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Il giornalista e conduttore di Report: "Qualcuno ha ipotizzato che mi sono messo la bomba da solo"

Dopo una puntata di Report che riguardava la presidente del Consiglio Meloni, lei ha dichiarato di essere stato pedinato su richiesta del sottosegretario Fazzolari (Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ha ricevuto dal Presidente del Consiglio la delega all’Attuazione per il programma di Governo, ndr): ci vuole raccontare meglio questo episodio e farci capire se ci può essere una connessione con quello che le è accaduto?
È dopo questa domanda posta dall’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato che il giornalista e conduttore di Report Sigfrido Ranucci ha chiesto di passare in seduta segreta.
La seduta è continuata in segreto per circa mezz’ora.
Su quanto avvenuto è intervenuto lo stesso sottosegretario. "Ho sempre avuto una bassissima considerazione di Scarpinato - ha affermato - e mi rincuora constatare che il mio non era un pregiudizio immotivato. Mi auguro che, nella sua risposta, Ranucci abbia avuto il decoro di non assecondare il delirio di Scarpinato e l'onestà intellettuale di ritrattare l'accusa surreale che mi aveva mosso di averlo fatto pedinare dai nostri servizi". Scarpinato ha poi replicato a sua volta a Fazzolari: "Al sottosegretario ricordo che io non ho insinuato un collegamento tra lui e l'attentato a Ranucci, mi sono limitato a raccogliere alcuni elementi durante l'audizione del giornalista Sigfrido Ranucci e poi a fare delle domande per capire cosa è fondato e cosa no. Il mio dovere nella commissione Antimafia - ha sottolineato Scarpinato - è quello di indagare e capire, anche attraverso le domande. Ho chiesto a Ranucci di spiegare perché alcuni mesi fa avesse dichiarato di essere stato pedinato dai Servizi Segreti su richiesta del sottosegretario Fazzolari e se ritenga ci sia una connessione tra il presunto pedinamento e altri elementi emersi sull'attentato del 16 ottobre. Ranucci ha poi risposto in seduta secretata e quindi quello che ha detto non può essere discusso pubblicamente".
Il tema del resto della seduta è stata la dedicata all'attentato del 16 ottobre. “Stiamo parlando di qualcosa di diverso da fuochi d'artificio”, ma “so che anche in una chat di un giornale, anche abbastanza serio, qualcuno ha ipotizzato che mi fossi fatto l'attentato da solo. Sarei stato talmente scemo da piazzarlo pure nell'unica macchina che non era assicurata per incendi o furti” ha detto Sigfrido Ranucci: ignoti hanno piazzato una bomba composta da un chilo di esplosivo sotto la sua auto, parcheggiata sotto la sua abitazione a Pomezia. Le macchine, ha specificato il giornalista, erano a gas; questo vuol dire che, se fossero esplose, “avrebbero buttato giù la palazzina”. Rimangono da chiarire diverse cose in merito alla vicenda: chi ha piazzato l’ordigno? Ci sono stati mandanti? Ma soprattutto, come facevano i sicari a sapere che Ranucci sarebbe rientrato a casa, dato che mancava da quattro giorni? “Se è così, tenuto conto che nessuno poteva sapere che lei rientrava a casa quella sera, com'è possibile che abbiano potuto collocare l'esplosivo proprio poco dopo che lei sia rientrato?”, ha chiesto l’ex procuratore generale di Palermo. “Questo, infatti, è uno degli oggetti dell'indagine – ha risposto Ranucci –. Io ho avvisato con un messaggio la scorta, diciamo, all'ultimo momento, perché mi ero riservato appunto la possibilità di partire da Roccamassimo, dove stavo, in provincia di Latina, e proprio appena finito di terminare il mio lavoro. Quindi ho informato all'ultimo momento: avevo dato orientativamente una data e un orario di massimo; insomma, l'orario definitivo l'ho comunicato con un messaggio alla scorta, dicendo ‘venitemi a prendere alle 21’. Quindi è stato comunicato praticamente quasi a ridosso della mia partenza. Questo è uno dei problemi. L'altra coincidenza, adesso che mi ha ricordato questo fatto, è che io qualche giorno prima, due o tre giorni prima, avevo lanciato i temi delle puntate attraverso il mio profilo social”. Temi scottanti, tra cui “alcune inchieste che avrebbero riguardato appunto le stragi, che saremmo ritornati sulle stragi”.


