Il piano criminale euroatlantico che prepara l’Apocalisse nel vecchio continente
Oramai è tutto alla luce del sole. I criminali assassini traditori dei popoli vogliono portarci alla terza guerra mondiale, cioè nucleare contro la Russia.
Ne abbiamo avuto ulteriore prova oggi, al summit della Coalizione dei Volenterosi, tenutosi a Parigi.
Un’occasione dove si è espresso il culmine della neolingua orwelliana che, mentre si trincera dietro le concilianti parole di “pace” e “garanzie di sicurezza”, prepara il terreno per una guerra ancora più devastante e apocalittica che progressivamente coinvolgerà l’intero continente.
“Saremo implacabili nei nostri sforzi per mantenere forte l’Ucraina, sicura l’Europa e raggiungere la pace”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ai margini dell’incontro.
“Non mostreremo i nostri piani alla Russia del signor Putin. I nostri capi di stato maggiore li hanno e sono pronti. È così per tutti i 26 paesi contributori”, ha avuto l’ardire di affermare il presidente francese Emmanuel Macron, al fianco di Volodymyr Zelensky, senza mostrare il minimo contenimento nel rivendicare il sostegno a quelle che Mosca considera le “cause profonde della guerra”.
La Russia ha più volte ribadito che una fine della guerra dovrebbe contemplare il divieto dell'adesione dell'Ucraina all'Alleanza atlantica, una limitazione delle dimensioni le forze armate di Kiev, nonché la fine delle persecuzioni contro la lingua russa e la Chiesa Ortodossa.
Ebbene, il piano dei volenterosi mira con irruenza alla direzione opposta, contemplando tre livelli di militarizzazione che trasformeranno l'Ucraina in una "fortezza permanentemente armata". Il primo livello prevede che le Forze armate ucraine siano potenziate senza restrizioni strutturali. Il secondo livello vede contingenti militari stranieri permanentemente dispiegati sul territorio ucraino sotto la finzione di "forze di deterrenza". Nonostante le dichiarazioni ufficiali che queste forze "non devono muovere guerra alla Russia", solo gli ingenui possono credere che militari armati e schierati resteranno lontani dal fronte.
Il terzo livello contempla un massiccio riarmo europeo che ovviamente non farà altro che alimentare il "dilemma della sicurezza", la causa scatenante di quasi ogni conflitto nel corso della storia. A questo fine, entra in gioco il piano ReArm Europe/Readiness 2030 che punta a mobilitare 800 miliardi di euro complessivi per il riarmo europeo entro il 2030.
Non potevano mancare i missili a lungo raggio, in grado di colpire il territorio russo, pericolosamente in rotta di collisione con la stessa dottrina nucleare del Cremlino. A questo proposito, è stato il Regno Unito ad evidenziare l’impegno collettivo dei partner della cosiddetta coalizione dei volenterosi a fornire questi sistemi all’Ucraina.
Non sembra un caso che il Flamingo – il nuovo missile ucraino di “produzione nazionale” dalla gittata di 3000 km – è sorprendentemente identico all’FP-5, presentato dalla britannica Milanion Group alla fiera della difesa IDEX 2025 ad Abu Dhabi nel febbraio 2025.
Anche la Germania è già avanti su questo fronte. La Germania ha annunciato a fine maggio 2025 un accordo da 5 miliardi di euro che include la produzione congiunta di missili a lungo raggio con l’Ucraina, finanziata direttamente da Berlino. L’intesa è stata formalizzata con un memorandum tra i ministri della Difesa e prevede investimenti nell’industria ucraina, con prime consegne previste entro poche settimane.
Riunione della coalizione dei volenterosi © Imagoeconomica
Trump: da uomo di pace a pagliaccio guerrafondaio
“Voglio essere un pacificatore e un unificatore. Misureremo il nostro successo non solo dalle battaglie che vinceremo, ma dalle guerre a cui metteremo fine e, cosa più importante, dalle guerre a cui non parteciperemo mai". Queste sono state le parole di Donald Trump durante il suo discorso d’insediamento nel gennaio scorso. Sembra passato un secolo.
È lo stesso presidente che oggi offre un sostegno incondizionato alla guerra genocida di Netanyahu oltre che appoggiare l’idea di rinominare il Pentagono in “Dipartimento della Guerra”, spiegando che “suona meglio di Dipartimento della Difesa".
