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Primo maggio 1947. La prima strage dell’Italia repubblicana, l’inizio di una lunga scia di sangue che ha segnato il nostro Paese.
Dalle colline circostanti, colpi di mitragliatrice e granate si abbattono sulla folla inerme. Undici persone perdono la vita, decine restano ferite. Tra le vittime ci sono bambini, come Vincenza La Fata, di soli 8 anni, e Giovanni Grifò, 12 anni. E poi Filippo Di Salvo, 48 anni, Margherita Clesceri, 37 anni, Giorgio Cusenza, 42 anni, Giovanni Megna, 18 anni, Francesco Vicari, 22 anni, Vito Allotta, 19 anni, Serafino Lascari, 15 anni, Giuseppe Di Maggio, 13 anni, Castrense Intravaia, 18 anni. Nomi che non dobbiamo dimenticare, vite spezzate in un istante.
Il 2 maggio 1947, appena 24 ore dopo i fatti, il ministro dell’Interno Mario Scelba parlò alla Camera, definendo la strage un episodio di “arretratezza feudale”. Una semplificazione che nascondeva la verità. Nel frattempo, le indagini furono frettolose: niente autopsie sui corpi, nessuna perizia balistica per identificare le armi usate. Un copione che si ripeterà in molte altre stragi italiane.
Al centro della vicenda c’è Salvatore Giuliano, il famoso bandito siciliano. Documenti recenti confermano il suo legame con la mafia, ma Giuliano non agiva da solo. Era una pedina in un gioco molto più grande. Come scriveva Salvo Vitale, storico compagno di Peppino Impastato, “Giuliano fu usato in una macchinazione complessa, orchestrata da chi voleva fermare l’avanzata del movimento contadino e del comunismo in Sicilia”. Le indagini ufficiali, però, non hanno mai chiarito chi fossero i veri mandanti. Un rapporto dei carabinieri, redatto mesi dopo la strage, parlava di “elementi reazionari in combutta con i mafiosi”. Ma chi erano questi elementi?
Documenti desecretati dei servizi segreti americani, l’OSS e il CIC, rivelano che furono usate lanciagranate in dotazione alla Xª Flottiglia MAS, un’unità fascista guidata da Junio Valerio Borghese, cooptata dagli americani. In altre parole, i manifestanti si trovarono sotto il fuoco incrociato di banditi, mafiosi di San Giuseppe Jato e Sancipirello, e fascisti al soldo dei servizi USA.
E poi c’è la morte di Salvatore Giuliano, avvenuta il 5 luglio 1950 a Castelvetrano. Ufficialmente, fu ucciso in uno scontro a fuoco con il CERB, il Comando forze repressione banditismo. Ma molti credono che a sparare fu Pisciotta, suo cugino e luogotenente. Anche qui, i dubbi abbondano: nessuna indagine approfondita, nessuna chiarezza. E quando Pisciotta, in carcere, disse di voler rivelare i nomi dei mandanti, morì avvelenato. Coincidenze? Difficile crederlo. 

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