Un imperativo: sostegno incondizionato al giornalismo di inchiesta libero e indipendente
C’è sconforto, amarezza e financo la rabbia di fronte alle immagini dell’esplosione delle auto di Sigfrido Ranucci e di sua figlia. Il pensiero corre agli anni '90 e ai suoi orrori. Troppo facile far arrivare subito messaggi di solidarietà istituzionale, a partire dalla premier Giorgia Meloni. Molto più difficile eliminare quelle riforme poste in essere dal suo Governo che uccidono la giustizia, la libertà d’informazione e minano alle fondamenta l’indipendenza del giornalismo. Ed è evidentemente ancora più difficoltoso per il Presidente del Consiglio far interrompere quella catena d’odio che prende di mira giornalisti di inchiesta liberi come Sigfrido. Un odio quanto meno funzionale a chi non sopporta le voci libere.
Ecco allora che torna in mente quel dialogo illuminante tratto dal film del 2009 di Marco Risi “Fortapasc”. E’ una breve conversazione tra il giovane cronista del Mattino (precario e senza ancora il tesserino), corrispondente da Torre Annunziata, Giancarlo Siani, ucciso a 26 anni dalla Camorra nel 1985, e il suo capo. In quei primi anni '80 Siani aveva iniziato ad occuparsi di cronaca nera mentre esplorava con grande meticolosità i legami tra le famiglie criminali che controllavano il territorio, ma anche i collegamenti con la politica locale.
Nella scena del film si vedono i due uomini passeggiare su una spiaggia spoglia, autunnale. Sasà, il capo, sta facendo giocare il suo cane, e nel frattempo rivolge una domanda a Siani: “Ci stanno i cani e ci stanno i padroni. Tu che vuoi fà Giancà, 'u cane o 'u padrone?”. Immediata la risposta del giovane cronista: “Nessuno dei due. Io voglio fare il giornalista”.
“E lo sapevo che mi dicevi questo - replica Sasà - E magari vuoi fare pure il giornalista-giornalista, no? Anche qua ci stanno due categorie: ci stanno i giornalisti-giornalisti e i giornalisti-impiegati. Io in verità ho scelto la seconda categoria, ma devo dirti la verità non mi trovo male, tengo la macchina, tengo la casa, tengo l'assistenza sanitaria, e tengo pure 'u cane! Perché i giornalisti-giornalisti, quelli so' tutt’ 'n'ata cosa Giancà. Quelli portano le notizie, gli scoop, e non sempre si devono aspettare gli applausi della redazione, no, perché le notizie e i scoop, so' 'na rottura 'e cazz'. E fanno male, fanno male assai. E allora se ti posso dare un consiglio, stà a sentire a Sasà: l’inchiesta che stai facendo, io non ne voglio sapere niente. E dai retta a me, questo non è un paese per i giornalisti-giornalisti. Chist’ è ’nu paese per giornalisti-impiegati”.
Nel film la scena si interrompe così, lasciando l’amaro in bocca di una verità tutt’altro che cinematografica.
Le due auto del giornalista Ranucci distrutte dall’ordigno esploso questa notte
Nella vita reale era stato lo stesso Giancarlo Siani a trasmettere l’essenza del suo pensiero sul senso di essere un giornalista-giornalista. “Tante volte – scriveva – avere il tesserino, che sia da pubblicista o da professionista, non fa di una persona un giornalista, nel senso che sovente ci si imbatte in pennivendoli sgrammaticati amanti del denaro e della notorietà facile. Essere Giornalista è qualcosa di altro. E’ sentire l’ingiustizia del mondo sulla propria pelle, è schierarsi dalla parte della verità, è denuncia, è ricerca, è curiosità, è approfondimento, è sentirsi troppe volte ahimè spalle al muro, emarginato. Essere Giornalista significa farsi amica la paura e continuare sulla propria strada perché raccontando si diventa scomodi a qualcuno. Le parole, mi è sempre stato detto, feriscono più di mille lame, pungolano le coscienze, sono inviti alla riflessione e alla lotta, teoria che diviene prassi quotidiana di esercizio della libertà – continuava –, ma le parole possono, anche, se usate in maniera 'criminale', passare dei messaggi sbagliati, costruire luoghi comuni difficili da abbattere, discriminare, incitare all’odio, creare dei 'diversi' da sbattere in prima pagina come il male assoluto, rendendo le nostre società sempre meno inclusive, transennate dal filo spinato dell’ignoranza e del razzismo”. Ed è in questo passaggio che ritroviamo il clima di disprezzo che respiriamo ormai da tanti anni nel nostro Paese nei confronti dei giornalisti di inchiesta. Giornalisti dalla schiena dritta, come Sigfrido Ranucci, odiati per la “colpa” di dire la verità. Un odio che si diffonde poi attraverso gli strati inferiori del tessuto sociale mentre un sistema di potere fin troppo visibile soffia sul fuoco.
Un potere che strumentalizza, delegittima con ogni mezzo chi osa denunciare attraverso minuziose inchieste giornalistiche. E che, soprattutto, sovraespone tutti coloro che rendono onore alla professione giornalistica. Una sovraesposizione pericolosissima. Che lascia ampio spazio di manovra a quegli apparati che si servono poi di un supporto criminale per compiere azioni delittuose. Azioni del tutto funzionali ad una strategia decisa da chi ha interesse a destabilizzare il Paese, per creare così un determinato clima politico-sociale.
L’indignazione e la solidarietà non bastano più. Il Capo di Stato, la politica, quella rappresentata da uomini e donne che ancora cercano di fare il proprio dovere, l’Ordine dei giornalisti e tutti i colleghi che non intendono girarsi dall’altra parte, gli intellettuali, i sindacati di categoria, il mondo dell’associazionismo, e gli artisti: tutti devono esercitare il loro potere per arginare questa deriva, prima che sia troppo tardi. Ed è soprattutto la società civile quella che gioca un ruolo fondamentale. E’ quanto mai urgente che quei milioni di persone che hanno bloccato l’Italia per protestare contro la complicità del nostro governo nel genocidio a Gaza continuino a far sentire la propria voce, pacificamente. Ma con ancora più determinazione, e in ogni luogo sia necessario esserci. Sostenere le poche voci libere di giornalisti-giornalisti come Sigfrido Ranucci è un imperativo che riguarda ognuno di noi per mantenere in vita un giornalismo libero e indipendente. E soprattutto perché ne va del nostro futuro, della nostra libertà e della nostra democrazia.
(Prima pubblicazioe: 17 Ottobre 2025)
Foto di copertina © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
Esplodono auto di Ranucci e della figlia davanti la casa del giornalista
Non ci sono telecamere di fronte a casa Ranucci (ore tre di notte)
di Saverio Lodato
Conte: ''Attentato a Ranucci riporta ai tempi più bui. Martedì tutti in piazza, stop alle querele!''
Ranucci: ''Contro di me un chilo di esplosivo, c'è un salto di qualità delle minacce''