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Le minacce al giornalista: dal 2010 ad oggi

Ranucci è stato posto sotto tutela a partire dal 18 maggio 2010 fino al maggio 2011, e poi ancora dal 18 novembre 2018 fino al febbraio 2019, per una serie di inchieste legate alla denuncia delle attività della criminalità organizzata. La prima di queste ha riguardato la fornitura di sabbia da parte di una cava collegata alla famiglia Ercolano, legata a un boss condannato per le stragi, che operava con il silenzio-assenso della prefettura. Il 5 gennaio 2021, il collaboratore Francesco Pennino ha riferito a Ranucci una vicenda legata alla strage del Bataclan in Francia. Pennino aveva raccontato di ricordarsi di lui perché, quando si trovava nel carcere dell’Aquila — nel reparto infermeria del penitenziario di massima sicurezza —, aveva ascoltato l’ordine di ucciderlo da parte dei Madonia e dei Santa Paola, che erano detenuti nello stesso periodo. Era il 2010, e in quel periodo era uscito il primo libro di Ranucci - ‘Il Patto’ - sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, basato sul racconto dell’infiltrato, Luigi Ilardo. Nell’agosto 2021 Ranucci è finito nuovamente sotto scorta. Era stato avvisato dall’attuale ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi — all’epoca prefetto di Roma —, il quale aveva segnalato che, nel carcere di Padova, un narcotrafficante legato ad ambienti dell’estrema destra e della ’Ndrangheta aveva manifestato l’intenzione di rivolgersi a dei killer albanesi per ucciderlo; lo stesso soggetto era stato oggetto di una delle sue inchieste.
Poi nel corso degli anni, si sono verificati una serie di episodi di pedinamento, documentati dalla scorta di Ranucci e segnalati alla Digos. Nel febbraio 2022, il giornalista era venuto a conoscenza, tramite il collaboratore di giustizia Giovanni Bonaventura — da lui intervistato per un’inchiesta sull’infiltrazione della ’Ndrangheta nell’amministrazione veronese —, di una denuncia poi confluita in un’inchiesta di Report. Nel 2015, infatti, il programma aveva rivelato per la prima volta la presenza della famiglia Giardino nell’amministrazione veronese, famiglia che condizionava le elezioni e gestiva appalti pubblici.
Gli episodi più rilevanti sono avvenuti il 2 giugno 2024, quando, in seguito a una puntata dedicata alle stragi — nella quale la redazione si era soffermata sui casi dell’uccisione dell’onorevole Moro e di Piersanti Mattarella —, Ranucci aveva ricevuto una mail da un indirizzo ProtonMail, quindi criptato, contenente una minaccia: “Se dai altre informazioni sul caso Moro, ti ammazziamo”.


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Pochi giorni dopo, il 7 giugno, il responsabile della scorta aveva rinvenuto davanti alla casa del giornalista, dietro un cespuglio, alcuni proiettili di una P38. Le modalità del ritrovamento hanno ricordato la vicenda dell’ordigno del 16 ottobre: il materiale, infatti, è stato scoperto la mattina successiva al rientro di Ranucci, dopo alcuni giorni di assenza, in un giardino sottoposto a manutenzione costante, circostanza che fa ritenere possibile che i proiettili siano stati collocati la sera stessa. Infine, il 7 giugno 2024, al termine di una puntata di Report aveva dedicato all’accordo tra il governo Meloni e il premier albanese Rama sui centri per migranti, nell’ambito della quale si era parlato degli interessi di alcuni narcotrafficanti albanesi — in collaborazione con il cartello messicano dei Sinaloa — nel riciclaggio di denaro attraverso resort e concessioni turistiche in Albania, Ranucci ha ricevuto alle 5 del mattino dei messaggi dall’avvocato Alexandro Tinelli, già legale del narcotrafficante Pablo Escobar. L’avvocato gli ha inoltrato comunicazioni provenienti da alcuni rappresentanti del cartello di Sinaloa, i quali chiedevano di avviare un’attività di diffamazione e dossieraggio nei confronti del giornalista. In caso contrario — secondo quanto riportato —, avrebbero ipotizzato azioni repressive di natura fisica.

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