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L’ex pm di Mani Pulite si schiera a favore della separazione delle carriere

Non serve l’oblio per ammazzare la memoria: bastano i voltagabbana.
Nei giorni passati il Senato ha approvato la riforma della separazione delle carriere: sogno di Licio Gelli, stragista e piduista, di Silvio Berlusconi, pregiudicato e pagatore della mafia, dei falsi garantisti, come quelli di Forza Italia, di tutta la mafia e in generale, di chi teme le indagini della magistratura sui colletti bianchi.
Dopo la riforma arriveranno le leggi ordinarie per inchiodare il pm all’esecutivo: abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, sottrazione del controllo sulla polizia giudiziaria e la proposta Zanettin-Stefani che lascia alla politica il timone delle priorità investigative.
Oggi il nuovo crociato ‘separatista’ è Antonio Di Pietro, icona di Mani Pulite, arruolato nel Comitato del Sì.
Un tradimento consumato in piena regola, tra interviste, apparizioni televisive e dichiarazioni contrastanti.
Eccone alcune: “Nel 1989 avrei votato sì” alla separazione delle carriere, ha detto Di Pietro in un'intervista a La Stampa.
Eppure il 15 maggio del 2000 affermò: “Voterò no al referendum per separare le carriere”. Quattro anni dopo manteneva la stessa posizione: “Il centrodestra vuole separare le carriere per mettere sotto controllo dell’esecutivo la magistratura. È il vecchio piano di Licio Gelli, poi ripreso dal libro rosso di Previti”.
E ancora, il 15 luglio del 2013: “La separazione delle carriere è l’anticamera della fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, attraverso il controllo dell’esecutivo sul pm. È una proposta gravissima perché farebbe crollare uno dei cardini della Costituzione: l’autonomia della magistratura”.
Oggi l’ex pm gira radio e tv – “Lo Stato delle Cose” con Massimo Giletti, 5 Notizie (Radio Cusano Campus), Corriere  della Sera – e spara: “Vedo tanta ipocrisia in chi critica questa riforma".
Non solo: è giunto ad affermare che la riforma non rappresenta il primo passo per subordinare un pm alla politica: “Ma credete davvero che un pm, salvo che non lo voglia, possa essere sottoposto a un politico? Un magistrato è soggetto soltanto alla legge, rappresenta un potere indipendente e autonomo. Lo può fermare soltanto un quintale di tritolo o un altro magistrato. Se un pm fa il suo dovere – ha detto alla radio – non c’è politica che tenga. Non esiste questa idea che la politica possa sottoporre a sé la magistratura. Sarà così soltanto se sono i magistrati a essere così sciocchi da subordinarsi alla politica, non il contrario, perché ha molto più potere un pm di un parlamentare Pinco Pallino". Insomma, tutto il contrario di tutto.
I sostenitori della riforma molto spesso citano impropriamente le parole di Giovanni Falcone.
Ma cosa hanno da dire in merito a quello che disse Paolo Borsellino?
Separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico", dichiarò il magistrato ucciso in via d’Amelio  il 23 maggio 1991 in un’intervista a Samarcanda. E in una lettera privata, Borsellino definì la separazione “un cavallo di Troia per disarticolare la forza unitaria dell’azione giudiziaria”.
Mentre le procura di Firenze, Palermo, Roma e Caltanissetta scavano nei buchi neri della Repubblica, la politica taglia le gambe ai pm imponendo il guinzaglio politico. Trent’anni di tentativi: Berlusconi, Bicamerale ’97, Renzi, Draghi, Meloni. Sempre lo stesso copione: imbavagliare chi indaga su leader e colletti bianchi.
Cosa ha da dire in merito a tutto questo l’ex magistrato Di Pietro?
Oggi la giravolta è compiuta con buona pace delle grandi inchieste (come Mani Pulite) che con la riforma non avrebbero mai visto la luce del sole.

Foto © Imagoeconomica

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