Raccontare solo il superfluo: è stata questa la linea che la narrazione sulla vita di Matteo Messina Denaro, ultimo grande latitante di Cosa nostra, ha sempre seguito. La marca dei detersivi, il numero delle amanti, le calamite per il frigo, il modo di vestire.
Ma è veramente tutto qui?
In questa puntata di Nero su Bianco, il podcast di approfondimento di ANTIMAFIADuemila, si è cercato di andare oltre: quali erano i segreti sulla stagione stragista che MMD avrebbe potuto rivelare? Dove sono le ricchezze e i documenti di Salvatore Riina? Cosa sapeva delle riunioni riservatissime di Cosa nostra? E cosa sapeva del progetto di attentato al magistrato Nino Di Matteo, oggi sostituto procuratore nazionale antimafia?
Giovanni Brusca disse davanti ai magistrati di Caltanissetta che Riina, verso la fine del 1992, gli rivelò che "se mi succede qualcosa i picciotti (Giuseppe Graviano e MMD ndr) sanno tutto".
Ma tutto cosa?
Le dichiarazioni di Sinacori e di Vito Galatolo sono ancora ben presenti sulla scena così come il verbale di interrogatorio dell'ex primula rossa ai magistrati di Palermo: “Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli al maxiprocesso? […] Penso sia la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto […] Le stragi, l’input […] i grandi cambiamenti”.
Il boss ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei pm Piero Padova e Gianluca De Leo per quasi quattro ore con la solita tecnica del “dire e non dire”, parlare ma senza collaborare.
Il 7 luglio “u Siccu” ha messo a verbale che, a parer suo, gli inquirenti non avrebbero capito la vera origine della strage di Capaci, da cui, secondo il boss, parte la strategia terroristica mafiosa. E che si sarebbero accontentati di quello che avevano.
“Sì, sì, questa strage (Capaci, ndr)…,tutto da là parte”, rispose ai pm Messina Denaro. “Faccio un altro esempio: dopo non so quanti anni, avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino (il falso pentito della strage di via d’Amelio, ndr) e non mi riferisco a voi, è un plurale maiestatis… Ora la mia domanda è, me la pongo, diciamo, da scemo: perché vi siete fermati a La Barbera (Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo che ha indagato sulle stragi sospettato di aver contribuito al depistaggio e accusato da alcuni collaboratori di giustizia di essere a libro paga dei Madonia, ndr)? Perché La Barbera era all’apice di qualcosa... ha capito cosa… il contesto?”. Il boss ipotizzò: “E se La Barbera fosse ancora vivo, ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?”. Il procuratore aggiunto Guido gli rispose: “Lei si rende conto che queste sono cose sulle quali noi ci aspettiamo delle risposte, non delle domande”. E lui: “Perché in certe cose (i magistrati, ndr) si contentano e in altre cose no?” chiese ancora il boss. “Noi non dobbiamo fare qui una discussione, signor Messina Denaro”, gli risposero i pm facendogli presente che era lui che doveva rispondere alle domande e parlare.
Purtroppo l'ex boss ha parlato molto poco e molte domande sono rimaste senza risposta.
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