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L'accorato appello del sostituto procuratore nazionale antimafia agli studenti del 'Liceo classico Ennio Quirino Visconti' di Roma

Ragazzi, voi dovete "andare oltre, dovete cercare di capire perché" in "questo Paese sono accadute delle cose che non sono accadute forse in nessun'altra parte del mondo cosiddetto civilizzato".
A parlare è stato il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo davanti ai tanti ragazzi riuniti all'Aula Magna del prestigiosissimo 'Liceo classico Ennio Quirino Visconti'.
Il magistrato palermitano è stato invitato nell'ambito del seminario tenuto dal giornalista del 'Fatto Quotidiano' Giuseppe Pipitone e Marco Colombo, sceneggiatore del podcast 'Mattanza'.
Dopo i saluti della preside Raffaella Giustizieri il sostituto procuratore antimafia si è rivolto agli studenti affrontando varie tematiche tra cui la lotta alla mafia, la sua carriera di magistrato, la separazione delle carriere, il genocidio in corso a Gaza con la complicità del mondo occidentale e, naturalmente le stragi del 1992-93: "Questo è il Paese in cui - e ci sono sentenze definitive che lo attestano - c'è stata una compromissione di livello altissimo tra le organizzazioni mafiose e" soggetti "finanziari, economici e addirittura in certi casi anche istituzionali. Voi queste cose le dovete sapere"; "per favore abbiate la consapevolezza che il potere vi vuole rendere gregge, vuole che certe cose voi non le sappiate, non le affrontiate. È meglio che il giovane, il cittadino sia omologato, sia rassegnato, sia indotto a pensare soltanto a sé stesso e alla propria sfera privata. Voi dovete resistere. Dovete ribellarvi a questo. Dovete impegnarvi per sostenere le vostre idee. Dovete avere il coraggio della protesta, di scendere in piazza, di coltivare i vostri sogni, di battervi per i vostri sogni e per i vostri ideali" ha detto Di Matteo ribadendo la necessità di una ribellione pacifica contro il potere in un contesto di “troppo silenzio” e “troppa rassegnazione” ricordando il “silenzio che sta circondando lo sterminio, la strage, il genocidio continuo a Gaza” con la complicità di chi continua a fornire "armi allo Stato israeliano in questo momento".
Ritornando al fenomeno mafioso Di Matteo ha spiegato che "le mafie vogliono e possono prosperare soltanto nel silenzio”: “Quando vogliono, come in questo periodo storico, coltivare i loro interessi economici, che sono stratosferici, per mantenere il silenzio cercano anche di mantenere un profilo basso, magari evitando delitti eccellenti, stragi, tutto quello che può provocare allarme nell’opinione pubblica”. Di Matteo invita i giovani a opporsi "a quel silenzio" e "di poter opporre la vostra voce, purché la vostra voce sia informata, onesta e consapevole”.
Il magistrato ha anche ringraziato gli studenti dicendo che "ogni volta che esco da questi confronti, soprattutto dopo aver ascoltato le domande, dopo aver ascoltato anche il pathos, il sentimento che traspare dalle vostre domande, esco come se avessi respirato una boccata d’aria” ha detto sottolineando che il valore del lavoro di magistrato non risiede nel potere, ma nel servizio alla collettività, soprattutto verso i più deboli: “Il senso più vero del nostro lavoro, quello che ci fa andare avanti è la consapevolezza che si rende con la ricerca della verità e della giustizia un servizio alla collettività, soprattutto ragazzi a quelli che nella società sono i più deboli, quelli che nella società hanno meno mezzi economici o culturali per emergere, soprattutto nei confronti delle minoranze di coloro i quali dissentono dalle opinioni politiche in quel momento imperanti”.


