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Il nuovo rapporto ONU di Francesca Albanese smaschera i profitti della colonizzazione israeliana 

Chi guadagna dalla distruzione della Palestina? Chi alimenta, finanzia, costruisce e digitalizza la macchina che sta cancellando Gaza e la Cisgiordania? E perché? Secondo l’ultimo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, Francesca Albanese, la risposta è inquietante quanto semplice: “Perché è redditizio per molti”. Il documento, intitolato “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, indaga le ramificazioni industriali, tecnologiche, finanziarie e commerciali dell’occupazione israeliana, mettendo in luce la rete globale di soggetti – aziende, banche, università, fondi, multinazionali – che trae profitto dalla violazione sistematica del diritto internazionale. 


Dalla cancellazione alla sostituzione: la logica economica del colonialismo

Al centro del rapporto, una tesi chiara: il progetto coloniale israeliano si basa su una duplice dinamica – l’eradicazione del popolo palestinese e la sua sostituzione con infrastrutture, popolazione e presenza militare israeliana. Una dinamica non nuova: “Questa pratica si è affermata sin da prima della fondazione di Israele, con l’istituzione del Fondo Nazionale Ebraico nel 1901”, scrive Albanese. Ma negli ultimi decenni, la portata è divenuta industriale, grazie al crescente coinvolgimento di attori aziendali. Attraverso un database di oltre 1.000 “entità aziendali” – multinazionali, ONG, fondi pensionistici, università – Albanese ricostruisce l’architettura economica dell’occupazione. Queste imprese, private o pubbliche, a scopo di lucro o no, collaborano attivamente “con la macchina economica israeliana” e ne traggono vantaggi diretti: “Violano i Principi guida su imprese e diritti umani, e le norme più fondamentali del diritto internazionale”.  


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Francesca Albanese © Paolo Bassani 

La filiera del genocidio: armi, sorveglianza, demolizioni

Il primo settore analizzato è quello militare. Il report cita le forniture belliche, dai caccia F-16 e F-35 ai droni, fino a proiettili e quadricotteri. Le principali aziende coinvolte includono Elbit SystemsIsraeli Aerospace IndustriesLockheed Martin e Leonardo, l’azienda italiana tra i principali contractor europei. “Per aziende israeliane come Elbit e IAI, il genocidio in corso è stato un’impresa redditizia”, scrive Albanese. Solo nel 2024, la spesa militare israeliana è aumentata del 65%, con effetti immediati sui bilanci aziendali. Accanto al comparto armato, si sviluppa quello tecnologico e della sorveglianza. Le tecnologie biometriche e di riconoscimento sono impiegate contro la popolazione palestinese e poi esportate nel mondo. NSO Group è nata dall’Unità 8200 delle forze armate israeliane, mentre colossi come IBMHP e Microsoft forniscono database, sistemi carcerari, servizi scolastici e infrastrutture cloud. Nel 2021, Israele ha assegnato ad Amazon e Google un contratto da 1,2 miliardi di dollari per la gestione dei dati. Risultato: nel 2024, le start-up di tecnologia militare sono cresciute del 143%, rappresentando il 64% delle esportazioni israeliane. Poi ci sono le demolizioni. Per decenni, Caterpillar ha fornito bulldozer D9 all’esercito israeliano, trasformati in mezzi automatizzati grazie alla collaborazione con ElbitIAI e RADA. Inoltre, Hyundai e Volvo, attraverso rivenditori israeliani, riforniscono i cantieri nelle colonie e nei territori occupati. 


Costruire sulle macerie: il business delle colonie

Il meccanismo è semplice quanto distruttivo: “Displacement - Enablers - Replacement” (Spostamento - Facilitatori - Sostituzione). Non basta distruggere. Occorre anche sostituire. E qui interviene l’edilizia. Dopo ottobre 2023, gli investimenti nelle colonie sono raddoppiati. Israele ha autorizzato lo sfruttamento di risorse naturali in Cisgiordania, come la roccia dolomitica estratta dalla cava di Nahal Raba, con licenze concesse alla tedesca Heidelberg MaterialsMekorot ha il monopolio dell’acqua, mentre aziende, come ChevronBPDrummond e Glencore controllano gas, carburante e idrocarburi nei territori palestinesi. Il consorzio Chevronfornisce il 70% del gas naturale consumato in Israele. 


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© Imagoeconomica


Commercio, turismo, agricoltura: la colonizzazione quotidiana

L’economia dell’occupazione si insinua anche nella vita quotidiana. L’industria alimentare israeliana, guidata da Tnuva (oggi di proprietà cinese), ha prosperato grazie all’espropriazione delle terre palestinesi, imponendo la propria produzione nei territori occupati. Catene come Carrefour operano direttamente nelle colonie. Amazon e Booking commercializzano prodotti e immobili nei territori occupati, mentre gli annunci su AirBnB nelle colonie sono più che raddoppiati negli ultimi cinque anni. 


Il cuore finanziario dell’occupazione

A tenere in piedi questo sistema è il supporto economico garantito da banche, fondi, assicurazioni e organizzazioni caritatevoli. Nonostante il deficit pubblico israeliano (6,8%), la fiducia dei mercati è rimasta alta. A garantirla, colossi come BNP Paribas e Barclays, che hanno sottoscritto titoli di Stato israeliani, permettendo il contenimento dei tassi d’interesse. Le maggiori società di gestione patrimoniale del mondo sono direttamente coinvolte: Blackrock detiene quote rilevanti in Palantir (8,6%), Microsoft (7,8%), Amazon(6,6%), Alphabet (6,6%), IBM (8,6%), Lockheed Martin (7,2%) e Caterpillar (7,5%). Vanguard è il maggiore investitore in Caterpillar (9,8%) e Chevron (8,9%) e secondo in Lockheed Martin (9,2%) ed Elbit Systems(2,0%). BNP Paribas ha prestato 410 milioni di dollari a Leonardo, mentre Barclays ha fornito 862 milioni a Lockheed Martin e 228 milioni alla stessa Leonardo.  


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Fondi pensione, ONG e carità fiscale

Anche i fondi sovrani e pensionistici giocano un ruolo decisivo. Il fondo sovrano norvegese GPFG ha aumentato del 32% i suoi investimenti in Israele, arrivando a 1,9 miliardi di dollari. Complessivamente, il 6,9% del suo portafoglio è investito nelle aziende citate nel rapporto. Il fondo pensionistico del Québec ha investito oltre 6,6 miliardi. Intanto, le organizzazioni religiose di beneficenza facilitano i progetti coloniali sfruttando esenzioni fiscali: il Fondo Nazionale Ebraico (KKL-JNF), Israel Gives e le ONG cristiane pro-Israele sono tra i principali canali di finanziamento dei coloni e delle loro attività paramilitari. 


Il genocidio come modello economico

Il rapporto di Francesca Albanese solleva una questione cruciale: l’occupazione del territorio palestinese non è solo un problema politico o umanitario, ma un vero e proprio business globale. “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” non è soltanto il titolo di un rapporto, ma la descrizione precisa di un sistema che si autoalimenta attraverso la violenza, la speculazione e il profitto. Finché sarà redditizio, conclude il rapporto, “il genocidio continuerà”. 

Immagine di copertina: rappresentazione artistica generata con il supporto dell'intelligenza artificiale, a fini di critica e documentazione. I loghi presenti appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzati esclusivamente per finalità illustrative e di analisi pubblica. 

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