"Sono arrivato a una conclusione molto triste: Donald Trump è completamente impazzito. È una vergogna. Noi lo amavamo" aveva ammesso un mese fa il politologo russo, Alexander Dugin, spesso definito il Rasputin del Cremlino. Una presa di coscienza del tradimento messo in atto dal tycoon che “oggi porta avanti la politica dei neoconservatori”, cioè degli stessi globalisti che aveva promesso di combattere.
Un quadro che oggi si fa palesemente attuale. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso gratitudine particolare verso Trump “per gli sforzi nel porre fine alla guerra e per la disponibilità americana a fornire supporto”.
Secondo il leader ucraino, il tycoon avrebbe promesso la "massima protezione dei cieli ucraini" dagli attacchi russi, proponendo un formato specifico che gli Stati Uniti dovranno ora valutare, mentre avrebbe concordato con i leader europei la necessità di intensificare le pressioni economiche sulla Russia, comprese sanzioni secondarie contro i paesi che sostengono la macchina bellica russa.
Eppure c’era stata una ventata di speranza, quando il miliardario newyorchese aveva annunciato l’incontro con Vladimir Putin presso la Joint Base Elmendorf-Richardson (JBER) ad Anchorage.
I due leader sembravano aver tenuto per la prima volta un dialogo franco e conciliante. In molti guardavano con nuove aspettative agli omologhi delle più grandi potenze nucleari che finalmente si parlavano e forse cercavano un compromesso.
Ma le nubi oscure erano già all’orizzonte. “Non c'è ancora alcun accordo, non abbiamo trovato un compromesso con Putin. Ma ci sono progressi,” aveva affermato durante la conferenza stampa congiunta con il leader del Cremlino, annunciando un imminente incontro con gli “alleati della NATO e Zelensky”.
E mentre Putin ribadiva la necessità, ancora una volta di fermare le cause profonde della guerra, ecco che alla Casa Bianca, l’incontro tenuto dal tycoon, prima con Zelensky e poi con i leader europei, era stato più conciliante che mai. "Mancava un piccolo dettaglio in questa celebrazione di cordialità e complimenti reciproci alla Casa Bianca: una discussione significativa sui dettagli specifici di un accordo che Vladimir Putin sarebbe disposto ad accettare", aveva evidenziato nell’occasione il quotidiano The Spectator.

L’incontro farsa con Zelensky che chiede tutto
Il presidente Usa aveva pensato bene di imporre l’ennesimo ultimatum di due settimane a Vladimir Putin per mostrare progressi verso un cessate il fuoco, nonché un incontro bilaterale con l’omologo ucraino.
Ma a quali condizioni sarebbe dovuto avvenire questo improbabile faccia a faccia?
Certamente a quelle di un sabotaggio da parte degli europei delle minime richieste russe per un cessate il fuoco che non hanno fatto altro che galvanizzare le condizioni massimaliste del leader ucraino.
“Un’Ucraina unita non sarà mai più costretta nella storia a quella vergogna che i russi chiamano compromesso. Quale sarà il nostro futuro, solo noi possiamo deciderlo”, ha dichiarato in un videomessaggio pubblicato sui social, spingendosi a promettere che i territori occupati (la Crimea e le regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia) torneranno sotto il controllo di Kiev.
“Lì ci sono i nostri cittadini, e nessuna distanza tra noi può cambiare questo, e nessuna occupazione temporanea può cambiarlo. Un giorno la distanza tra gli ucraini scomparirà, e saremo di nuovo insieme come un’unica famiglia, come un unico Paese. È solo questione di tempo”, ha affermato il leader ucraino manifestando ottimismo sull’esito del conflitto: “Oggi, sia gli Stati Uniti che l’Europa concordano: l’Ucraina non ha ancora vinto, ma di certo non perderà”.
Promesse avanzate, mentre i russi avanzano su tutta la linea ed il Paese è allo stremo delle forze.