dimatteo pipitone

Nino Di Matteo insieme al giornalista Giuseppe Pipitone


L'impegno politico

Di Matteo ha affrontato anche il tema dell’impegno politico, rispondendo a chi la considera una materia “sporca": è vero che si è degradata, ma il motivo è proprio perché molti cittadini onesti e capaci si sono tirati indietro: “Se la politica è diventata una cosa purtroppo in gran parte sporca, è perché i tanti cittadini perbene, i tanti giovani, capaci, professionalmente e intellettivamente attrezzati, onesti, sono stati un passo indietro, perché hanno preferito assistere a quello che accadeva e, anche se non gli piaceva, non sono scesi in prima persona, non hanno affrontato il rischio e la responsabilità di impegnarsi direttamente in politica” ha affermato invitando i giovani a non limitarsi a osservare, ma a partecipare attivamente, ma senza retorica, come spesso accade per le commemorazioni del 23 maggio e 19 luglio.
Per il magistrato non basta partecipare se non c'è l'impegno concreto per la ricerca della verità: “A me non piace lo sterile esercizio retorico che spesso è quello a cui assistiamo il 23 maggio e il 19 luglio di ogni anno per ricordare i nostri eroi morti. Non è sufficiente. Non è sufficiente emozionarsi ricordando Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Agostino (Nino e Vincenzo, ndr), non è sufficiente portare il fiore all’albero Falcone o scendere in Sicilia con le navi della legalità per fare vedere che ci siamo”.
Occorre altro: i giovani devono pretendere chiarezza da magistrati, giornalisti, politici e dalla Commissione Parlamentare Antimafia: “Voi ci dovete incalzare, dovete pretendere da noi magistrati, da loro giornalisti, dalla politica, dalla Commissione Parlamentare Antimafia, dovete pretendere che si vada avanti”. Conclude con un monito sulla memoria come fondamento del futuro: “Un paese che perde la memoria è destinato ad essere un paese senza futuro”.
Per questo e anche per altri motivi il sogno di Falcone è ancora molto lontano dall'essere realizzato; e lo si potrà fare solo se sussistono determinate condizioni: "Uno, chi governa deve mettere la questione mafia al centro dell'attenzione e deve considerare l'obiettivo di una seria lotta alla mafia come il primo obiettivo da perseguire. La seconda condizione: non si devono smantellare tutti quegli strumenti di normativa antimafia che sono stati conseguiti proprio dopo il sacrificio di tanti uomini dello Stato che sono stati uccisi. Non si deve smantellare come purtroppo ogni tanto si sente la legislazione antimafia sui collaboratori di giustizia, sulle intercettazioni, sui sequestri dei beni ai mafiosi. Una legislazione che è costata sangue, che buona parte del mondo ci invidia, che ci vuole copiare, ma che noi mettiamo in discussione. Il terzo fattore dipende da voi, ragazzi: la mafia si potrà sconfiggere un giorno, se questa spinta partirà dal basso, partirà dal popolo, partirà soprattutto dai giovani ed è una spinta che deve cambiare quella mentalità che costituisce il brodo in cui cresce la mentalità del favore, la mentalità della scorciatoia, la mentalità della raccomandazione, la mentalità dell'appartenere a qualcuno o a qualcosa come strumento per poter fare strada nella vita. Questa non è necessariamente mafia, ma è la mentalità mafiosa che corrode il nostro paese e da voi deve partire quella ribellione da questa mentalità. Non può partire da una classe, quella nostra, di adulti che ha fallito in tante cose", ha detto.

Sulla separazione delle carriere

Rispondendo alla domanda di una studentessa Nino Di Matteo ha discusso il tema della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, spiegando come "il progetto di separazione delle carriere era uno dei primi punti del programma della P2” di Licio Gelli aggiungendo che separare le carriere "vuol dire portare inevitabilmente il pubblico ministero lontano da quella cultura della giurisdizione che deve connotare anche di garanzia le decisioni”: “Noi quando facciamo le indagini non dobbiamo mai essere accusatori a tutti i costi. Noi dobbiamo fare le indagini e fare le indagini anche quando queste ci portano verso l’innocenza di qualcuno che ritenevamo poter essere sospettato”. Ha poi aggiunto: “Quando io vado in udienza come pubblico ministero oggi, ed è capitato tante volte non soltanto a me ma a tutti, se mi convinco che ci sono le prove o addirittura che quell’imputato è innocente, io chiedo l’assoluzione”. La separazione, secondo Di Matteo, trasformerebbe il pubblico ministero in una sorta di “longa manus della polizia” e lo renderebbe dipendente dal governo, minando le garanzie per i cittadini: “Voi vi sentireste come cittadini più garantiti da un pubblico ministero accusatore a tutti i costi e che dipende dall’esecutivo, o vi sentireste più garantiti da un pubblico ministero che ha la stessa cultura, la stessa formazione del giudice e che è assolutamente indipendente dall’esecutivo?”.
Di Matteo ha quindi smentito le narrazioni che giustificano la separazione, come l’idea che i giudici favoriscano i pubblici ministeri per colleganza: “Vi vogliono fare credere che bisogna separare le carriere perché i giudici, siccome sono colleghi del Pubblico Ministero, sono in ogni caso mentalmente indotti a dare ragione al Pubblico Ministero. È una clamorosa falsità perché ci sono le statistiche che dicono che una gran parte dei processi, anche quando il pubblico ministero ha chiesto la condanna, si chiude con l’assoluzione” ha detto ribadendo che la parità tra le parti esiste nel processo, ma il pubblico ministero e l’avvocato hanno ruoli diversi: “La parità tra le parti è all’interno del processo. Se il pubblico ministero porta una prova, il difensore giustamente ha diritto alla controprova. Ma non potete dire che il Pubblico Ministero e l’Avvocato rappresentino poteri uguali e paralleli per una semplice ragione: l’Avvocato ha il dovere, per deontologia, non di cercare la verità ma di fare di tutto per difendere il suo assistito”. Al contrario, il pubblico ministero ha "il compito di far rispettare la legge, ha il compito di cercare la verità e quindi anche di cercare le prove a discapito, a discarico dell’imputato e quindi, come accade tante volte, anche di chiedere l’assoluzione”.


