C'è una sequela di inchieste che si sta trasformando in un bombardamento, un assalto di stampo giudiziario ai vertici del passato degli uffici inquirenti più importanti d'Italia.
Ci sono magistrati trascinati nel gorgo di indagini a margine (direi, veramente molto a margine) sulle stragi siciliane del 1992, personaggi profondamente distanti uno dall'altro, profili diversi, storie lontane, in comune per tutti e tre gli anni nelle stanze della procura della repubblica di Palermo insieme - dettaglio che a pensarci bene forse non è un dettaglio - al loro accusatore.
Somiglia tanto a una resa dei conti quella che sta andando in scena da qualche mese a Caltanissetta, la procura che è titolare delle inchieste su Capaci e via Mariano D'Amelio, dove il suo nuovo capo Salvatore De Luca ha messo sotto accusa prima Gioacchino Natoli, giudice istruttore del pool antimafia di Falcone, poi l'ex procuratore capo di Reggio Calabria e di Roma Giuseppe Pignatone, adesso Michele Prestipino, uno dei costruttori di Mafia Capitale, a capo dei pubblici ministeri romani fino a quando Francesco Lo Voi gli ha soffiato la poltrona dopo un ricorso al Consiglio di Stato.
I primi due sono indagati per favoreggiamento alla mafia sullo sfondo della controversa inchiesta su mafia e appalti, il terzo per avere riferito informazioni coperte da segreto all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, oggi presidente della società incaricata di progettare e realizzare il Ponte sullo Stretto.
Il procuratore De Luca avrà sicuramente le sue buone ragioni per avere iscritto nel registro degli indagati i suoi tre ex colleghi (un quarto, Roberto Scarpinato, è stato oggetto di intercettazioni nonostante sia un senatore della Repubblica) e non mi passerebbe mai per la mente di entrare nel merito delle tre vicende.
Però c'è qualcosa che mi colpisce profondamente in questo "attacco" che si è sviluppato nel volgere di pochi mesi contro magistrati che hanno firmato indagini significative negli ultimi venti e passa anni, ho la sensazione che stia accadendo qualcosa dentro la magistratura italiana che vada ben oltre le contestazioni che verranno avanzate a Natoli, a Pignatone e ora anche a Prestipino.
E poi dalla procura che indaga sulle uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, dopo trentatré anni mi aspetterei qualche frammento di verità, qualche nuovo elemento per capire chi ha voluto davvero quelle bombe, vorrei saperne di più sui mandanti altri. Ma la procura di Caltanissetta ha già ben segnato la strada che intende percorrere. Si è già sbilanciata. Segue, infatti, con interesse quella pista mafia e appalti scartata e riscartata per decenni, crede al generale Mario Mori e a quelli che furono i suoi reparti speciali, è convinta che Paolo Borsellino sia saltato in aria perché stava scoprendo l'intreccio fra i boss di Cosa Nostra e i grandi imprenditori del Nord.
È un corto circuito investigativo e istituzionale. Perché se Mori è considerato un oracolo a Caltanissetta, a Firenze l'hanno indagato un'altra volta per le stragi.
È una giustizia che confonde. E una giustizia che confonde fa paura.
Un'ultima annotazione a proposito di corto circuiti. Abbiamo appreso che l'ex procuratore capo di Roma Michele Prestipino, per difendersi davanti ai suoi colleghi di Caltanissetta, abbia scelto come suo legale di fiducia l'avvocato Cesare Placanica, il difensore del Cecato, di Massimo Carminati, uno dei due pilastri di quella Mafia Capitale teorizzata proprio da Prestipino.
Amen e così sia.
Foto © Imagoeconomica
Tratto da: Il Domani
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