Macron: “fermezza con Russia non vuole la pace”. Tra garanzie di sicurezza stile NATO, scambi territoriali e interessi dell’industria bellica, la pace resta ostaggio delle strategie di potere
Ormai la strada maestra per i negoziati è segnata, ma solo a Kiev spetta ora la decisione finale se continuare la guerra per procura fino all’ultimo ucraino, seguita dal codazzo degli scemi di guerra europei o cedere all’ultima possibilità per dare al suo Paese un futuro. È chiaro che le condizioni massimaliste finora presentate dal leader ucraino non faranno altro che allontanare questa prospettiva.
“Il presidente ucraino Zelensky può porre fine alla guerra con la Russia quasi immediatamente, se lo desidera, oppure può continuare a combattere”, scrive Donald Trump su Truth, a poche ore dall’incontro con il leader di Kiev. “Ricordate come è iniziato tutto. Non si può riavere indietro la Crimea data da Obama (12 anni fa, senza che sia stato sparato un colpo!), e non si può entrare nella Nato da parte dell’Ucraina. Alcune cose non cambiano mai!!!”, ha aggiunto il presidente americano.
Ebbene, le premesse per l’incontro che si terrà alle 19:15 non sono confortanti, stando alla posizione comune che i leader europei hanno coordinato con il presidente ucraino attraverso la video-conferenza della "coalizione dei volenterosi" tenutasi il 17 agosto 2025.
Si parla di un cessate il fuoco preliminare a qualsiasi trattativa, ovviamente non vincolato alla cessazione delle forniture militari. È stato ribadito il principio dell’integrità territoriale: nessuna concessione su Donetsk, Luhansk e Crimea. Per il dopo, Kiev e i partner europei chiedono garanzie di sicurezza robuste, di tipo assimilabile all’Articolo 5 NATO, con impegni automatici in caso di nuova aggressione. Infine, il formato dei colloqui: ogni percorso verso la pace deve essere trilaterale e includere l’Ucraina accanto a Stati Uniti e Russia, senza intese parallele o separate, una linea fatta propria da Von der Leyen, Starmer, Merz e Macron.

D’altra parte la Reuters ha delineato la cornice negoziale, sostenuta dal Cremlino, che respinge l’idea di un cessate il fuoco preliminare, subordinando qualsiasi tregua al raggiungimento di un accordo complessivo. In questo schema, all’Ucraina verrebbe richiesto il ritiro totale delle sue forze da Donetsk e Luhansk, mentre la Russia congelerebbe le linee del fronte nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia e si direbbe pronta a restituire limitate porzioni di territorio nelle aree di Sumy e Kharkiv. Il pacchetto includerebbe inoltre il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, l’esclusione dell’adesione dell’Ucraina alla NATO a favore di eventuali garanzie di sicurezza alternative, nonché la formalizzazione dello status della lingua russa e la piena libertà operativa della Chiesa ortodossa ucraina. A completare il quadro, Mosca chiederebbe la revoca almeno parziale delle sanzioni occidentali come elemento di riequilibrio nell’intesa.
Macron allo scontro: “Putin non vuole la pace”
Proprio il capo dell’Eliseo ieri ha rievocato un approccio da scontro frontale con Mosca che prepara il terreno solo all’ennesimo fallimento degli accordi. “Se oggi non mostriamo fermezza con la Russia stiamo preparando i conflitti di domani”, ha scandito Emmanuel Macron dopo la riunione della Coalizione dei volenterosi, legando il messaggio alla vigilia dell’incontro di Washington. Nella sua lettura, “Putin non vuole la pace: vuole la capitolazione dell’Ucraina, è quello che ha proposto”, mentre su Donald Trump ha concesso un’apertura: “Penso che il Presidente Trump voglia la pace? Sì”. Il punto, ha chiarito, è verificare “fino a che punto” gli Stati Uniti intendano partecipare alle garanzie di sicurezza per Kyiv, perché “gli ucraini non possono accettare semplici impegni teorici”.
Il cuore della dottrina francese resta la capacità militare ucraina. “La struttura dell’esercito ucraino è il primo pilastro delle garanzie di sicurezza. Il secondo sono le forze di rassicurazione”, ha detto Macron collegato da Brégançon. Da qui il monito contro qualsiasi intesa che indebolisca le difese di Kyiv: “Un accordo basato sull’assenza o la riduzione dell’esercito ucraino sarebbe non sincero e destinato a non essere rispettato”, anche alla luce dei precedenti “già esistiti in passato”, citando il Memorandum di Budapest del 1994 come esempio di impegni disattesi da Mosca.
