tessuti animali e molto altro pattume. La denominazione “CSS” (Combustibili Solidi Secondari) è un ingannevole trucco lessicale che omette il termine “rifiuti” per aggirare furbescamente la normativa che disciplina l’immondizia. Questa scappatoia da volponi, ideata nel 2010 durante il governo Berlusconi, fu normata con i regolamenti attuativi da Clini, rinviato a giudizio con l’accusa di peculato, abuso d’ufficio e corruzione. Così il decreto ministeriale n. 22 del 14 Febbraio 2013 dà alle aziende la possibilità di bruciare rifiuti per favorire il recupero energetico spacciandolo come “economia circolare”, un pretesto che oggi somiglia tanto a un dito ipocrita dietro cui si nascondono le lobby del cemento mentre invocano l’alibi sempreverde del “ce lo chiede l’Europa”. Ma il vero punto di vista dell’Unione Europea sbugiarda la fasulla “economia circolare” dei rifiuti. Infatti, a Maggio 2018, due direttive della UE (850 e 851) hanno stabilito che solo il recupero di materia può essere definito realmente “virtuoso” e quindi escludono de facto la chiusura del ciclo dei rifiuti tramite l’incenerimento, in quanto recessiva.

L’Italia ha recepito entrambe le direttive europee con i decreti 116 e 121 del Settembre 2020, ma i colossi del cemento umbro fanno orecchie da mercante e vanno avanti per la loro strada contraria alle più recenti direttive europee (e al buonsenso civico), perché non vogliono perdere i lauti guadagni derivanti dall’incenerimento dei rifiuti. Pur di raggiungere il loro scopo, questi industriali tradiscono le stesse direttive europee, minimizzano gli allarmi scientifici sull’inquinamento, trascurano le preoccupazioni dei cittadini, sottovalutano la presenza delle ecomafie che potrebbero inserirsi nel mercato dei rifiuti, sminuiscono l’impatto su ambiente e salute, e non si curano del fatto che l’economia e il turismo subirebbero effetti catastrofici se Gubbio dovesse divenire da ridente cuore verde a velenosa pattumiera d’Italia.

La Giunta umbra, a guida leghista, non sembra essere allarmata dal problema. In una regione che si caratterizza per una raccolta differenziata virtuosa e che potrebbe aprirsi a nuove proposte come quella presentata dal Coordinamento Regionale Rifiuti Zero, la politica pare strizzare l’occhio ai grandi magnati del cemento che già da decenni inquinano il territorio utilizzando come combustibile industriale il velenoso pet-coke, derivante dagli scarti della lavorazione petrolifera.

Forse è opportuno ricordare alla Giunta umbra che i due cementifici eugubini (che distano pochi chilometri l’uno dall’altro e sono limitrofi ai centri abitati), nel 2011 sono stati definiti dall’European Enviroment Agency (EEA) come il primo (Barbetti) e il secondo (Colacem) cementificio per danno ambientale in Italia e tra le 622 aziende che hanno creato maggior danno all’ambiente in Europa (www.eea.europa.eu/publications/cost-of-air-pollution/spreadsheet/view)

Oggi entrambe le aziende, Colacem S.p.A. e Barbetti S.p.A., storicamente rivali nel mercato, sono unite nel comune intento di bruciare rifiuti a Gubbio. Le aziende, oltre ad essere balzate agli onori delle cronache europee per il loro impatto a livello ambientale, sono famose anche per le vicende giudiziarie che hanno riguardato negli ultimi anni i loro vertici. Carlo Colaiacovo, a capo della Colacem S.p.A., coinvolto nella vicenda dell’ex procuratore aggiunto di Perugia, Antonella Duchini, è stato accusato di abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio nell’ambito della faida economica familiare; insieme a lui tra gli indagati, oltre alla PM, vi sono anche l’ex ROS Costanzo Leone e l’ex luogotenente Orazio Gisabella. Il patron italiano del cemento è tutt’ora rinviato a giudizio in questo processo che si celebra a Firenze.

