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Alla Sala dei Cinquecento il convegno in ricordo dell’attentato, Bongiovanni: “La Cia è dietro tutte le stragi italiane"

Dopo la notte calata sui Georgofili - una delle più cupe mai vissute dalla nostra Repubblica - per Firenze, per l’Italia è il momento di una nuova alba. A 32 anni dalla strage di mafia che strappò la vita alla famiglia Nencioni e allo studente Dario Capolicchio la città non dimentica. Non dimentica una ferita ancora non rimarginata. Alla Sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, fiore all’occhiello dell’architettura fiorentina, familiari delle vittime di mafia e terrorismo, insieme ad avvocati, magistrati e giornalisti hanno ricucito i fili su quello squarcio di sangue e trame oscure avvenuto la notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. “Aspettando ancora verità e giustizia” è il titolo del convegno da poco concluso organizzato dall’'Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage di Via dei Georgofili, in collaborazione con il Movimento delle Agende Rosse, ANTIMAFIADuemila e patrocinato dal Comune di Firenze. Un evento importantissimo e ampiamente partecipato, moderato dal referente delle Agende Rosse di Siena Giuseppe Galasso, anticipato dall'intervento di Marta Capaccioni dell'associazione Our Voice che ha denunciato quanto avvenuto il 23 maggio a Palermo, e poi introdotto dalla sindaca Sara Funaro. “La città di Firenze non ha mai smesso e non smetterà mai di celebrare questo momento perché non è un semplice esercizio di memoria ma prendere atto del presente e elaborarlo verso il futuro”, ha detto portando i saluti dell’amministrazione comunale. “A 32 anni di distanza permangono ancora dei punti da chiarire - ha aggiunto la sindaca. - Il disegno criminale non è stato ancora del tutto chiarito. Non conosciamo ancora i nomi dei mandanti occulti né di quelle entità estranee al sodalizio mafioso che hanno agito dietro le quinte”. Parole importanti, accolte dal Presidente dell'Associazione tra i Familiari vittime dei Georgofili Luigi Dainelli e dal legale Danilo Ammannato.



Non c’è memoria senza verità è la frase che da sempre accompagna l’impegno della nostra associazione”, ha detto Dainelli citando la compianta Giovanna Maggiani Chelli. “In questo senso, di recente abbiamo costituito un coordinamento nazionale di associazioni di familiari di vittime delle stragi e attentati per chiedere tutti insieme al governo e alle istituzioni di darci delle risposte sul lavoro della commissione antimafia, sul prosieguo delle indagini e contro le archiviazioni della procura di Firenze. Sui depistaggi e sulle zone grigie che impediscono il 100% della verità”. Nello specifico delle inchieste ancora in corso a Firenze sulle stragi del ’93, l’associazione delle vittime è chiara: “Ribadiamo con forza che si debba arrivare al rinvio a giudizio su Marcello Dell’Utri (indagato in qualità di mandante esterno, ndr) per la mole dei fatti già rilevati nei processi sin qui svolti”. “Il 90% di verità giudiziaria è stato raggiunto sugli esecutori. Cosa manca? Per noi manca quel 10% dei concorrenti esterni”, gli ha fatto eco l’avvocato Ammannato. “I concorrenti esterni, la Procura della Repubblica di Firenze li ha individuati”. In fila, oltre a Dell’Utri, ci sono Paolo Bellini e il generale Mario Mori. Un politico vicino a Cosa nostra, un terrorista e un carabiniere. Tutti e tre attualmente sotto indagine a Firenze (Bellini recentemente archiviato). L’associazione chiede che siano tutti processati, non per altro, per accertare eventuali responsabilità. Prima che sia troppo tardi, cioè prima di un’archiviazione per decorrenza termini, ha allarmato Dainelli denunciando la carenza di magistrati alla procura di Firenze dopo l’addio dei preziosi Luca Turco e Luca Tescaroli che per anni hanno indagato nel capoluogo toscano sulle bombe del ’93, invitando la procura Nazionale Antimafia ad applicarne alcuni dei suoi a Firenze. Anche Tescaroli è stato uno dei relatori del convegno. Il magistrato ha dichiarato come la procura di Firenze sia "stata oggetto di attacchi istituzionali e mediatici ad ogni livello". "Attacchi senza precedenti", li ha definiti. "Mi sono occupato di stragi per più di 11 anni e mezzo nella mia attività professionale. Tutto ciò non era mai accaduto, sebbene fossimo impegnati in doverosi approfondimenti. E questo ha reso più difficoltoso, ma non ha certo impedito, il cammino compiuto diretto alla ricerca della verità".


