Ieri sera a Roma la presentazione di “Immortali” (Fuori Scena), l’ultimo libro di Attilio Bolzoni, storico cronista di mafia. L’evento si è svolto nella cornice perfetta della Casa del Jazz, ex villa del cassiere della banda della Magliana, Enrico Nicoletti, dal 2001 bene confiscato alla mafia grazie all’applicazione della legge Rognoni-La Torre. È qui che centosettanta persone si sono ritrovate a riflettere sull’annoso dilemma “che cos’è la mafia”, un tema che sembra essere pericolosamente scivolato in fondo all’agenda setting dei giornali, ridotto ormai al racconto di qualche retata che colpisce più per i numeri degli arrestati che per il loro effettivo peso specifico o alla cattura di un maxi latitante, come Matteo Messina Denaro, nascosto per quasi trent’anni alla luce del sole e preso già con un piede nella fossa. Eppure il ritratto che ci consegnano quotidiani e tg di una mafia che tira a campare, mezza morta e un po’ tamarra, poco corrisponde allo scenario attuale di una Cosa Nostra che è tornata indietro a com’era prima di Giovanni Falcone: solidamente aggrappata al potere, silente e soprattutto incensurata.
«L’antimafia, che intorno a sé ha sempre raccolto la parte migliore del Paese - racconta Bolzoni - si è rivelata incapace di leggere i travestimenti mafiosi dopo le stragi e, come lo Stato italiano, ha finito con il considerare la mafia semplicemente una questione di ordine pubblico. La stessa sorte è toccata all’informazione. Se la mafia visibile è semplice da descrivere, quando bisogna parlare delle mafie che non si fanno più percepire immediatamente come tali, allora tutto è più complicato».
È vero, tutto è più complicato e si sente, ormai troppo spesso, la mancanza di quell’istinto professionale che ha animato il lavoro di molti cronisti negli anni più sanguinari di Cosa Nostra. Lo si è pensato anche ieri, soprattutto quando a salire sul palco è stato Saverio Lodato, storica firma de L’Unità, che con Bolzoni, proprio per non tradire quell’istinto professionale, finì addirittura in carcere. Vale la pena fare una digressione e raccontare l’aneddoto.
Era il 16 marzo 1988, a Palermo il mese precedente era stato ucciso Giuseppe Insalaco, sindaco della città per soli tre mesi, destituito a colpi di pistola per aver denunciato gli intrecci fra mafia e politica. In questo clima Lodato e Bolzoni, all’epoca corrispondente per Repubblica, vengono arrestati per aver realizzato uno scoop proprio su quegli stessi intrecci di potere.
Il giornale L’Ora titola sarcasticamente in prima pagina “Pericolosi” pubblicando le foto dei due cronisti. L’accusa è quella di violazione del segreto istruttorio alla quale si aggiunge, per aprire ai due giornalisti le porte del carcere, quella di concorso in peculato. Quest’ultima accusa è giustificata - secondo Salvatore Curti Giardina, procuratore capo della Repubblica - dalla sottrazione di carte che erano “bene dello Stato”.
Lo zelante Curti Giardina, che fino a quel momento non aveva trovato il motivo di arrestare nessuno in quella Palermo strozzata dalla mafia, a quanto pare aveva giudicato una grave minaccia la pubblicazione dei verbali esplosivi del pentito Antonino Calderone, duecentosessantotto pagine fotocopiate, che svelavano collusioni fra i boss e i mammasantissima del Palazzo. Probabilmente quello scoop, che non minò in alcun modo l’esito delle indagini, una minaccia lo era davvero, ma chissà per quali interessi.
A spendersi pubblicamente per la liberazione dei due giornalisti furono il giudice Giovanni Falcone, ma anche altri magistrati e la presidente della Camera Nilde Iotti che inviò in carcere un affettuoso messaggio ai due cronisti. Qualche mese dopo il giudice istruttore Renato Grillo sciolse ogni accusa e la vicenda surreale ebbe ovviamente un lieto fine. Raccontata oggi però questa “avventura professionale” riporta anche un grande insegnamento che ci ricollega alla presentazione e alle parole che Bolzoni scrive in Immortali: «la retorica e la propaganda spingono a pigrizie che impediscono di allungare lo sguardo oltre l’ovvio», forse di fronte a questo bisognerebbe ritrovare più spesso il coraggio di aguzzare la vista ed essere “Pericolosi”.
Sul tema “giornalisti pericolosi” ricordiamo che lo scorso marzo proprio Saverio Lodato è stato querelato dalla presidente della commissione antimafia Chiara Colosimo per aver descritto come inopportuna durante una puntata di Otto e mezzo su La7, nell'ottobre 2024, una foto che la ritrae sorridente a fianco dell’ex Nar Luigi Ciavardini, condannato per la strage alla stazione di Bologna.
Foto © Augusto Casasoli e Luciano Escondido
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- Giorgia Furlan