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Yanis Varoufakis, economista post-keynesiano, docente di teoria economica presso l’Università di Atene, ed ex Ministro delle Finanze del primo Governo Tsipras, è un uomo che nella sua vita politica si è battuto contro quell’oligarchia finanziaria transnazionale che, oggi, domina l’Europa come domina il mondo intero, e che esula dalla capacità di intervento degli Stati nazionali per come li conosciamo.
Fermo sostenitore del “No” al Referendum del 2015 che poneva i cittadini ellenici di fronte all’accettazione o al rifiuto delle proposte avanzate da Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea, ha fondato nel febbraio 2016 DiEM25, un movimento politico per la trasformazione in senso democratico dell’Unione Europea, che di democratico, almeno fino ad ora, sembra avere proprio poco. Le proposte avanzate dalla cosiddetta “Troika”, in sostanza, ponevano al centro le stesse riforme di cui sentiamo parlare anche in Italia da più di trent’anni: privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli alla Spesa Pubblica, aumento della tassazione, abbassamento delle pensioni ed innalzamento dell’età pensionabile, ecc… Stiamo parlando delle tipiche ricette neoliberiste, quelle che “ridanno fiducia ai mercati ed agli investitori”. Nonostante il voto contrario al referendum, il Governo ha accettato comunque i diktat imposti da Bruxelles, con le conseguenze che tutti ben conosciamo: secondo la rivista “The Lancet”, la mortalità infantile in Grecia, a causa delle misure di austerità, è aumentata del 43%. Mario Monti, ex Primo Ministro italiano, che come Mario Draghi proviene dalle maggiori organizzazioni internazionali e lobbies, e dalla banca d’affari Goldman Sachs, ebbe a dire che “la Grecia è il più grande successo dell’Euro”.

Varoufakis è stato intervistato per la rivista FQ Millennium, e nei giorni scorsi il Fatto Quotidiano ha pubblicato un’anticipazione.
L’ex Ministro delle Finanze ellenico ha espresso forte considerazioni in contrapposizione a Mario Draghi, che proprio quando avveniva il disastro in Grecia era a capo della BCE. All’ex Banca d’Italia viene rimproverato il fatto di aver tagliato fuori le banche greche dalle linee di credito, “costringendole così a finanziarsi sui mercati a tassi molto più onerosi”. Insomma, con quella decisione, Mario Draghi avrebbe messo la Grecia con le spalle al muro, andando tra l’altro contro il compito affidatogli dal Trattato di Maastricht, secondo cui “Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario”.
Secondo Varoufakis, Draghi avrebbe avuto “una sorta di accordo con la signora Merkel: lei lo avrebbe sostenuto contro la Bundesbank nell’acquisto di titoli di Stato italiani (cosa che effettivamente aveva iniziato a fare col Quantitative Easing avviato nel marzo 2015, ndr). In cambio avrebbe contribuito a mettere Atene spalle al muro”.

In un’intervista rilasciata al Financial Times, pubblicata il 25 marzo 2020, Draghi si è dichiarato a favore di politiche economiche espansive in questo momento di pandemia. Quasi una contraddizione per l’ex allievo di Federico Caffè che, de facto, ha dimostrato di aver tradito gli ideali e le posizioni del post-keynesismo durante tutta la sua carriera politica, bancaria, ed istituzionale. Varoufakis, nella sua intervista, ha messo in evidenza che Draghi, da Primo Ministro italiano, “sceglierà di presentarsi come socialdemocratico”, e che addirittura “non esiterà neppure a incolpare Berlino e Bruxelles per le difficoltà economiche dell’Italia e a invocare quelle stesse politiche di stampo keynesiano contro cui si è duramente opposto quando era alla Bce”. Tuttavia, secondo il docente universitario ellenico, dietro le quinte avverrà il contrario, con un Mario Draghi che “continuerà a favorire fedelmente le politiche austere che Berlino si attende da un capo di governo italiano”.

Staremo a vedere. Sta di fatto che le premesse non sono affatto buone, né per quanto concerne la carriera di Mario Draghi, né per quanto concerne una delle sue ultime pubblicazioni, in concomitanza con il Gruppo dei 30, la potentissima lobby di banchieri, economisti, accademici, che ha dettato legge alla maggior parte dei governi del mondo sulla regolamentazione degli strumenti derivati. Si tratta di un documento dal titolo “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid: Designing Public Policy Interventions”, in cui trenta persone sostengono che i governi non debbano preoccuparsi della sorte delle milioni di micro e piccole imprese, dei piccoli bar, dei piccoli artigiani; al contrario, il G30 invita i governi di tutto il mondo a sostenere esclusivamente il settore “Corporate”, quello delle grandi aziende, delle multinazionali, delle società già immensamente ricche e potenti. Tutto in perfetto ordine: i ricchi diventano ancora più ricchi e potenti, per i poveri si può benissimo applicare la cosiddetta “creative destruction”, ideata da Joseph Shumpeter, che in questo caso assume le sembianze di una vera e propria “eutanasia economica”. Il fatto che tale documento sia stato firmato anche da Mario Draghi è gravissimo, specie se consideriamo il fatto che dopo un paio di mesi egli è approdato alla Presidenza del Consiglio italiano.

Foto © Imagoeconomica

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