Nei giorni scorsi, il Daily Telegraph ha lanciato l’allarme sui rischi catastrofici che l'Ucraina potrebbe affrontare qualora fallissero le iniziative diplomatiche di Trump. Le principali vulnerabilità dell'esercito si concentrano su due problemi strutturali: la grave carenza di personale e il crescente malcontento all'interno della catena di comando militare. Secondo dati raccolti da fonti militari, l'esercito ucraino potrebbe aver perso oltre 200.000 effettivi nella prima metà del 2025 a causa di perdite in combattimento e diserzioni. La situazione per il Paese è sull’orlo del baratro.

I piani di militarizzazione dell’Ucraina
Forse Zelensky spera ancora nell’intervento diretto dell’Occidente per ribaltare la sua situazione sul campo e la coalizione europea gli sta dando buoni motivi per appoggiare questa follia.
In precedenza, già un’esclusiva di Bloomberg riferiva che almeno dieci paesi europei stavano preparando piani in più fasi per inviare truppe in Ucraina come parte di un futuro accordo di pace, configurando la più grande iniziativa militare europea dal 1945. I leader europei hanno chiesto a Trump di schierare caccia F-35 in Romania, dove la NATO sta realizzando la sua base aerea più grande in Europa, per rafforzare la deterrenza su Mosca e sostenere la missione di pace; in parallelo, alti vertici militari discutono su come proteggere lo spazio aereo ucraino.
Gli Stati Uniti, pur senza inviare truppe, garantirebbero supporto indiretto tramite intelligence, controllo delle frontiere, armamenti e sistemi di difesa aerea. Tra le richieste europee figurano batterie Patriot e NASAMS, accesso ai satelliti GPS e missioni di ricognizione sul Mar Nero. Le stime parlano di un fabbisogno tra 30.000 e 50.000 soldati, distribuiti in cinque brigate sul fronte e con comando europeo in Polonia; il think tank tedesco Wissenschaft und Politik ipotizza fino a 150.000 uomini per una missione completa.
I piani segreti di Kiev e dell’Ue per riconquistare le regioni perdute
Ma dall’Ucraina emergono piani ancora più ambiziosi, direttamente dal Ministro della Difesa ucraino, che non riguardano la semplice deterrenza. Il primo vice ministro Ivan Havrylyuk, intervenendo al forum internazionale della Piattaforma di Crimea, ha rivelato che “abbiamo delle indicazioni, abbiamo una visione su come restituire all'Ucraina tutti i territori temporaneamente occupati. Insieme ai nostri partner, britannici e americani, abbiamo condotto una serie di ‘esercizi di guerra’ e simulato varie situazioni, e per i prossimi 10-15 anni abbiamo una visione di dove dovremmo muoverci, di come dovremmo svilupparci”.
Dietro la narrativa della resistenza, dunque, non si nasconde soltanto l’obiettivo immediato di difendere il fronte, ma un progetto di lungo periodo, pianificato in stretta sinergia con Londra e Washington.
Un piano in cui sarebbero coinvolti anche gli Alleati europei. O almeno, questi sono i propositi usciti direttamente sul quotidiano francese Le Monde, proposti da Eli Tenenbaum, ricercatore e direttore del Centro per gli Studi di Sicurezza dell'Institut Français des Relations Internationales (IFRI), il secondo think tank in Europa con sede a Parigi.
Secondo il ricercatore, la scelta di Trump a Anchorage di negoziare prima del cessate il fuoco ha adottato la logica russa del “negoziare combattendo”, che “esacerba meccanicamente la violenza sul terreno” e “prolunga la finestra di superiorità militare di cui la Russia ritiene di godere attualmente”.
Per ribaltare questa dinamica, Tenenbaum propone un’“inversione della cronologia”: “Le forze di sicurezza devono essere schierate prima, non dopo, un cessate il fuoco”. Non si tratterebbe di caschi blu neutrale, ma di vere brigate mobili, “una dimostrazione di forza sul terreno in grado di avanzare su una possibile breccia nella linea del fronte”.

Subrahmanyam Jaishankar e Sergei Lavrov
La fine dell’ultimatum
Era chiaro che da parte di Mosca non ci poteva essere alcun passo concreto di avvicinamento all’Occidente in queste condizioni.
"Il regime ucraino e i suoi rappresentanti stanno commentando la situazione attuale in modo molto specifico, dimostrando direttamente di non essere interessati a una soluzione sostenibile, equa e a lungo termine", aveva riconosciuto con amarezza il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, parlando con il suo omologo indiano Subrahmanyam Jaishankar.
“Tutti questi piani sono legati alla fornitura di garanzie di sicurezza attraverso un intervento militare straniero in una parte del territorio ucraino, saranno assolutamente inaccettabili per la Russia e per tutte le forze politiche sensate in Europa", ha proseguito.
Sembra passata un’era, da quando Trump era arrivato persino a cacciare Volodymyr Zelensky dalla Casa Bianca, perché, a detta sua, l’Ucraina avrebbe dovuto accettare compromessi per raggiungere un accordo di pace con la Russia. Ebbene il leader ucraino, al contrario, ha rifiutato categoricamente qualsiasi passo indietro dalle sue posizioni, ribadendo che “Putin è un killer” e che non intende scendere a patti.
Un assetto che ha continuato a mantenere fino ad ora, mentre lui stesso ha affermato in più occasioni che il Paese non dispone delle forze militari sufficienti per riprendere il controllo di Crimea e Donbass.
“Di fatto questi territori sono ora controllati dai russi. Non abbiamo la forza per riconquistarli. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative”, dichiarò in un’intervista al quotidiano Le Parisien.
Questo senza contare che la questione del possibile ingresso del Paese nella Nato è stato il principale fattore che ha spinto Putin ad entrare in guerra, come ammesso dallo stesso ex segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg. È stato alla commissione affari esteri del parlamento europeo che l’ex numero uno dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord, ha riconosciuto come il rifiuto di Washington a trattare su una fine dell’espansione abbia determinato la genesi della catastrofe ancora in corso.
Ora il tycoon si dice “deluso” da Putin, mentre strappa contratti miliardari per vendere all’Europa la guerra che sta cercando.
Nel giorni scorsi ha sottolineato che “l’Ucraina desidera acquisire tecnologia militare americana, in particolare i missili Patriot”, confermando un accordo da 8,5 miliardi di dollari che passerà attraverso la Danimarca per trasferire a Kiev sei sistemi di difesa aerea, con i soldi degli europei.
Ha poi annunciato che Stati Uniti e Russia stanno discutendo la riduzione delle scorte di armi atomiche e l’eventuale coinvolgimento della Cina: “Stiamo parlando anche di missili, armi nucleari e di molte altre cose… Vorremmo denuclearizzare”.
Ne giro di poche ore ha poi sostenuto l’idea di rinominare il Pentagono in “Dipartimento della Guerra”, spiegando che “suona meglio di Dipartimento della Difesa. Non voglio occuparmi solo di difesa. Vogliamo occuparci anche di attacco”, rivendicando inoltre di aver “fermato sette guerre su dieci”. Poi, intervistato da Fox News, ha confermato che “gli europei sono pronti a mettere truppe sul terreno, noi siamo pronti ad aiutarli con alcune cose, probabilmente dal punto di vista aereo, perché nessuno ha le cose che abbiamo noi”.
Un alto funzionario della Casa Bianca, citato da Axios, ha precisato che il presidente Usa starebbe valutando di sospendere gli sforzi diplomatici finché “una o entrambe le parti non inizieranno a mostrare maggiore flessibilità”, affermando: “Restiamo seduti a guardare. Lasciamo che si combattano per un po’ e vediamo cosa succede”.
Effettivamente, essere spettatori che battano cassa dalle guerre sanguinarie degli altri popoli, per la tradizione interventista americana, potrebbe rappresentare un buon auspicio di candidatura a premio nobel per la pace.
Immagine realizzata da Paolo Bassani con supporto IA
Intanto, il Segretario della Difesa americano Pete Hegseth ha confermato su Fox News il 3 settembre che Trump ha incaricato il Pentagono di prepararsi al contenimento di Russia e Cina, evidenziando come l'amministrazione precedente abbia favorito l'avvicinamento tra Mosca e Pechino.
Parole pronunciate in occasione della parata militare tenutasi, appunto, a Pechino il 3 settembre per commemorare l'80° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. Un evento che ha visto per la prima volta Xi Jinping, Vladimir Putin e Kim Jong Un apparire insieme pubblicamente, in un fronte che sfida apertamente l’ordine mondiale a guida statunitense. Non a caso, questa mattina il presidente Usa ha accusato Russia, Cina e Corea del Nord di pianificare una "cospirazione" contro gli Stati Uniti.