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Pertanto, venendo al cuore delle indagini. “Un dato da sottolineare che non va mai dimenticato, perché si è raggiunto un grande obiettivo, è la condanna di 32 imputati, quasi tutti appartenenti a Cosa nostra”, ha ricordato il magistrato che ora guida la procura di Prato. Tescaroli ha sottolineato l’importanza dei collaboratori di giustizia in questo cammino verso la verità processuale che però, ha denunciato, oggi sono abbandonati dallo Stato. “I collaboratori di giustizia si sono rivelati decisivi, senza di loro le verità oggi conosciute non ci sarebbero”. E altre ne mancano, ha evidenziato Tescaroli citando i depistaggi delle indagini intercorsi in questi anni ai quali ha resistito con i colleghi. “I dibattimenti che sono stati celebrati, e ve ne sono stati 6 di verdetti definitivi, hanno fatto nascere degli interrogativi che sono alla base della necessità di continuare a ricercare la verità”, ha detto il procuratore. “Questi dati impongono di continuare il lavoro e lo sforzo investigativo che c’è stato per cercare di appurare se vi sia stata una convergenza di interessi nella ideazione e nella deliberazione delle stragi da parte di soggetti esterni a Cosa nostra, che hanno voluto portare avanti questa campagna di strage e ciò anche con riferimento a taluni profili delle esecuzioni di qualche attentato rientrante nella strategia, come quello di via Palestro”. Quesiti importanti, li ha descritti Tescaroli, “perché danno un corpo” a quei “mandanti a volto coperto” di cui parlava Pier Luigi Vigna (uno dei magistrati storici che lavorarono a Firenze ricordati durante il convegno). 



Dietro le stragi italiane c’è la Cia

Chi sono gli assassini veri delle stragi e cosa possiamo fare noi popolo per cambiare?” E’ la domanda che Giorgio Bongiovanni si è fatto prendendo parola davanti al pubblico della Sala dei Cinquecento. Il direttore di ANTIMAFIADuemila ha risposto basandosi su fatti tecnici, sintetizzando, in poche parole, risultanze investigative sulle stragi della prima Repubblica emerse in decenni di processi. "In tutte le stragi ci sono i servizi segreti italiani”, ha affermato ripetendo la frase più volte. Ma i nostri servizi segreti non sono autonomi, "sono controllati dagli Stati Uniti d’America, dalla Cia”. Il servizio segreto americano, ha sottolineato Bongiovanni, è dietro il caso Moro, dietro alle bombe del 1992, quelle del 1993, dietro la trattativa Stato-mafia, dietro il rapimento di Abu Omar.


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Giorgio Bongiovanni


E in tante altre pagine misteriose della storia del Paese. "Il servizio segreto italiano non risponde mai al nostro governo”, ha dichiarato. "L’Italia è sotto controllo ce l’ha detto l’ex Ministro Scotti che abbiamo intervistato. Noi siamo un paese occupato dalle autorità degli Stati Uniti d’America". Si tratta, ha commentato il direttore della testata, di “una verità che ci diciamo tra noi ma se non combattiamo per liberarci dall’oppressore noi avremo altre stragi”. La soluzione è quella di appoggiare, secondo Bongiovanni, nuovi movimenti politici, assicurandosi che questi nominino le persone giuste per le poltrone giuste per amministrare correttamente il Paese e aprire gli archivi di Stato per troppo tempo rimasti sigillati. 

