Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Uomo dei misteri, il nome dell’ex "Primula nera" è collegato a 50 anni di storia segreta d’Italia

Sfogliando le pagine di storia della nostra Repubblica, specie quella più recente che va dalla strategia della tensione alle bombe di mafia degli anni ’90, ci accorgeremo che certi personaggi compaiono in più di un capitolo. Parliamo di soggetti “poliedrici”, “grigi” - se così vogliamo definirli - appartenenti alla faccia nascosta del nostro Paese. Uno di questi personaggi è senza dubbio Paolo Bellini. Braccio della destra eversiva negli anni 70 tra le file di Avanguardia nazionale, latitante tra Brasile ed Europa con il falso nome di Roberto Da Silva negli anni ’80, negoziatore per conto dello Stato con Cosa nostra nei primi anni ’90 e sicario di ‘Ndrangheta qualche anno più tardi, il nome di Bellini attraversa in un modo o nell’altro mezzo secolo di storia e di segreti del nostro Paese. Un personaggio dalle mille vite insomma. Di recente il suo nome è tornato alla ribalta perché accusato di aver trasportato la bomba che il 2 agosto 1980 uccise 85 persone ferendone altre 200 alla stazione di Bologna, la strage più grande d’Italia dal dopo guerra. Per la Procura generale di Bologna che ha indagato sui mandanti di quell’attentato, oltre ad aver preso parte all'eccidio, la "Primula nera" è anche il custode di decenni di segreti inconfessabili. A fine anni '80 Bellini è stato indagato per l’attentato ma venne prosciolto il 28 aprile del '92 perché la sua presenza in una pensione nei pressi della stazione, nei giorni che precedettero la bomba, non era stata ritenuta sufficiente a farlo finire a processo ed erano state liquidate due testimonianze. Ora l’accusa è tornata nuovamente in campo nel 2018 con il più recente procedimento sul massacro. Per questo il 27 novembre scorso Bellini si è presentato all'udienza preliminare del processo che lo vede imputato per "concorso in strage". Lo ha fatto da uomo libero, visto che lo scorso febbraio il gip aveva respinto l'ordinanza di custodia cautelare avanzata dai pm.
Con quel suo tono rassicurante e il suo inconfondibile accento emiliano finora Bellini si è sempre difeso dicendo: “Io con questa storia non c’entro”. Ma per i magistrati l’ex di Avanguardia nazionale c’entra eccome. Sostengono, infatti, che Bellini fosse alla stazione di Bologna assieme a Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva come esecutori della strage) e Gilberto Cavallini (condannato in primo grado per concorso in strage. Ad incastrarlo sarebbe anche un filmato amatoriale girato sul primo binario della stazione di Bologna in cui viene ripreso un uomo riccio coi baffi nel quale l’ex moglie di Bellini dice di riconoscere l’ex compagno. Aspetti, questi, che probabilmente andranno discussi nell'udienza preliminare del nuovo filone dei processi sulla strage di Bologna che si celebra davanti al Gup Alberto Gamberini. Udienza che si terrà il prossimo 1° febbraio.