Nelle stesse ore, il tycoon ha lanciato un nuovo avvertimento all’omologo russo, affermando che Washington è pronta a reagire se le decisioni del Cremlino sulla guerra in Ucraina non dovessero essere in linea con le aspettative americane. “Non ho nessun messaggio per il presidente Putin, lui sa bene qual è la mia posizione. Prenderà una decisione, in un senso o nell’altro. Qualunque sia la sua scelta, potremmo esserne felici o infelici, e se saremo infelici, vedrete succedere delle cose”, ha ammonito il miliardario statunitense dallo Studio Ovale al fianco dell’omologo polacco Karol Nawrocki.
Trump nell’occasione ha aggiunto che parlerà con Vladimir Putin “nei prossimi giorni”, aggiungendo di “non essere contento”.
D’altra parte Putin, durante la conferenza stampa al termine della visita in Cina, si è mostrato molto più conciliante e diplomatico con l’omologo d’oltreoceano.
Citando le sue dichiarazioni sul “complotto” dell’Eurasia, ha sottolineato i buoni rapporti con il presidente USA, specificando che durante tutta la visita in Cina nessuno dei suoi interlocutori ha espresso giudizi negativi sull'amministrazione statunitense in carica, e tutti hanno sostenuto un possibile incontro con Trump, esprimendo speranza per la fine del conflitto.
“Nessuno ha detto nulla di negativo riguardo all’attuale amministrazione statunitense. Tutti coloro che ho incontrato hanno sostenuto il nostro incontro ad Anchorage ed espresso la speranza che la posizione di Trump porti alla fine del conflitto militare, quindi non c’è ironia o scherzo”, ha precisato con quasi ottimistica amarezza.
Il patto di Trump con l’Europa per vendere armi americane
È sempre più evidente, ormai, come l’amministrazione Usa non aspiri più a nient’altro che speculare su una guerra che non ha il coraggio di fermare sulla pelle degli europei.
È stato tutto sancito il 27 luglio 2025, a Turnberry in Scozia, quando Trump e una genuflessa Ursula von der Leyen hanno firmato un accordo commerciale che impone dazi del 15% sulla maggior parte delle merci europee destinate agli Stati Uniti, colpendo un volume di scambi pari a 780 miliardi di euro.
Un’intesa che ha incluso anche l’impegno dell’UE ad acquistare energia statunitense per 750 miliardi di dollari entro il 2028 e a investire negli USA 600 miliardi entro il 2029, mantenendo invariato al 50% il regime sui dazi di acciaio e alluminio. Un bagno di sangue per l’economia europea, i cui leader si sono definitivamente prostrati al padrone, pur di salvarlo dalla bancarotta, mentre alimentano la guerra totale.
Il primo esempio emblematico di questo nuovo mercato sanguinario, si è avuto col via libera alla vendita di 3.300 missili aria-superficie ERAM (Extended Range Attack Munition) all’Ucraina, con una gittata fino a 450-460 km, superiore a quella degli ATACMS già forniti in passato. Anche qui le giravolte contraddittorie non sono mancate.
Mentre fonti citate dal Wall Street Journal parlano di un divieto ancora in vigore da parte del Pentagono, in pochi giorni è arrivata la smentita. Matthew Whitaker, rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO, ha confermato durante un'intervista a Fox News il 29 agosto 2025 che Washington sta fornendo all'Ucraina "capacità di attacco profondo" (deeper strike capabilities) che permettono di colpire obiettivi in territorio russo.
"Stiamo fornendo alcune capacità di attacco profondo, e molto probabilmente gli ucraini le utilizzeranno", ha ammesso.

Da sinistra: Vladimir Putin, Xi Jinping e Kim Jong Un
La guerra con il resto del mondo
In sostanza, male che va, si continuano a vendere armi, senza alcuna pressione sugli Alleati per ottenere una pace duratura in Europa. L’approccio negoziale del tycoon in questo contesto, assume sempre più i contorni di una clownesca farsa, alimentata da un potere sinistro che regge le redini del complesso militare industriale USA.
Iconico il fatto che mentre Trump parla di “complotto” di Russia, Cina e Corea del Nord, durante la parata di Pechino, il dollaro americano è in caduta libera e ora ha toccato il minimo degli ultimi 30 anni nelle riserve mondiali, scendendo al 42%.
