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Il magistrato: “La riforma porterà a una politicizzazione del pubblico ministero. Sorteggio? Vidi una simulazione, mi misi le mani nei capelli

Una riforma che non c’entra niente con la velocità dei processi, che tra l’altro è frenata da una serie di riforme che sono state fatte col consenso di chi oggi vorrebbe questa riforma epocale. Tutto questo diventa un grande fiocco su uno scatolo vuoto. Uno scatolo di una riforma dimostrativa, per certi versi, rispetto al processo, e per altri versi pericolosa perché allontana il pubblico ministero dalla dimensione del giudice e quindi dalla cultura della giurisdizione. Io credo che la banalizzazione di questa vicenda sia un rischio grave”. A dirlo è il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, intervistato da Il Fatto Quotidiano sulla recente approvazione al senato della riforma della maggioranza sulla separazione delle carriere di giudici e magistrati. Secondo il magistrato, ex consigliere togato del Csm, “un’autogoverno dei pubblici ministeri separato e sganciato dalla cultura della giurisdizione sarebbe peggio ancora di una dipendenza diretta dall’esecutivo perché darebbe luogo alle peggiori pratiche di scambio fra giustizia e politica”. Basta vedere, continua Ardita, “quello che è accaduto in altri paesi che hanno accolto questo tipo di riforma. Per esempio il Portogallo, dove esiste questo schema del doppio Csm con due organi di autogoverno nel quale i pubblici ministeri sono autogovernati. Questo - spiega il procuratore aggiunto - ha prodotto una iper politicizzazione dei pubblici ministeri i quali, quasi tutti, hanno fatto un percorso istituzionale che li ha portati dall’attività dentro al Cdm, fino alla politica. Questo è nelle cose, perché un pubblico ministero separato che non risponde più a un sistema di giustizia complessivo, di equilibrio e di diritti di tutti, avrà come obiettivo quello di apparire il più possibile come capace di contrastare fenomeni criminali”. E questo, afferma Ardita, “lo legherà in maniera diretta alla comunicazione. La comunicazione sarà tutto. Non importa se i processi poi si sbriciolano, quello che importa è comunicare all’esterno quello che si è fatto. La comunicazione crea immagine e l’immagine ovviamente si spende poi in politica”. Stando all’analisi del magistrato, quello che il governo vuole realizzare “è una deriva, una politicizzazione sicura del pubblico ministero”. 
In fondo - si chiede ardita - cos’è che funziona peggio nel nostro sistema in questo momento? “Non funziona l’attività tecnico-giudiziaria. I magistrati, come singoli, svolgono bene il loro lavoro, forse meglio di altre categorie, quello in cui peccano è l’autogoverno, cioè la parte politica del loro impegno. La parte che è rimessa alle scelte che la Costituzione vuole siano il frutto di un’autogestione. E quindi sono scelte politiche, ci si sceglie e in base alle scelte che vengono fatte poi si vota”. Quindi “la crisi della rappresentanza ha colpito anche magistrati, ma non in quanto soggetti tecnici ma in quanto chiamati a svolgere un ruolo politico. Tutto questo è difficilissimo da spiegare agli elettori. Ma in realtà il vero problema è che i mali della giustizia nascono dalla politica”. Per Sebastiano Arditaesiste una malattia di rappresentanza che ci ha colpito e ci ha resi meno credibili all’esterno. Quindi lo scontro giustizia-politica è uno scontro paradossale in cui quello che viene contestato, e cioè il correntismo, è un’espressione della politica. E questo sfocia in uno scontro tra giustizia e politica che mette in mezzo i magistrati i quali si trovano nelle condizioni di non potersi difendere”. Pertanto “oggi non è in ballo la prevalenza di una categoria istituzionale rispetto ad un’altra, che poco importa ai cittadini, ma l’equilibrio fra i poteri, già compromesso dal fatto che sono state varate delle norme incredibili nel nostro paese come quella che ha abolito l’abuso d’ufficio”. Il magistrato ha anche risposto a una domanda sul meccanismo del sorteggio dei componenti dei due organi di autogoverno della magistratura previsti dal disegno di legge. “Sono stato a lungo a favore del sorteggio poi ho visto le simulazioni di un sorteggio che è stato fatto da una componente di magistrati e mi sono messo un po’ le mani nei capelli”, ricorda Ardita. “La questione è delicata, c’è una responsabilità politica del Csm e dunque io credo che se il sorteggio servirà a debellare i gruppi organizzati avrà un senso altrimenti rischia di essere un male peggiore del rimedio che si intende adottare”.
Infine una domanda sulle soluzioni concrete per migliorare la giustizia in Italia. Secondo il procuratore aggiunto di Catania bisognerebbe “mettere mano a una riforma organica del processo penale che non si è mai fatta. Una riforma che semplifichi il processo penale, che non lo riduca o mortifichi le garanzie ma faccia arrivare come accade in tutti i paesi del mondo alla definizione completa di una vicenda penale”. 

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