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Su wordnews l'intervista al senatore ex M5s sui temi della giustizia e della lotta alle mafie

L'ex grillino, il senatore Mario Michele Giarrusso, espulso l’anno scorso dal M5s e attualmente iscritto al Gruppo Misto,  nel corso di una videointervista esclusiva a WordNews, ha risposto alle domande del direttore di WordNews Paolo De Chiara e della collaboratrice Alessandra Ruffini.
Così sono stati ricordati diversi fatti tra cui le promesse e le proposte che furono fatte al magistrato Nino Di Matteo prima che il Movimento Cinque Stelle entrasse nella "stanza dei bottoni" del governo. "Al tempo della campagna elettorale del 2018, il dottore Di Matteo era dato - in caso di vittoria - come uno dei ministri del futuro Governo 5Stelle - ha ricordato Giarrusso - Invece, il M5s ha pensato di mettere uno sconclusionato come Bonafede, privo di esperienza nella lotta alle mafie, con pochissima esperienza professionale e nessuna spina dorsale, addirittura allo strategico Ministero della Giustizia».
Il secondo tradimento arrivo quando Bonafede disse che avrebbe indicato Di Matteo come capo del Dap. «Noi - ha dichiarato Giarrusso - sappiamo, perché sono dati ufficiali, che i mafiosi al 41-bis lanciarono un proclama contro Di Matteo, temendo il suo arrivo al Dap come qualcosa che andasse contro i loro interessi». 
Di fatto un riferimento è alla nota inviata dal Gom della Polizia penitenziaria alla Procura nazionale Antimafia e alla stessa Direzione del Dap, in cui si riportavano le reazioni di alcuni boss legati ai Graviano e ad altri stragisti: “Se Di Matteo viene nominato al Dap, è la fine”.
Giarrusso ha parlato di «raggiri» di Bonafede nei confronti del magistrato, al quale era stato proposto di scegliere fra l’incarico del Dap o della Direzione Generale degli Affari Penali. «Nelle stesse ore in cui Bonafede lascia a Di Matteo la scelta, un altro magistrato - Basentini, assai vicino alle logiche del sistema correntizio - deposita al Ministero tutta la documentazione necessaria per accettare l’incarico del Dap. Una documentazione di non poco conto, che richiede del tempo per essere preparata». Per questo, denuncia Giarrusso, il ministro Bonafede avrebbe giocato «una partita truccata con Di Matteo»: prospettare al magistrato un incarico - quegli agli Affari Penali - ormai declassato (ben diverso da quello ricoperto da Falcone), non di diretta nomina ministeriale (perché per accedervi è previsto un concorso interno) e, per giunta, già legittimamente occupato da altro magistrato.
Giarrusso dunque ha definito il fatto come un’«offesa grave a Di Matteo», ed una «messa in scena» in cui, per fingere «che Di Matteo avesse detto di no, gli è stata fatta una proposta che si può solo rifiutare».
Parlando dello scandalo delle scarcerazioni durante il periodo della Pandemia il senatore è partito dalle rivolte nelle carceri del 2020. Dopo questa «prova di forza della mafia» (la vera mano che si cela dietro le rivolte) nei confronti dello Stato, «la risposta è stata una circolare del Ministero della Giustizia» che ha permesso la scarcerazione di centinaia di mafiosi, superando il dettato normativo che impone dei vincoli alla commutazione della pena.
Altri argomenti trattati quello delle difficili condizione di collaboratori e testimoni di giustizia. Anche su questo punto il senatore Giarrusso punta il dito contro l’ex ministro della Giustizia: «Bonafede, di concerto con il Ministro degli Interni, ha emanato un atto folle, un decreto interministeriale con cui ha messo nelle mani dei mafiosi, scoprendo le loro identità e il loro luogo di residenza, i figli e il coniuge di Piera Aiello, la prima donna testimone di giustizia in Sicilia». Il motivo? Il fatto che, secondo Giarrusso, Piera Aiello avrebbe «“osato” mettere in discussione il trattamento dei testimoni e dei collaboratori di giustizia, mettendosi a capo del Comitato della Commissione Antimafia che sta indagando sulla questione e ha scoperto delle cose vergognose. Piera Aiello era stata messa nelle condizioni di non potersi operare per il cancro: per 6 mesi non ha potuto recarsi in ospedale perché non aveva nemmeno più il codice fiscale. Questo è successo con il M5s e con la lotta alla mafia. È una situazione gravissima».
Giarrusso ha anche parlato di "falle" rispetto ai programmi di protezione puntando il dito contro chi ha ricoperto incarichi ministeriali negli ultimi Governi che si sono succeduti: «Luigi Gaetti e Vito Crimi hanno dimostrato - a giudizio di Giarrusso - tutta la loro incapacità e arroganzanei confronti di tdg e cdg. Abbiamo messo Gaetti e Crimi davanti alle loro responsabilità, ora loro vogliono mandare via il Presidente della Commissione Antimafia Morra per aver messo in discussione il loro operato nella lotta alla mafia». Un arroganza che, negli ambienti istituzionali, si è spinta fino ad incolpare alcuni testimoni di giustizia per i loro comportamenti poco prudenti.
Gaetti, in particolare, è colui che si è offerto di fare da medico legale per la famiglia di Attilio Manca, l’urologo siciliano che operò Provenzano e, per averlo riconosciuto, fu “suicidato” dallo Stato l’11 febbraio 2004. Dopo le perizie, Gaetti concluse che Manca fosse morto per overdose. La tesi del suicidio venne fatta propria nella relazione conclusiva della maggioranza della Commissione Bindi.
Altro argomento toccato è quello del neonato governo Draghi e l'inizio a Messina del processo contro la "Mafia dei Nebrodi" a carico di 97 imputati. Un processo importante, in cui «per la prima volta questa mafia è stata vista come fenomeno unitario, non più come gruppo organizzatore di semplici frodi comunitarie».
Tanti i misteri su cui fare luce, come quello delle morti improvvise, a distanza di breve tempo l’una dall’altra, di due poliziotti del comitato investigativo sulle appropriazioni di fondi per milioni di euro. Uno di loro era colui che rispose al fuoco degli attentatori del presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, impegnato ora come allora in prima linea contro questa organizzazione criminale.

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