dimatteo nino licelo roma 3


Il magistrato palermitano è quindi tornato a esprimere preoccupazione per questo progetto di riforma: “La verità è che vogliono fare la separazione delle carriere, perché separando i pubblici ministeri dai giudici, prima o poi i pubblici ministeri vanno a finire sotto il controllo dell’esecutivo, sotto il controllo del Ministero della Giustizia e questa non è più democrazia” ha affermato collegando questo rischio a una tendenza globale di concentrazione dei poteri: “Oggi stiamo assistendo non soltanto in Italia ma in tutto il mondo, a una concentrazione pericolosissima dei poteri di tutti i governi a scapito del legislativo e del giudiziario”.
La difesa che facciamo quando andiamo anche nei dibattiti a cercare di sfidare i fautori della separazione delle carriere non è una difesa corporativa - ha detto - noi ci pagherebbero allo stesso modo, non cambierebbe nulla per la magistratura, ma è una difesa per la garanzia dei cittadini e per il rispetto della Costituzione”. Infine, Di Matteo ha esortato i giovani a studiare la Costituzione, definendola un documento che tutela i deboli e promuove l’uguaglianza: “Noi abbiamo una Costituzione che, io dico sempre, è il caposaldo, dovrebbe essere il caposaldo del nostro vivere, cioè noi abbiamo una Costituzione che contiene in sé anche il germe più bello dei valori cristiani, la tutela dei deboli, delle minoranze, la possibilità della promozione sociale, della perequazione economica”.
“Noi la Costituzione non la dobbiamo cambiare, sembra che ultimamente vogliano farlo sempre più spesso e sempre più a sproposito. Noi la dobbiamo attuare, noi la dobbiamo applicare
” ha affermato Di Matteo richiamando l’art. 3, che prevede l’uguaglianza e la rimozione degli ostacoli sociali, denunciando la crescente accettazione delle disuguaglianze: “Ma noi viviamo in un momento in cui abbiamo la consapevolezza che questi ostacoli devono essere rimossi? O viviamo in una situazione ormai, in una società in cui si accetta, come se fosse inevitabile, che una parte minima di popolazione viva nella ricchezza più assoluta a discapito dei tanti che vivono in condizioni di povertà e di miseria?”.


Sulle stragi

Nino Di Matteo, infine, rispondendo sempre alle domande degli studenti, ha spiegato che la 'Ndrangheta, a differenza di Cosa Nostra, è più focalizzata sul traffico internazionale di stupefacenti e sul riciclaggio: "La 'Ndrangheta che sicuramente oggi, ma non solo da oggi, è molto, molto potente nel traffico internazionale di stupefacenti, nel riciclaggio degli enormi proventi che da quel traffico derivano". Al contrario, Cosa Nostra ha avuto una visione politica, cercando di influenzare le istituzioni: "Ragazzi, nel DNA di Cosa Nostra, da sempre, c’è la loro volontà di condizionare la politica ufficiale, quella istituzionale". Di Matteo ha citato processi chiave, come quelli ad Andreotti, Dell’Utri e Cuffaro, per dimostrare come Cosa Nostra abbia condizionato la politica siciliana e nazionale, soprattutto durante l’era di Totò Riina.
Parlando della campagna stragista del 1991-1994 il magistrato ha sottolineato che non si trattava solo di vendetta, ma di una strategia politica e terroristica: "Dobbiamo fare la guerra per poi fare la pace", come disse Riina. Questo indica l'intenzione di ricattare lo Stato per ottenere concessioni, come l’aggiustamento del maxiprocesso. Le stragi, come quelle di Capaci, Via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano, miravano a creare "panico, un senso di insicurezza di cittadini". Gli attentati non colpivano solo individui specifici, ma avevano una "natura terroristica, simbolica. Cioè: 'Voi dovete venire a patti con noi, altrimenti noi continuiamo'".
"L’attentato a Giovanni Falcone non è l’attentato a Paolo Borsellino. È qualcosa di diverso, è un attentato a un convoglio di macchine blindate in movimento, un qualcosa che richiede anche a chi lo fa una preparazione tecnica notevole".
Questa mafia, quella stragista che mette le bombe, è finita per sempre?
Secondo Di Matteo la mafia cambia "pelle come un serpente" e in futuro potrebbe ritornare ad alzare il livello dello scontro con lo Stato. 

Foto © ACFB

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