Dai potenti che lo criticavano ai leader che lo ignoravano: ora tutti piangono per il Papa che non hanno mai ascoltato
Papa Francesco ce l’ha fatta: ha smascherato il potere, lo ha messo davanti a uno specchio, mostrando al mondo intero il suo riflesso. Il Santo Padre, criticato e ostacolato in vita, tanto in Vaticano quanto nei palazzi del potere, attraverso “sorella morte” - per usare le parole di un Santo che, guarda caso, ha portato il suo stesso nome - ha indicato, uno a uno, quanti hanno ignorato le sue parole e che ora, in morte, tentano tristemente di appropriarsi della sua eredità morale. Leader politici che, con la loro presenza, non hanno fatto altro che ammettere implicitamente - agli occhi del mondo intero - la loro ipocrisia e una inequivocabile povertà di spirito. C’erano tutti, o quasi. Tutti quelli che avevano ignorato Francesco in vita erano lì, in Piazza San Pietro, a versare lacrime di coccodrillo. Politici, italiani e non, che storcevano il naso davanti ai suoi richiami sull’immigrazione, ora lo piangono pronunciando parole cariche di false emozioni. Capi di Stato che avevano snobbato i suoi appelli per la pace erano lì, vestiti a lutto, a parlare del “grande leader morale dei nostri tempi”. D’altronde, la morte ha sempre avuto un dono particolare: quello di lavare le coscienze. E quella di Papa Francesco non fa certo eccezione. Così come non l’hanno fatta altre morti illustri prima della sua.
La sceneggiata a cui abbiamo assistito nelle scorse ore in diretta da Piazza San Pietro, in fondo, l’avevamo già vista. Non serve nemmeno scavare troppo nella storia per trovare altri esempi di questo tipo, in cui persone scomode da vive diventano, come per magia, utili da morte. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ad esempio. Fastidiosi disturbatori della pace mafiosa - spesso trattata con pezzi deviati dello Stato - i cui nomi, ancora oggi, vengono ampiamente utilizzati e abusati per riempire i discorsi vuoti di chi, all’occorrenza, non perde occasione per brillare di luce riflessa grazie a un’antimafia di facciata. Eroi che da morti sono stati trasformati in icone da usare all’occorrenza. Nessuno, infatti, oggi ammetterà mai di averli ostacolati o criticati in vita. In pratica, lo stesso trattamento, o quasi, che sta ricevendo ora anche Papa Francesco: da pietra d’inciampo a monumento utile per i posteri. In morte, Francesco diventa così un’icona neutra e spendibile: abbastanza morto da non disturbare più, abbastanza vivo da dare prestigio a chi oggi si affretta a celebrare la sua memoria. Ora che non può più ribattere, correggere, ammonire, quelli che avevano fatto “orecchie da mercante” si sono messi in fila davanti alla sua bara.
Ursula von der Leyen in Piazza San Pietro
L’ipocrisia si veste a lutto
In Vaticano abbiamo visto sfilare un pò tutti: dalla premier Giorgia Meloni al suo vice Antonio Tajani, fino a Matteo Salvini. Quanto ai leader venuti dall’estero, anche lì i grandi nomi non sono mancati: dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, passando per il presidente francese Emmanuel Macron, fino al presidente statunitense Donald Trump e al suo predecessore Joe Biden. Tra gli immortalati da un esercito di fotografi e cameraman, anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky insieme a sua moglie Olena Zelenska. “Il nostro rapporto era più stretto di quanto si vedesse”, ha commentato la premier Meloni. "Tutto il mondo - ha ribadito ai microfoni del Tg1 - lo ricorderà per essere stato il Papa della gente, il Papa degli ultimi”. E ha aggiunto: “Con lui si poteva parlare di tutto con grande semplicità”. Durante la commemorazione alla Camera dei Deputati, Meloni ha ricordato Papa Francesco come “il Papa della gente”, sottolineandone l’impegno per la pace e la giustizia sociale. In una nota ufficiale, la premier ha poi definito la notizia della sua morte come “una notizia che ci addolora profondamente, perché ci lascia un grande uomo e un grande pastore”. Peccato, forse, che Giorgia Meloni sembri aver dimenticato la direzione intrapresa dal suo governo per modificare la legge 185/90 che regola l’export di armamenti italiani, riducendo la trasparenza nei controlli sulle vendite di armi all’estero. Una direzione che, secondo organizzazioni come Rete Pace e Disarmo, rappresenta un “clamoroso passo indietro” rispetto agli standard europei e internazionali sulla trasparenza finanziaria e il rispetto dei diritti umani.