Il partito della guerra occidentale, pur di non accettare la fine dell’impero americano e vedersi spartito il dominio con le nuove realtà emergenti dei Brics – Cina in prima fila – è disposto a gettare l’intero pianeta nell’abisso.
Nel marzo 2025, il debito federale degli Stati Uniti ha raggiunto i 36,56 trilioni di dollari, accompagnato da un deficit fiscale di 1.307 trilioni e da una spesa per interessi che supera i 1.000 miliardi l’anno. In questo contesto, la tenuta dell’egemonia americana dipende in gran parte dalla capacità di preservare la centralità globale del dollaro. Affinché ciò avvenga, è essenziale che il dollaro continui a essere la valuta di riferimento per il commercio delle materie prime e che i Paesi in surplus di dollari – come Cina, Giappone e Germania – continuino a finanziare il debito statunitense acquistando titoli del Tesoro.
Tuttavia, questo equilibrio appare sempre più fragile. Come abbiamo visto, la fiducia internazionale nel dollaro sta erodendo: è stata la Cina a ridurre in modo significativo le proprie riserve in Treasury e il processo di dedollarizzazione si sta intensificando. Dal 2001 al 2021, la quota del dollaro nelle riserve valutarie globali è scesa dal 71% al 59%, segnalando una perdita progressiva di centralità nel sistema finanziario internazionale. Un modello basato sull’indebitamento strutturale e sulla fiducia forzata appare, così, sempre più vicino al punto di rottura.
Siamo alla fine della corsa e Trump è passato dall’essere Repubblicano pacifista a perfetto pagliaccio e marionetta del Deep State guerrafondaio.
I piani di guerra della NATO per la Terza guerra mondiale in Europa
In questo tempo, il cuore di questo scontro di civiltà vede l’Europa in prima linea e le dichiarazioni più sibilline celano notizie che messe insieme, disegnano un quadro estremamente funereo e pericoloso per il prossimo decennio. Da Mosca nelle scorse settimane è arrivato un nuovo pesante monito rispetto ad un’escalation offensiva della NATO nei confronti della Russia che sta raggiungendo il punto di non ritorno. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, durante l’XI Forum educativo panrusso “Territorio dei Significati”, ha lanciato dure avvisaglie, definendo la guerra in Ucraina non un conflitto regionale, ma la manifestazione di una strategia deliberata dell’Occidente volta a infliggere una “sconfitta strategica” alla Federazione Russa.
Tutto scritto nero su bianco in un influente documento pubblicato nel 2019 dalla Rand Corporation, uno dei più importanti think tank americani. Si chiamava Overextending and Unbalancing Russia e individuava l’Ucraina come la “più grande vulnerabilità esterna” della Russia. Tra le opzioni strategiche per indebolire Mosca, il rapporto indicava il “fornire armi letali all’Ucraina” come la più efficace nel “far aumentare i costi per la Russia”, costringendola a impiegare maggiori risorse e a rischiare la perdita di influenza lungo il suo confine occidentale. Una guerra per procura vera e propria già da tempo pianificata e innescata dall’irreversibile espansionismo ad Est della NATO.
“La questione ucraina è una manifestazione della linea dell'Occidente per sconfiggere la Russia. In Europa vogliono seriamente annientarci: ogni giorno ne riceviamo conferma”, ha continuato Lavrov, puntando il dito anche contro la leadership tedesca. “Il nuovo Cancelliere Merz vuole riportare la Germania ad essere la prima potenza militare in Europa. Un copione già visto in due guerre mondiali”.
Nel suo discorso, Lavrov ha ricordato che durante la Guerra Fredda il dialogo tra URSS e Stati Uniti non si è mai interrotto, ed esisteva – a suo dire – un “rispetto reciproco” oggi scomparso.
La realtà è più drammatica che mai. Sotto la superficie diplomatica, si sta consolidando una nuova architettura militare occidentale, pensata, non solo per sostenere l’Ucraina o dissuadere Mosca, ma, se necessario, colpire con precisione e rapidità lo stesso continente russo!