Mille vite, un solo nome

Ma chi è dunque Paolo Bellini? Per rispondere a questa domanda dovremmo fare un salto indietro nella storia, agli anni ’70. A quel tempo, dopo aver trascorso un’adolescenza sotto l’influenza del padre che orbitava negli ambienti di estrema destra di Ordine nuovo, Paolo Bellini si trasferì in Portogallo, dove quasi tutti i terroristi di destra facevano tappa nella loro formazione militare. Dopo aver tentato di assassinare nel ’75 uno spasimante della sorella Bellini si rifugiò in seguito in Brasile dove cambiò identità e passaporto: Roberto Da Silva il suo nuovo nome. Tornò quindi in patria, prendendo casa a Foligno con l'aiuto del deputato del Msi e avvocato di Stefano delle Chiaie, Stefano Menicacci. Nel 1976 possedeva un porto d'armi e la licenza di aviatore. Viaggiò quindi in Germania, Svizzera, Francia, Paraguay e Brasile. Nei suoi viaggi in aereo porterà personaggi del calibro di Ugo Sirti, procuratore di Bologna e molto amico del padre. Lo stesso Sisti che, la notte dopo l’attentato del 2 agosto sulla quale era chiamato a condurre le indagini, verrà trovato dalla polizia nell'hotel “la Mucciatella” di proprietà dei Bellini. Anni dopo gli verrà contestato il favoreggiamento della latitanza del sicario, alias Roberto Da Silva. Sirti si difenderà affermando di non avere mai conosciuto la sua vera identità. Una tesi piuttosto singolare, che tuttavia gli varrà l'assoluzione. Il procuratore, inoltre, non era solo il capo dei magistrati bolognesi, è il magistrato che aveva coinvolto il Sismi nell'inchiesta sulla strage e che, dopo essere stato rimosso, è stato nominato a guidare il Dap, il dipartimento dell'amministrazione giudiziaria. E' stato lui ad autorizzare i servizi segreti del generale piduista Pietro Musumeci (poi condannato a 8 anni e 5 mesi peri depistaggi sulla bomba) a entrare nelle carceri per trattare con il camorrista Raffele Cutolo la liberazione di Ciro Cirillo, l'assessore Dc rapito in Campania dai brigatisti. Nel frattempo l’ex di Avanguardia nazionale venne arrestato 1981 per traffico di opere di antiquariato. Finì in carcere sempre con l’identità fasulla di Roberto da Silva fino al 1982, quando le impronte digitali svelarono il suo vero nome. Dopo alcuni trasferimenti nelle carceri italiane finì ecluso a Sciacca dove strinse amicizia con il boss di Altofonte Antonino Gioè, braccio destro di Giovanni Brusca e uno dei killer di Giovanni Falcone. La sua storia si intreccerà con quella di Gioè perché, tra le altre cose, protagonisti di una trattativa tra Stato e mafia, non quella che aveva come tramite Marcello Dell’Utri e Vito Ciancimino, ma una seconda trattativa, detta delle “opere d’arte”. Per conto del maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta, Bellini doveva cercare di recuperare alcune opere d’arte rubate dalla pinoteca di Modena. Per quelle opere si appoggiò all’amico Gioé e quindi alle sue conoscenza di capo mafia che in cambio chiese che venissero adeguate le condizioni detentive di alcuni boss di Cosa nostra rinchiusi al 41bis, tra i quali Pippo Calò, Luciano Liggio e Bernardo Brusca. La trattativa però venne chiusa dopo poco perché, come aveva detto lo stesso Bellini al processo contro Matteo Messina Denaro, “Gioè mi disse che Cosa nostra ne aveva una con i piani alti del Governo”. In quei vari incontri tra Bellini e Gioè l’ex terrorista aveva affermato che il boss gli aveva confidato di pensare a un attacco allo Stato colpendo i beni culturali. “Che ne direste se un giorno vi alzaste senza torre di Pisa?”, gli avrebbe confidato Gioé. Ma secondo il pentito Giovanni Brusca fu proprio Bellini a far balenare l'idea degli attentati al patrimonio artistico: “Se ammazzi un magistrato ne arriva un altro, disse a Gioè. Se butti giù la torre di Pisa distruggi l'economia di una città e lo Stato deve intervenire”.
Si arriva dunque gli attentati del 1993, effettuati proprio contro il patrimonio artistico italiano a Roma, Firenze e Milano. A poche ore dalle esplosioni Antonino Gioé venne trovato senza vita impiccato a una corda, per gli inquirenti si tratta di suicidio per i pentiti, invece, omicidio. Misteri che si aggiungono a misteri ma il nome di Bellini salta sempre fuori: nella cella dove è morto Gioé viene trovato accanto al corpo un biglietto in cui si faceva riferimento proprio a lui.
Passa del tempo e dopo un nuovo periodo passato in carcere nel 1993 per scontare un residuo di pena per furto di mobili qualcuno tentò di ucciderlo due anni dopo. Lo Stato lo inserì allora in un programma di protezione a cui successivamente rinunciò. Nel mentre a Reggio Emilia impazza una guerra di ‘Ndrangheta e Bellini diventa il sicario di Nicola Vasapollo, uomo del clan dei Dragone-Grande Aracri. Bellini diventò un fantasma tanto che alcuni lo ritengono soggetto intraneo ai servizi segreti. Bellini tuttora nega. Eppure è sempre riuscito ad anticipare le mosse dei suoi avversari, siano essi mafiosi del clan di ‘Ndrangheta rivale che lo volevano eliminare o forze dell’ordine intenti a catturarlo. Ricomparirà dunque nel 1999 quando venne arrestato e pentendosi ammise di aver commesso 13 omicidi. Non tutti di matrice mafiosa. Nella lista c'è anche Alceste Campanile, un militante di Lotta Continua ucciso nel reggiano nel 1975. Bellini venne giudicato colpevole, ma non pagò per intervenuta prescrizione. Dopo continue apparizioni in aula per testimoniare nei principali processi di mafia ora, nel 2021, il suo nome viene nuovamente riportato alla ribalta perché, come detto, sarebbe pesantemente coinvolto nella strage alla stazione di Bologna.
“Ora la battaglia per la verità sarà ostacolata in modo sovrumano”, aveva detto Paolo Bolognesi presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime della strage del 2 agosto alla richiesta di rinvio a giudizio per Bellini. “Inizia una strada difficilissima”, aveva aggiunto. Una strada che l’Italia finalmente, dopo oltre 40 anni, inizia a percorrere con coraggio.

Fonte: Venerdì di Repubblica

ARTICOLI CORRELATI

Strage Bologna, a febbraio nuova udienza del processo Bellini

Strage Bologna, ex moglie di Bellini conferma: ''Quello nel video purtroppo è lui''

Quarant'anni dopo la strage di Bologna una nuova speranza di verità

Strage Bologna: chiesto il processo per Paolo Bellini

Stragi '92: l'ex primula nera Bellini rammenta il canale americano nella Trattativa Stato-Mafia

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos