Teheran risponde con 150 missili. Trump sotto scacco, trascinato nell’abisso dal potere sionista
Come un fulmine a ciel sereno, la scorsa notte Israele ha lanciato l’Operazione “Rising Lion" (Leone Nascente), colpendo simultaneamente installazioni nucleari, siti missilistici e decapitando la leadership militare iraniana. Un attacco che rappresenta la più grave offensiva contro l'Iran dalla guerra Iran-Iraq (1980-1988), mirando specificamente a neutralizzare il programma nucleare iraniano e la capacità di risposta militare del paese.
Secondo fonti israeliane, l'intelligence ha trascorso mesi, se non anni, raccogliendo informazioni dettagliate sui movimenti dei leader militari iraniani, mappando le loro residenze e identificando i punti deboli nelle difese iraniane.
Fondamentale è stata, nella fase preparatoria delle incursioni, il ruolo chiave del Mossad che ha condotto operazioni di sabotaggio segrete all’interno del territorio iraniano. Agenti sotto copertura hanno installato, in zone isolate vicino ai sistemi missilistici iraniani, sistemi a guida di precisione di precisione progettati per neutralizzare le difese aeree. Impiegati anche missili Rafael Spike, noti per la loro precisione chirurgica, lanciati da postazioni protette e guidati con grande accuratezza verso i bersagli. In parallelo, droni esplosivi sono stati impiegati per colpire e distruggere i lanciatori missilistici iraniani prima che potessero essere utilizzati, compromettendo così la capacità di risposta immediata da parte di Teheran. Sono stati inoltre impiegati veicoli equipaggiati con tecnologie avanzate capaci di disturbare o disattivare i radar e le batterie superficie-aria nemiche.
Con le difese aeree completamente inibite, circa 200 aerei da combattimento israeliani hanno potuto agire indisturbati all’interno del Paese, sganciando oltre 330 munizioni su circa 100 obiettivi.
I siti di arricchimento dell’Uranio colpiti
Durante gli attacchi coordinati, il sito di arricchimento dell'uranio di Natanz, situato nella provincia di Isfahan, è stato bersagliato ripetutamente..Questo complesso comprende sia l’impianto sotterraneo di Fuel Enrichment Plant (FEP), sia quello più piccolo in superficie noto come Pilot Fuel Enrichment Plant (PFEP). In particolare, il sito Ahmadi Roshan, noto per essere uno dei principali centri dedicati all’arricchimento dell’uranio ad alto grado, è stato tra i punti più colpiti dell’intero complesso.
Anche l’impianto di Fordow, situato a nordest di Qom e ricavato all’interno di una montagna, è stato attaccato dalle forze israeliane. Parallelamente, Altri raid sono avvenuti sui siti di Khondab e Khoramabad. Khondab, in particolare, nella provincia di Markazi, che ospita il reattore ad acqua pesante di Arak, era già stato indicato in passato come un obiettivo particolarmente sensibile, e anche questa volta è stato incluso tra i punti strategici presi di mira.
Colpita la leadership militare e scientifica del Paese
Parallelamente agli attacchi condotti contro le infrastrutture, Israele ha intrapreso una serie di operazioni di eliminazione mirata che hanno colpito il cuore dell'apparato militare iraniano. Tra le vittime figurano figure di primissimo piano delle forze armate della Repubblica Islamica. Il Maggiore Generale Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore delle forze armate e figura di vertice subito dopo l’Ayatollah Khamenei, è stato ucciso a Teheran in un attacco di precisione. Nello stesso contesto è stato colpito anche il Generale Hossein Salami, comandante in capo dei Guardiani della Rivoluzione (IRGC), durante un raid diretto contro il quartier generale del corpo. La lista delle vittime comprende anche il Generale di Brigata Amir Ali Hajizadeh, a capo dell’aeronautica dell’IRGC e mente del programma missilistico iraniano, eliminato in un centro di comando sotterraneo, e il Generale Gholamali Rashid, vice comandante in capo delle forze armate e responsabile del quartier generale centrale Khatam al-Anbiya, caduto nello stesso attacco che ha decimato il vertice militare.
Secondo l’ambasciotore dell’Onu iraniano Amir Saeid Iravani, finora 78 persone sono state uccise negli attacchi israeliani e oltre 320 sono rimaste ferite.
"Il regime sionista (Israele) non rimarrà indenne dalle conseguenze del suo crimine. La nazione iraniana deve avere la garanzia che la nostra risposta non sarà a metà", ha dichiarato la guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, che ha subito nominato un nuovo comandante delle guardie iraniane, dopo la morte di Hossein Salami.
Si chiama Mohammad Pakpour e ha subito fatto una promessa solenne al suo popolo. "Il regime sionista criminale e illegittimo avrà un destino amaro e doloroso, con conseguenze gravi e distruttive. Apriremo le porte dell'inferno a Israele”.
La rappresaglia dell’Iran
Nel giro di poche ore, l’Iran ha reagito con un massiccio lancio di oltre 150 missili contro Israele, suddivisi in tre ondate. Alcuni degli ordigni sono riusciti a oltrepassare l’Iron Dome, il sofisticato scudo antimissilistico israeliano, colpendo anche la capitale Tel Aviv, dove una colonna di fumo si è sollevata sopra la città. Almeno 21 i feriti, due dei quali in gravi condizioni. Sirene d’allarme sono risuonate anche nel sud del Paese, a Eilat e nella regione del Negev, dove le forze israeliane hanno intercettato diversi “obiettivi aerei sospetti”, probabilmente droni o missili da crociera.
Fonti israeliane hanno riportato una "distruzione senza precedenti" nell'area metropolitana di Tel Aviv, con funzionari che affermavano di non aver "mai visto niente" di simile prima. Un missile balistico iraniano ha colpito direttamente il centro della capitale, vicino al quartier generale del Ministero della Difesa israeliano (Kirya). Altri impatti sono avvenuti in circa nove località diverse, inclusa la Galilea occidentale e centrale, Safed e i suoi dintorni, l'Alta Galilea, ovest di Gerusalemme occupata ed Haifa. Esplosioni massive sono state udite sopra località sensibili nel Paese, e diversi soldati israeliani sono stati feriti nella base aerea militare di Nevatim nel deserto del Naqab, da dove partono spesso le incursioni punitive per Gaza.
I missili utilizzati includevano probabilmente sistemi a medio raggio come il Kheibar Shekan e gli ipersonici Fattah, capaci di manovrare nell'atmosfera e dotati di sistemi di navigazione satellitare per aumentare la precisione. Alcuni di questi missili sono stati specificamente progettati per penetrare i sistemi di difesa aerea avanzati come il THAAD.
Il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha subito risposto che "l'Iran ha oltrepassato le linee rosse quando ha osato lanciare missili contro centri di popolazione civile in Israele", avvertendo che il paese avrebbe "assicurato che Teheran paghi un prezzo molto alto per le sue azioni criminali.
Trump sotto scacco, trascinato nell’abisso dal potere sionista
Netanyahu sembra aver raggiunto il suo scopo esistenziale che si prefiggeva da mesi: trascinare gli Stati Uniti in una guerra con l’Iran che facesse sabotare gli accordi nucleari posti in essere da Donald Trump.
"Gli attacchi senza precedenti di Israele in Iran durante la notte erano progettati per affossare le possibilità del presidente Trump di raggiungere un accordo per contenere il programma nucleare iraniano", sostiene, nel merito, Ellie Geranmayeh, vicedirettrice del programma per il Medio Oriente e il Nord Africa presso l'European Council on Foreign Relations.
"Mentre alcuni funzionari israeliani sostengono che questi attacchi miravano a rafforzare l'influenza degli Stati Uniti sulla via diplomatica, è chiaro che la loro tempistica e la loro natura su larga scala avevano lo scopo di far fallire completamente i colloqui", ha proseguito.
Nelle settimane precedenti l'attacco, la coalizione di Netanyahu si trovava sull'orlo del collasso. Il governo, che godeva di soli sette seggi in più rispetto alla maggioranza semplice (61 su 120), rischiava di cadere a causa del disaccordo sulla legge di coscrizione obbligatoria per gli uomini ultraortodossi. I partiti Shas ed Ebraismo della Torah Unito minacciavano di sostenere una mozione per sciogliere la Knesset se non fosse stata approvata un'esenzione permanente dal servizio militare per circa 80.000 studenti delle yeshiva.
L'operazione Rising Lion, di fatto, ha innescato quello che gli studiosi di scienze politiche definiscono "rally around the flag effect", un fenomeno per cui durante periodi di grave crisi o conflitto intenso, l'opinione pubblica tende a stringersi attorno alla leadership nazionale
Trump ne esce come un pupazzo senza strategie, incoerente, inaffidabile, completamente in balia dell’entità sionista. Solo il giorno prima dell’attacco israeliano, il tycoon ribadiva di auspicare ad un accordo sul nucleare, che considerava "abbastanza vicino", aggiungendo di non auspicare a un’azione militare contro Teheran "finchè ci sarà” una “possibilità" in tal senso.
Ora il tycoon, messo di fronte al fatto compiuto di Netanyahu, cambia clamorosamente versione: “Due mesi fa ho dato all’Iran un ultimatum di 60 giorni per fare un accordo. Lo avrebbero dovuto fare. Oggi è il giorno 61. Ho detto loro cosa fare, ma non ci sono riusciti. Ora hanno, forse, una seconda possibilità”, ha dichiarato in un post su Truth Social.
Probabile che le aperture precedenti allo scatenamento dell’operazione fossero solo un diversivo per ingannare Teheran. Netanyahu ha addirittura dichiarato esplicitamente che “forse non avremmo attaccato senza l’appoggio Usa”, sottolineando che Washington era stata informata preventivamente del raid e che la decisione finale spettava nientemeno che al miliardario newyorchese. Mentre gli Usa negano ostinatamente ogni coinvolgimento diretto, fonti israeliane e statunitensi hanno confermato che Washington ha fornito a Israele informazioni di intelligence “eccellenti” e ha posizionato asset militari nella regione per proteggere sia Israele sia le forze americane in caso di ritorsioni iraniane.
La decisione era stata già presa, in netto contrasto con il piano elaborato settimane prima.
L’accordo con l’ex impero persiano, sarebbe stato il tassello finale di una tournee diplomatica in Medio Oriente che aveva portato Trump a concludere accordi per investimenti superiori ai 2 trilioni di dollari. L'Arabia Saudita si è impegnata per investimenti da 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti, il Qatar per 1,2 trilioni di dollari, e gli Emirati per 200 miliardi. I paesi del golfo, questa volta erano favorevoli a pacificazione con gli alleati, nonché fornitori di armi con gli alawiti dello Yemen.
Il Segretario Generale del New Gulf Cooperation Council (GCC) Jassim Al Budaiwi aveva descritto le questioni economiche come "la sfida più grande e importante" per gli stati del Golfo, sottolineando come la normalizzazione con l'Iran contribuisca alla stabilità della regione.
Negli ultimi giorni la situazione è precipitata velocemente. Il 10 giugno, Netanyahu aveva tenuto una riunione di sicurezza dopo una chiamata di 40 minuti con Trump, durante la quale avevano discusso "una vasta gamma di argomenti, dalla guerra a Gaza agli sviluppi nell'accordo nucleare iraniano".
Ed ecco che il 12 giugno 2025, l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) ha approvato una risoluzione che dichiarava l'Iran in violazione dei suoi obblighi di non proliferazione nucleare.
Una decisione che arriva mentre il ministero dell’intelligence iraniana ha pubblicato una serie di documenti sensibili – ottenuti attraverso un’operazione d’intelligence contro Israele – che dimostrano come proprio il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi, avrebbe avuto una collaborazione segreta con funzionari israeliani volta a politicizzare la supervisione del programma nucleare iraniano.
La prossima domenica era prevista la sesta sessione dei colloqui a Mascate, con la mediazione dei funzionari omaniti, ma Teheran vede issata la bandiera rossa sulla cupola della Moschea Jamkaran, in segno di vendetta.
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