Maria Antonella Barbetti, responsabile della Barbetti S.p.A., è stata coinvolta nell’inchiesta “Grandi Eventi” per finanziamenti illeciti a Denis Verdini insieme all’ex-deputato Rocco Girlanda di Forza Italia, responsabile delle relazioni esterne ed istituzionali del gruppo. Tale procedimento giuridico ha visto poi la prescrizione per l’amministratrice delegata delle Cementerie Barbetti.

La posizione della Regione Umbria
La richiesta dei cementieri di Gubbio si inserisce nell’ambito delle decisioni politiche della Regione, guidata da esponenti che sembrano schierati dalla parte degli industriali tramite l’assessore Roberto Morroni, vicepresidente della Regione, che in un celebre video (ormai virale nel web) ha affermato in modo assai concitato che la Giunta non può “ledere quelli che sono interessi legittimi delle aziende”. Vanno nella stessa direzione (un caso?) anche i progetti presentati dalla Giunta a trazione leghista per attingere ai soldi del Recovery Plan europeo, al quale la Giunta ha richiesto più di 25milioni di euro da destinare alla produzione di CSS in diverse città umbre e al trattamento dei rifiuti proprio nel Cuore Verde d’Italia. Di fronte a un simile giro d’affari, speriamo che i politici umbri stiano prendendo le giuste precauzioni per scongiurare l’intromissione delle ecomafie particolarmente inclini al business dei rifiuti.

Insomma, sembra che in Regione il cosiddetto Next Generation EU, pensato per dare possibilità di sviluppo alle nuove generazioni, si sia trasformato in una ghiotta occasione per trasformare il Cuore Verde d’Italia nell’immondezzaio nazionale.

Sulla stessa scia si inserisce la richiesta fatta in Regione anche dall’azienda Maio Tech S.R.L. (sempre con sede a Gubbio) che vorrebbe stoccare rifiuti pericolosi e non, nella frazione eugubina più popolosa. Anche i vertici di questa azienda, Maurizio Campitelli e Francesco Maio, finirono agli onori delle cronache nazionali per essere entrambi stati indagati nel 2010 dalla Procura di Napoli per associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, truffa aggravata, corruzione e accesso abusivo a sistemi informatici, reati tutti prescritti nel 2018.

Le preoccupazioni dei cittadini
Le paure dei cittadini di Gubbio e degli umbri in generale sono molteplici. Esiste un rischio concreto relativo alla salute da non sottovalutare, perché le emissioni inquinanti di metalli pesanti, nanoparticelle, diossine, particolati ed altri inquinanti legati a questo tipo di industrie insalubri di prima classe possono recare danni epigenetici importanti che colpiscono la popolazione esponendola a rischio di tumori, patologie autoimmuni, malattie cardiovascolari e non solo. Tali inquinanti possono provocare anche danni a livello fetale durante le fasi della gestazione, come ha affermato il Prof. Fabrizio Bianchi del CNR, intervenuto nell’ambito del convegno “PRIMA DI TUTTO LA SALUTE” organizzato a Gubbio dai Comitati cittadini lo scorso ottobre. Le preoccupazioni dei cittadini sono legate inoltre anche all’assenza di un’indagine epidemiologica che sul territorio di Gubbio non viene portata avanti da anni. Al momento attuale non si sa quindi quali siano i possibili danni sugli “esposti involontari” al rischio già prodotto dalle grandi cementerie della città, impianti che negli anni possono aver emesso numerose fonti altamente inquinanti come ossido di azoto, monossido di carbonio, ossidi di zolfo, ammoniaca, benzene, acido cloridrico, diossine, mercurio, arsenico, cadmio e nichel, interferenti endocrini oltre a numerose quantità di anidride carbonica.

