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Il governo israeliano ai ferri corti col fallimento dei suoi obiettivi strategici. Gli ultimi attacchi causano 142 morti

L’economia della morte nel campo di sterminio di Gaza potrebbe subire una pausa strategica nelle prossime ore.
Il presidente americano Donald Trump ha annunciato che Israele avrebbe accettato le condizioni per una tregua di 60 giorni. Lo ha comunicato su Truth Social, spiegando che "i miei rappresentanti hanno avuto oggi un lungo e produttivo incontro con gli israeliani" e che durante i 60 giorni di cessate il fuoco "lavoreremo con tutte le parti per porre fine alla guerra". 
La posta in gioco è alta. Secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense Axios, i funzionari israeliani hanno avvertito che l'esercito intensificherà le sue operazioni se i negoziati non andranno avanti al più presto. Lunedì Israele ha ordinato ai civili di evacuare altre zone di Gaza City verso sud, dando il via ai preparativi per una possibile espansione dell'offensiva terrestre dell'esercito. "Faremo a Gaza City e ai campi profughi centrali quello che abbiamo fatto a Rafah. Tutto si trasformerà in polvere", ha dichiarato un alto funzionario israeliano, citato dall'agenzia di stampa. 
"Non è la nostra opzione preferita, ma se non ci saranno progressi verso un accordo sulla presa degli ostaggi, non avremo altra scelta". 
D’altra parte, secondo quanto riferisce la stessa agenzia stampa, i mediatori dei negoziati tra Israele e Hamas per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza stanno compiendo sforzi intensi per raggiungere un accordo per porre fine all'aggressione” e garantire “il ritiro delle truppe (israeliane) e l'urgente soccorso del nostro popolo". "Stiamo agendo con grande responsabilità e stiamo conducendo consultazioni nazionali per discutere le proposte che abbiamo ricevuto dai mediatori", aggiunge il movimento.
La distanza tra le parti, tuttavia, appare siderale. Il movimento islamista palestinese, oltre al ripiegamento dell’IDF, ha chiesto garanzie per qualsiasi tregua temporanea che porti alla fine della guerra israeliana. Punti per i quali Israele, tuttavia, si è rifiutato di fornire un tale impegno. Tel Aviv, non a caso, ha abbandonato l'accordo di cessate il fuoco in tre fasi concordato a gennaio e ha ripreso a bombardare Gaza dopo aver respinto i negoziati per porre fine alla guerra.  
Al contempo, Israele vuole che Hamas deponga le armi, ceda il controllo di Gaza ed esili i suoi leader fuori dalla Striscia, anche il gruppo palestinese ha precedentemente definito questa una "linea rossa", affermando che non disarmerà finché continuerà l'occupazione israeliana del territorio palestinese. 


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Donald Trump © Imagoeconomica 

Il governo israeliano ai ferri corti col fallimento dei suoi obiettivi strategici

