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Il 21 giugno 1989, un borsone contenente esplosivo fu rinvenuto tra gli scogli della spiaggia antistante la villa affittata da Giovanni Falcone all’Addaura, a Palermo. Quel giorno, insieme a Falcone, erano presenti i colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehmann, giunti per una rogatoria legata all’inchiesta Pizza Connection sul riciclaggio di denaro sporco gestito da Cosa nostra. L’ordigno, come stabilito dalle indagini, era perfettamente funzionante, con un raggio letale di circa 60 metri, ed era destinato a uccidere. Tuttavia, la bomba non esplose e una campagna di disinformazione, prima e dopo l’attentato, cercò di minimizzarne la gravità.
Nella recente puntata della rubrica Nero su Bianco di ANTIMAFIADuemila, si è così tornati a parlare di uno degli attentati più significativi della storia d’Italia.
Le indagini hanno portato a verità giudiziarie consolidate da due sentenze della Corte di Cassazione (6 maggio 2004 e 26 marzo 2007). Salvatore Riina fu individuato come mandante, mentre Salvatore Biondino, Antonino Madonia, Francesco Onorato, Vincenzo Galatolo, Angelo Galatolo e Giovan Battista Ferrante furono riconosciuti come esecutori o responsabili logistici. Un’impronta di DNA di Angelo Galatolo, trovata su una maglietta vicino all’ordigno, ha ulteriormente confermato queste responsabilità, nonostante i tentativi di depistaggio, come quelli dell’artificiere Francesco Tumino e le false accuse di Angelo Fontana.
All’indomani dell’attentato, Giovanni Falcone, in un’intervista con il giornalista e scrittore Saverio Lodato (allora a L’Unità, oggi editorialista di ANTIMAFIADuemila), parlò di “menti raffinatissime” dietro l’attentato. Durante un intervento a Atlantide su La7, Lodato rivelò che Falcone, incalzato, fece il nome di Bruno Contrada, ex funzionario del SISDE, condannato nel 2007 a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Inoltre, sempre rimanendo sul versante dei suoi istituzionali, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 40799 del 19 ottobre 2004, definì “sconcertante” il comportamento di Mario Mori e altri personaggi pubblici, che con dichiarazioni imprudenti contribuirono a diffondere la tesi, poi rivelatasi falsa, di un attentato “simulato” da Falcone stesso.
Dal verbale del 4 dicembre 1990, in cui Falcone fu interrogato come parte lesa, emersero elementi significativi. Il giudice collegava l’attentato alla sua collaborazione con i colleghi svizzeri, ipotizzando un “avvertimento” per limitare l’assistenza giudiziaria elvetica. Escludeva un coinvolgimento di agenti come Emanuele Piazza e Nino Agostino e riteneva improbabile una matrice estranea a Cosa Nostra, che altrimenti avrebbe dichiarato la propria estraneità. Falcone indicò anche la famiglia Madonia come possibile esecutrice, suggerendo un confronto fotografico con i suoi membri.
Un ulteriore elemento di mistero riguarda il possibile coinvolgimento del centro operativo segreto “Scorpione”, legato a Gladio, stanziato a Trapani. Due documenti, pubblicati da Il Giornale, datati 18 e 24 giugno 1989, fanno riferimento a esercitazioni militari (“Domus Aurea” e “Demage Prince”) nella zona dell’Addaura, vicino alla villa di Falcone. Il primo autorizzava un’esercitazione a Torre del Rotolo, il secondo parlava di recupero di materiali, tra cui “esplosivo in avanzo”. Questi documenti sollevano interrogativi su un possibile ruolo di Gladio, su cui Falcone stava già indagando nel 1989, prima della sua rivelazione pubblica.

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