 
I golpi di Stato della Repubblica

Tra i giornalisti relatori del convegno oltre a Giorgio Bongiovanni, c’è anche la saggista Antonella Beccaria. “La storia delle stragi nasce nel secondo dopoguerra all’interno di politiche di stabilizzazione atlantica e che ha fatto dell’uso delle bombe e delle stragi non un evento criminale ma un sistema per condizionare il potere”, ha esordito. “Questa si chiama guerra non ortodossa che per decenni ha usato tre strumenti: propaganda, tentativi di golpe e le stragi. Propaganda che vediamo ancora oggi col negazionismo che oggi porta a dire che le piste nere sono false, che porta a dire in Argentina che è valida per quei 30mila desaparecidos la teoria dei ‘due demoni’. I golpi di stato in questo Paese - ha spiegato - sono stati un convitato al tavolo della politica. Iniziano in una forma strutturata nel 1964 e arrivano al 1993. E all’interno di questi tentativi di condizionare la vita politica vediamo tutti quegli elementi che attraversano la storia della strategia della tensione e attraversano gli anni ’80 e arrivano fino alle stragi del ’93. Abbiamo le formazioni della destra eversiva che in una prima fase sono gli ideatori e in alcuni casi anche i destabilizzatori convinti del sistema. E poi troviamo le mafie”. 


 

Di Matteo e Ranucci: la memoria antidoto alla riscrittura della storia

Durante la conferenza sono state proiettate in sala due interviste realizzate da ANTIMAFIADuemila al sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e al conduttore di Report Sigfrido Ranucci. Anche loro hanno parlato del connubio mafia-eversione. Entrambi hanno posto poi l’accento sull’importanza della memoria, denunciando pertanto i tentativi di cancellarla e riscriverla sui fatti delle stragi di mafia. “Mi permetto di esortarvi a continuare a pretendere, e in questo momento con ancora più forza di prima, completa verità e giustizia su via dei Georgofili e su tutte le stragi”, ha affermato Di Matteo. “Viviamo in un paese che sta perdendo la memoria, che vuole archiviare per sempre pagine ancora oscure della sua storia recente. E un paese di questo tipo è un paese senza futuro”. Stesso concetto lo ha espresso il giornalista. “La memoria può essere un incubo per chi la teme”, ha detto Ranucci che proprio per aver rispolverato la memoria degli italiani sul coinvolgimento dell’eversione nera nella Strage di Capaci è stato infangato e attaccato (di nuovo) da esponenti della maggioranza di governo. “Torneremo su questa vicenda e sul fatto che ci sono testimoni ancora in vita che non appartengono a Cosa Nostra e non sono pentiti, e che ci confermano la presenza di Stefano Delle Chiaie in quei giorni a Palermo, in Sicilia”, ha annunciato. Tornando alla memoria, e in particolare al tentativo di rimodellarla ad uso e consumo, Ranucci e Di Matteo hanno parlato della condotta della commissione Antimafia. “La Commissione antimafia ha il compito e il dovere di indagare sulle stragi di mafia, non su una sola”, ha detto Ranucci. “A me sembra che, concentrandosi su una sola e puntando su una pista che è molto confusa, al di là del fatto che possano esserci delle responsabilità, mi sembra come se si volesse dimenticare o cancellare o trovare una soluzione che possa giustificare tutte le altre stragi. Siamo molto lontani dalla verità se questo è il modo di procedere”. 



 

Gli appelli degli altri familiari delle vittime

Il convegno è stato anche un’occasione per alcuni dei membri che costituiscono il coordinamento nazionale delle vittime di stragi e attentati - come Salvatore Borsellino, Rosaria Manzo e Paolo Bolognesi - di esprimere le loro rivendicazioni e di fare il punto delle pagine rimaste ancora oscure sui fatti di cui sono rappresentanti. A loro, che già portano sul petto il trauma della perdita, spetta sempre l’infausto compito di trainare il carro della giustizia e della verità davanti alla reticenza, all’indifferenza e alle pacche sulle spalle che ricevono dai più alti vertici delle istituzioni. “La strage della stazione di Bologna, dell'Italicus, del Rapido 904, di Via dei Georgofili, di Piazza Fontana. Siamo tutti insieme, abbiamo finalmente una voce comune”, ha detto il fratello di Paolo Borsellino. “Purtroppo non veniamo ascoltati. Abbiamo chiesto di essere ascoltati dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Senato, dal Presidente della Camera”.