È inquietante che la Regione Umbria abbia smantellato il registro tumori regionale, che manca di dati completi dal 2016. Oggi in Umbria non vi sono dati pubblici e consultabili sui livelli di incidenza dei tumori. Sappiamo solo che a Gubbio molte persone sono colpite da diversi tipi di patologie che potrebbero essere collegate all’inquinamento causato dalle due industrie del cemento. Per questa ragione i Comitati cittadini richiedono indagini ambientali, dati certi sulla salute dei cittadini e analisi imparziali su tutte le matrici e i bioindicatori che possono fornire un quadro corretto dell’attuale situazione, a maggior ragione perché si tratta di un territorio caratterizzato come “conca” soggetta al ristagno degli inquinanti, specie se l’inquinamento è pluridecennale ed è causato da industrie insalubri di prima classe, che ora vogliono anche bruciare rifiuti.

In questo allarmante quadro, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA Umbria), che riceve ogni anno 94mila euro di contributi “non vincolati” da parte dei cementieri di Gubbio (47mila euro ciascuno), fatto su cui è stata presentata un’istanza di accertamento alla Guardia di Finanza da parte dell’Avv. Valeria Passeri, rassicura i cittadini dicendo che la qualità dell’aria è buona e che il problema dell’inquinamento a Gubbio non è da imputare a due tra i cementifici più inquinanti d’Europa, come dice l’Agenzia Europea dell’Ambiente, ma la colpa ricadrebbe sui caminetti e sulle stufe delle case private. Queste sono le dichiarazioni ufficiali.

Le ricadute? Non solo sulla salute
Fortemente preoccupati per l’impatto sulla salute, i cittadini di Gubbio si chiedono anche quali conseguenze avrà tutto questo su settori già fortemente in crisi a causa della pandemia da Covid-19, come il settore turistico, quello enogastronomico e quello agricolo, che negli ultimi anni interessano molti giovani imprenditori di talento.

Numeri inquietanti
Come emerge dalla domanda presentata da Colacem S.p.A., il cementificio richiede di bruciare fino a 50mila tonnellate annue di CSS, da sommare alle altre 50mila tonnellate da bruciare nell’altro cementificio di Barbetti S.p.A che parimenti ne ha fatto richiesta in Regione.

I rischi delle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti
Dubbi e inquietudini dei cittadini non si limitano alla salute, all’inquinamento e alle conseguenze economiche, ma si rivolgono anche alle possibili infiltrazioni malavitose che caratterizzano il settore rifiuti. Tali preoccupazioni derivano da fatti molto concreti. In passato Gubbio è stata suo malgrado protagonista di fatti legati alla criminalità organizzata. Ricordiamo ad esempio l’uccisione dell'ex-collaboratore di giustizia Salvatore Conte, appartenente al clan dei Casalesi, il cui cadavere fu trovato in un bosco nei dintorni della città, vicenda collegata al coinvolgimento dell’azienda Sirio Ecologica nello smaltimento illegale di rifiuti.

Ancora più allarmante è il caso della società calabrese “RaDi” la cui sede si trovava in corso Garibaldi, via principale di Gubbio. La RaDi, attiva proprio nel settore raccolta, trattamento e smaltimento rifiuti, ha visto il suo legale rappresentante Carmelo Ciccone accusato di “estorsione aggravata da modalità mafiosa” e di legami con personaggi legati a Cosa Nostra, oltre a minacce connesse a gare d’appalto per la raccolta di rifiuti solidi urbani in un comune calabrese. È strano che l’azienda avesse una sede proprio nella via principale del centro storico di Gubbio.

È di pochi giorni fa la notizia che riguarda un’inchiesta aperta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Ancona che indaga insieme ai Carabinieri Forestali su un traffico illecito di rifiuti speciali che sarebbero finiti in una delle cave di Gualdo Tadino, paese limitrofo a Gubbio. Inchiesta che coinvolge 20 indagati che avrebbero messo in atto un traffico illecito di rifiuti reso possibile grazie al concorso di un funzionario della Regione Umbria, coinvolto probabilmente insieme a un dirigente della Regione Marche e ad uno del comune di Fabriano. La vicenda riguarderebbe diverse migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi occultati e sepolti nelle cave sequestrate del comprensorio umbro fatti passare per terreno vegetale pronto per la rinaturalizzazione. Un’azione resa possibile dall’assenza di controlli che, sembrerebbe, abbiano facilitato l’illecito.