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu tenta di ottenere garanzie, perché i suoi traguardi nella guerra non sono stati raggiunti, nemmeno dopo quasi 20 mesi di guerra:
ci sono ancora 50 prigionieri a Gaza, Hamas non è stato sconfitto politicamente e militarmente e Israele ritiene ancora che la Striscia di Gaza rappresenti una minaccia.
Questioni di politica interna, che vanno al di là dei reali obiettivi della guerra mancati, ovvero la completa deportazione del popolo palestinese per annetterne il territorio.
L'Operazione "Carri di Gedeone", approvata dal gabinetto di sicurezza israeliano il 5 maggio 2025, prevedeva infatti l'occupazione permanente dell'intera Striscia di Gaza. In quell’occasione Netanyahu assicurò che la popolazione sarebbe stata spostata “per la sua stessa protezione", mentre il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich chiarì le vere priorità del governo: "Stiamo occupando Gaza per restarci. Basta fare dentro e fuori. Questa è una guerra per la vittoria". Ha inoltre aggiunto che "dal momento in cui inizia il controllo territoriale, non ci sarà alcun ritiro dalle aree conquistate, nemmeno in cambio degli ostaggi”.
Non è andata bene. Come analizzato da InsideOver, da tempo l'assedio di Gaza e la strage della popolazione palestinese sono state funzionali soprattutto “alla sopravvivenza politica di Netanyahu", ma ora questi obiettivi sono diventati irrealizzabili.
Come sottolineato da Haaretz, dopo 21 mesi di guerra, e nonostante l’eliminazione dei leader più carismatici, Hamas è riuscito a mantenere una "solida presenza armata", seguendo la strategia di tenere "decine di migliaia di miliziani nascosti in una immensa rete di tunnel-bunker".
Per non parlare di costi del protrarsi dei combattimenti, legati anche alla mobilitazione di decine di migliaia di riservisti che stanno avendo un "impatto significativo per le finanze di Israele". Con quasi il 20% della forza lavoro attiva fuori dai luoghi di produzione, la Banca del Paese stima oneri per 2,3 miliardi di shekel (600 milioni di dollari) alla settimana. Una cifra insostenibile anche con l’aiuto statunitense, che deve già far fronte al suo deficit fuori controllo.
Al contempo, il suo consenso interno sta crollando. Solo il 46% della popolazione si fida di Netanyahu, tra gli arabi il 10%, stando ad un sondaggio dell'Israel Democracy Institute.
C’è poi la questione giudiziaria che finora ha spinto Netanyahu a trovare nell’escalation una scappatoia: è proprio su questo punto che Donald Trump sta fornendo al primo ministro israeliano una via d’uscita. Il tycoon ha chiesto pubblicamente l'annullamento del processo per corruzione definendolo una "caccia alle streghe" e dichiarando che "dev'essere annullato immediatamente, o in alternativa si potrebbe concedere la grazia a un Grande Eroe". 


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Il primo ministro israeliano ha dunque fretta di chiudere la partita, ma potrebbe farlo anche tentando il tutto per tutto, sempre a scapito del popolo dell’enclave più martoriata del pianeta. 
“Ve lo dico chiaramente: Hamas non esisterà più. Non ci sarà un 'Hamastan'. Non si torna indietro. È finita. Libereremo tutti i nostri ostaggi. Come faccio a dirlo? Sono due obiettivi contrapposti: sciocchezze. Funziona tutto insieme. Li elimineremo completamente” ha dichiarato Netanyahu in serata, secondo quanto riferito dal suo ufficio. “Le opportunità davanti a noi sono enormi. Non le sprecheremo. Abbiamo un'enorme opportunità: sconfiggere i nostri nemici e garantire il nostro futuro (...) connetteremo l'Asia e il Medio Oriente, compresa la Penisola Arabica, le sue immense risorse energetiche, all'Occidente. Succederà”, ha aggiunto.
Preludio di un nuovo grande massacro? 

Gli attacchi israeliani causano 142 morti

In ogni caso la scia di sangue a Gaza non si ferma. I bombardamenti israeliani hanno causato nelle ultime 24 ore la morte di almeno 142 palestinesi con 487 feriti, secondo fonti mediche locali. Dall’alba di oggi, 67 vittime sono state confermate da fonti ospedaliere citate da Al Jazeera, mentre la Protezione Civile di Gaza ha parlato di 14 morti accertati.
Tra gli attacchi più gravi, un bombardamento con droni ha colpito la zona di Al-Mawasi, presso Khan Yunis, ufficialmente designata come "area sicura" per gli sfollati: almeno 6 persone sono state uccise, inclusi 5 membri della stessa famiglia, e 10 feriti, per lo più bambini.
A Gaza City, una casa nel quartiere Tuffah è stata distrutta, causando la morte di 4 civili, tra cui 2 bambini. Altri 4 membri della famiglia Zeno sono stati uccisi nel bombardamento della loro abitazione in via Jaffa. A Deir al-Balah, nel centro della Striscia, un attacco aereo ha provocato 5 vittime.
Infine droni israeliani hanno colpito nei pressi dell’ospedale Al-Aqsa Martyrs e nel quartiere Al-Karama, ferendo almeno 10 civili.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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