Ma niente. “Abbiamo chiesto di essere ascoltati su questo scellerato decreto sicurezza, soprattutto sull'articolo 31 ma non siamo stati ricevuti. Purtroppo neanche il Presidente della Repubblica ha ritenuto di riceverci, di sentirci e purtroppo ha anche firmato quel decreto sicurezza che contravviene ai principi della nostra Costituzione. E questo non è accettabile”. Reticenze e silenzi li hanno denunciato anche Paolo Bolognesi (Presidente Associazione Familiari Vittime della strage di Bologna) e Rosaria Manzo (Presidente Associazione Familiari Vittime Strage del Rapido 904). “Il 9 maggio c’è stata la ricorrenza presso la Camera dei Deputati”, ha ricordato Bolognesi. “È la giornata ricordo delle vittime del terrorismo e delle stragi. Ci siamo incontrati alla Camera. Siamo andati solo in rispetto del presidente della repubblica, delle istituzioni e soprattutto dei nostri morti. La situazione è stata palesemente incredibile. Hanno parlato il presidente della camera, il presidente del Senato e hanno parlato 20 testimoni dei familiari delle vittime delle brigate rosse. Il terrorismo di destra e le stragi non sono state neanche menzionate".Io sono parte in causa ma sono una cittadina come voi tutti”, ha detto Rosaria Manzo prendendo parola. "Sono state riaperte le indagini sul rapido 904, non se ne è quasi parlato, ed è passato un anno. Abbiamo bisogno di voi”.


 

La stoccata di Repici a Melillo

Del tema ha parlato anche l’avvocato Fabio Repici, legale di Borsellino e di altri parenti di vittime di mafia, che ha citato un episodio “unico nella storia della Repubblica” che sottolinea il double standard di certi esponenti delle istituzioni. Quindi l’avvocato ha ricordato quando il 13 novembre del 2023 nell’ufficio del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, accompagnato da 26 procuratori distrettuali antimafia di tutta Italia, “si sono presentati a colloquio con lui la presidente del consiglio Giorgia Meloni e il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano. Ma per fare cosa? Il capo dei magistrati della procura nazionale antimafia e antiterrorismo, che dovrebbe coordinare tutte le stragi su delitti e stragi di mafia e terrorismo, per quale motivo deve stringere accordi, colloquiare con la presidente del consiglio e con il sottosegretario che ha la delega per il controllo dei servizi segreti?”, si è chiesto l’avvocato. “Quell’Alfredo Mantovano che nella vicenda della strage di via dei Georgofili è il rappresentante istituzionale che al momento in cui si è conosciuto da parte di tutti i cittadini italiani la notizia che Mori era indagato per le stragi del 93 lo ha chiamato e ricevuto a palazzo Chigi, con sfregio palese e spudorato della dignità delle vittime". “Mi piacerebbe che Giovanni Melillo prestasse più attenzione ai familiari delle vittime e che magari li ricevesse nel suo ufficio anziché ricevere la presidente del consiglio. Mi piacerebbe - ha aggiunto - che questi familiari li invitasse nel suo ufficio prima del 30 giugno prossimo, giorno dell’udienza in cassazione per la strage di Bologna a carico di Paolo Bellini, che è evenienza che toglie il sonno a tanti. Sono in tanti ad avere il terrore che Bellini se passa in giudicato la sentenza di condanna possa finalmente parlare e a quel punto aggiungerebbe cose su Bologna, sulle stragi del '93 e sulla trattativa con Cosa nostra fatta in Sicilia avendo alle sue spalle il maresciallo dei carabinieri e il solito generale Mario Mori”. "La questione della verità è la questione della dignità della nostra democrazia - ha concluso - . Dobbiamo essere tutti i cittadini ognuno nel proprio ruolo a dare supporto ai familiari delle vittime nella loro battaglia”. 


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Foto panoramica © Francesco Piras

Foto di copertina e gallery © Paolo Bassani

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