Toccante anche il pensiero condiviso dal vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha ricordato Francesco come “un amico dell’Italia” e “un grande Pontefice”. “Preghiamo per lui e per il futuro di tutta la Chiesa cattolica”, ha dichiarato. Chissà se, mentre parlava con tanta ispirazione, il ministro Tajani ricordava anche quando, con grande coerenza, appoggiava senza battere ciglio le azioni di Benjamin Netanyahu, rifiutandosi di votare per una tregua umanitaria all’ONU mentre Gaza veniva rasa al suolo. Quando lo stesso Tajani ha dichiarato, attraverso l’ambasciatore italiano all’ONU: “Sempre solidali con Israele; la sicurezza d’Israele non è negoziabile”, mentre a Gaza era, ed è ancora in corso, un genocidio.
L’altro vicepremier, Matteo Salvini, ha affidato ai social il suo messaggio: “Papa Francesco ha raggiunto la Casa del Padre”, corredato da un’emoticon di mani giunte in segno di preghiera; forse pensando che bastasse una GIF - in realtà ne ha usate ben tre - per cancellare anni di slogan sui porti chiusi e i confini blindati.
Straordinario il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha dichiarato: “Francesco era molto sensibile alle sofferenze dei carcerati. Nel suo nome lavoreremo per rendere il sistema penitenziario sempre più umano”. Chissà se la sensibilità del ministro Nordio si è ricordata dei detenuti torturati e abusati nelle prigioni libiche, quelle in cui operava il generale Osama Almasri, accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Nonostante un mandato di arresto emesso dalla CPI, Almasri - dopo essere stato fermato in Italia - è stato rilasciato e poi comodamente espulso con un volo di Stato. Chissà se il ministro Nordio si è anche ricordato di quella volta in cui spiegava, con impareggiabile profondità, che se le carceri sono piene la colpa è anche dei magistrati che ci mettono dentro la gente. Dimenticando, però, il piccolo dettaglio che molti indagati si sono dati alla macchia dopo aver saputo di essere sotto inchiesta, grazie all'obbligo - introdotto dalla sua stessa riforma - di notificare un avviso di garanzia e di procedere a un interrogatorio preventivo almeno cinque giorni prima di applicare misure restrittive come, non so, l’arresto. Ma sì, in fondo sono dettagli anche questi.
Giorgia Meloni e il presidente argentino Javier Milei
Omaggi e amnesie
Il paradosso non cambia nemmeno quando si guarda ai leader stranieri accorsi in Piazza San Pietro per piangere il loro amico Francesco. La lista, ovviamente, è lunga, ma vediamone qualcuno. Javier Milei. Il presidente argentino, che nei giorni scorsi ha definito Bergoglio “l’argentino più importante della storia”, è lo stesso che in campagna elettorale lo aveva apostrofato come un “imbecille che difende la giustizia sociale”, “il rappresentante del male sulla Terra” e, in un impeto di tenerezza, “figlio di puttana che predica il comunismo”. Fortuna che non è mai troppo tardi per ravvedersi. Così, poche ore prima dei funerali, Milei ha voluto ricordare la famosa telefonata riparativa con “il figlio di puttana” vestito di bianco: “Mi sono scusato - ha precisato il presidente argentino -, e lui mi ha detto: ‘Non ti arrabbiare, sono errori di gioventù’”. Insomma, classiche cose tra amici che si mandano a quel paese e poi si abbracciano.
Tra gli ipocriti schierati in prima fila, rigorosamente in abito nero, stavolta non di tipo militare, c’era anche Volodymyr Zelensky, arrivato a Roma per rendere omaggio a Bergoglio. Lo stesso Zelensky che, davanti ai ripetuti tentativi di mediazione pontificia nel conflitto con la Russia, aveva chiarito: “Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori. Se mai ci può essere un piano di pace, è solo quello ucraino”. Insomma, altro caso di coerenza sconosciuta. Le differenze tra i due, del resto, erano già emerse durante il loro incontro nel 2023: Francesco aveva regalato un ramoscello d’ulivo in bronzo, simbolo di pace. Zelensky aveva ricambiato con una piastra decorata estratta da un giubbotto antiproiettile. Più chiaro di così.
E, a proposito di guerra, passiamo ora a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nonché appassionata collezionista di armamenti. Anche lei, presenza immancabile ai funerali, ha avuto la delicatezza di postare su X: “Oggi i leader di tutto il mondo si sono riuniti per rendere l'ultimo omaggio a Sua Santità Papa Francesco”. E ancora: “I miei pensieri sono per coloro che sentono questa profonda perdita”. Chissà cosa avrà pensato, invece, davanti alle parole di Papa Francesco, che durante la sua ultima benedizione Urbi et Orbi aveva ricordato: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”. Ma sì, dettagli!
Foto © Imagoeconomica
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