Questo ci consente di dire che anche il Cuore Verde d’Italia non è estraneo alle ecomafie e agli ecoreati. Ricordiamo il grande scandalo che in passato ha coinvolto Gesenu (società per azioni a capitale misto pubblico-privato), che gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nell’intera regione. L’azienda è finita al centro di uno scandalo legato alla gestione “criminale e mafiosa” dei rifiuti, definita come tale nel corso della requisitoria del Procuratore Capo Cantone all’interno del processo “Spazzatura Connection”. Dalle indagini del Procuratore Capo è emerso “uno spaccato gravissimo di inquinamento ambientale: comportamenti riferibili più alle ecomafie che a una società pubblica” che sono stati posti in essere da “connivenze istituzionali”.

Tutti fatti quindi che dimostrano come l’Umbria sia terra permeabile dal punto di vista delle infiltrazioni mafiose, specie nelle vicende che riguardano il traffico di droga e la gestione dei rifiuti, come ricordato anche dal Procuratore Nicola Gratteri nel corso dell’evento Etica&Legalità tenutosi a Perugia lo scorso anno, e come emerge anche dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.

La situazione del CSS a Gubbio può rappresentare un terreno fertile per le ecomafie, e i cittadini sono preoccupati perché hanno già visto transitare per le vie della città camion di società che in passato sono state sottoposte ad interdittive antimafia, come la società Ad Logistica della famiglia De Sarlo, la società Caturano Autotrasporti i cui vertici sono stati coinvolti in indagini perché vicini al clan dei Casalesi o come l’azienda di trasporti Futura di Veroli accusata dai Pm di utilizzare mezzi e uomini dei Casalesi per condurre i lavori e sottoposta anche lei ad interdittiva antimafia.

Recentemente anche il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha posto l’accento sui nuovi scenari che il sistema criminale delinea in relazione alla post-emergenza pandemica: “Quando l’emergenza sarà finita, il sistema criminale mafioso cercherà di stabilizzare il suo ruolo nel mutato scenario economico mondiale. Sarà quello il momento in cui andrà rafforzata l’attività di monitoraggio di tutte le operazioni finanziarie sospette, visto che la ‘Ndrangheta non mirerà più solo ad acquisire la gestione occulta delle imprese, ma cercherà, più che in passato, di rafforzare la sua presenza nella gestione dei servizi essenziali, estendendosi dallo smaltimento dei rifiuti e dal ciclo del cemento al settore creditizio, a quello sanitario, delle forniture medicali o, più in generale, dei beni di prima necessità”.

Insomma, lo scenario che si delinea a Gubbio e che potrebbe riguardare anche altre città italiane, assume tinte sempre più fosche che rendono più che sensate le preoccupazioni di un’intera città schierata contro l’incenerimento dei rifiuti nei cementifici.

Ora ci auguriamo che le aziende del cemento di Gubbio riflettano bene prima di utilizzare Combustibile Solido Secondario nei loro impianti e che decidano di puntare su fonti certamente più green ed ecosostenibili per proseguire i loro business, tutelando tutti i cittadini, esposti involontari al rischio, salvaguardando l’ambiente, l’indotto del turismo e le tradizioni secolari che sulle orme di San Francesco mirano al rispetto del Creato e non al perseguimento del profitto di pochi a discapito di molti. E auspichiamo che le autorità preposte alla tutela della collettività difendano questo meraviglioso territorio da ogni possibile infiltrazione mafiosa dato che più volte è emerso che dove vi è traffico di rifiuti è sempre alto il rischio che la criminalità organizzata si faccia avanti.

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