La prima avvisaglia concreta arriva da Londra e Parigi. Il 10 luglio 2025, Emmanuel Macron e Keir Starmer hanno firmato la Dichiarazione di Northwood, un patto senza precedenti che unifica operativamente i due arsenali nucleari nazionali. Con 515 testate strategiche messe in sinergia e pattuglie coordinate dei sottomarini SSBN – Le Triomphant francesi e Vanguard britannici – il potenziale offensivo delle due potenze viene moltiplicato, rendendo qualsiasi tratto di mare una possibile piattaforma di lancio.
A rendere ancora più esplicita la nuova postura è il ritorno delle bombe nucleari tattiche statunitensi su suolo britannico. Le B61-12 sono ora immagazzinate a RAF Lakenheath, nel Suffolk, e pronte ad armare gli F-35.
Ma è la Germania a segnare la svolta più decisamente offensiva e pericolosa. Il generale Christian Freuding, in un’intervista priva di ambiguità, ha evocato attacchi diretti sul territorio russo: aeroporti, industrie belliche, centri logistici. Berlino ha inoltre avviato l’acquisto dei sistemi missilistici statunitensi Typhon, in grado di lanciare Tomahawk e SM-6, e ospiterà entro il 2026 i missili ipersonici Dark Eagle, capaci di raggiungere Mosca in meno di dieci minuti. L’accordo di co-produzione con Kiev su missili a lungo raggio segna, inoltre, un salto strategico: l’Ucraina, da paese assistito, diventa parte integrante del sistema militare europeo.
La punta più acuminata di questa strategia è però rappresentata dal piano svelato il 17 luglio dal generale Christopher Donahue, comandante dell’Esercito USA in Europa e forze terrestri NATO. L’obiettivo: neutralizzare Kaliningrad, la più temuta enclave russa nel continente, saturata di missili Iskander e difese aeree stratificate. “Lo abbiamo già pianificato, possiamo distruggerla da terra più rapidamente di quanto non sia mai stato possibile”, ha dichiarato Donahue, presentando la nuova dottrina della NATO: la Eastern Flank Deterrence Line.
Questo nuovo fronte tecnologico si regge su sistemi d’intelligenza artificiale, in primis la piattaforma Maven Smart System sviluppata da Palantir, che consente una condivisione istantanea di dati operativi tra gli eserciti alleati. Un “cloud di guerra” che moltiplica la velocità decisionale e riduce il margine d’errore.
Conclusioni
Abbiamo dimostrato che l'Europa si ostina per ragioni economiche, per ragioni politiche, per ragioni imperialistiche, a voler in qualche modo trovare una scusa per fare la guerra contro la Russia. Questo atto criminale, suicida, che non tiene conto della vita dei popoli e del futuro dei nostri giovani e della nostra Europa è la mossa che siamo ritornati a fare.
Alle mosse diaboliche che l'Europa ha sempre compiuto nell'organizzare la prima guerra mondiale, nell'organizzare la seconda guerra mondiale, e lo sta facendo con la terza. Sempre l'Europa, ostinatamente, ha portato alla guerra mondiale l'umanità. Nella seconda guerra mondiale chi finanziò, foraggiò e esaltò le gesta diaboliche di Hitler fu sempre l'Europa, le banche europee, soprattutto quelle inglesi, quelle americane e quelle ebree. Oggi la storia si ripete in forme politiche completamente diverse, ma sempre l'Europa è il movente, la causa. Ed è sempre il virus, la malattia mentale, la ludopatia che attacca il cervello e lo spirito dei nostri governanti europei. Conquistare la Russia, perché la Russia è il più grande e il più vasto territorio di risorse europeo che possono soddisfare per centinaia di anni le esigenze morbose dell'Unione Europea.
Non succederà, perché la Russia non si arrenderà mai. Non solo, ma pur di evitare di soccombere, porterà alla tomba 8 miliardi di persone perché userà tutto l'arsenale nucleare per non farsi conquistare. Lo ha già fatto nella Seconda Guerra Mondiale: aveva perso la guerra con Hitler. La Russia era ko e, pur di non arrendersi, ha vinto la guerra con l'inverno naturale. Questa volta pur di non arrendersi e vedendosi spacciata perché circondata e quasi conquistata userà l'inverno nucleare e moriremo tutti Russia compresa. Vuole questo l'Europa? Il popolo scelga.
Vivere o morire.
Immagine di copertina by Paolo Bassani
Foto interne © Imagoeconomica
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