La replica russa ha immediatamente sconfessato la ricostruzione dell’Eliseo, alzando il livello dello scontro verbale. Per la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, le parole di Macron sono “deprecabili bugie”: “Per sette anni la Russia ha proposto un accordo pacifico nell’ambito degli accordi di Minsk”, ha affermato, accusando Parigi e l’Europa di aver “fornito armi al regime di Kiev per commettere attentati terroristici”, di aver “mentito e corrotto gli ucraini con false promesse”, e additando lo stesso Macron come “in prima fila” in questa strategia. 
Il complesso militare industriale che vuole proseguire il conflitto
Non si può negare che la perpetuazione dell’ecatombe del conflitto arricchisca a molti gruppi di potere. L’industria europea della difesa ha accelerato come mai prima: nel 2023 i profitti delle aziende del settore in Europa sono cresciuti dello 0,2%, con punte molto più alte per singoli gruppi come Rheinmetall, che ha registrato un +10% spinto dalla domanda di munizioni da 155mm e dalle consegne di Leopard a Kyiv, mentre per Airbus le attività militari hanno pesato per il 18% dei ricavi totali 2023. L’impennata della domanda si riflette nei bilanci pubblici: i bilanci della difesa dei Paesi UE hanno raggiunto 326 miliardi€ nel 2024 (1,9% del PIL), oltre il 50% in più rispetto al 2021, e Bruxelles ha messo in campo un programma per mobilitare fino a 800 miliardi€ in spesa per il riarmo entro il 2029 tramite il piano ReArm Europe/Readiness 2030. Parallelamente, si consolida la strategia di fare dell’Ucraina un “arsenale d’Europa”: think tank e tracker indipendenti segnalano una rapida industrializzazione bellica con obiettivi di produzione di droni nell’ordine di milioni di unità nel 2025, spinta dal vantaggio del costo del lavoro e da investimenti europei per integrare Kyiv nelle catene di fornitura e nel mercato della difesa del continente. Sul piano degli approvvigionamenti, l’Europa ha ormai superato gli Stati Uniti negli aiuti militari tramite contratti industriali: 35,1 miliardi di euro impegnati dalla partenza della guerra fino a giugno 2025, 4,4 miliardi in più rispetto a Washington, segno del passaggio dagli arsenali alla produzione dedicata.
Putin aperto a garanzie di sicurezza
Al di là delle invettive europee recalcitranti con l’iniziativa americana, emergono delle aperture da parte del Cremlino che hanno quasi del clamoroso durante i colloqui in Alaska.
“Siamo riusciti a ottenere la seguente concessione: gli Stati Uniti avrebbero potuto offrire, ad esempio, la protezione prevista dall’Articolo V, che è in realtà uno dei veri motivi per cui l’Ucraina vuole entrare nella NATO. Siamo riusciti ad aggirare la questione e ad accettare che gli Stati Uniti potessero fornire una protezione di tipo Articolo V, ed è stata la prima volta che abbiamo sentito i russi accettare una cosa del genere”, ha affermato l’inviato speciale Steve Witkoff entrando nel cuore del capitolo sicurezza. Una formula, quella di “protezione di tipo Articolo V”, che segnerebbe un passaggio inedito: impegni di difesa vincolanti targati USA, al di fuori dell’ombrello formale dell’Alleanza.
Witkoff ha poi evocato la questione territoriale: “La terra, la questione fondamentale, è una sorta di scambio territoriale che ovviamente è in ultima analisi sotto il controllo degli ucraini e che non poteva essere discusso in questo incontro.” Linea coerente con il punto fermo ribadito anche da Rubio: “Gli Stati Uniti non impongono condizioni all’Ucraina riguardo a possibili concessioni territoriali nel quadro dei negoziati con la Russia.”
In sostanza, se la questione territoriale non verrà concordata, l’Ucraina e l’Ue si assumeranno tutta la responsabilità della mancata intesa che può decretare forse l’ultima possibilità di salvare il Paese dall’incubo della guerra totale.
Foto © Imagoeconomica
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