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La città non si è arresa agli ultimi diktat del governo che ha pensato bene di strumentalizzare la morte di Papa Francesco per indire 5 giorni di lutto nazionale, raccomandando una “compostezza” per il 25 aprile che si è tradotta, spesso e volentieri, in autentici divieti nelle capitali italiane: da Trieste a Foligno, da Domodossola a Cesena sono tanti i sindaci che hanno obbedito all’appello del ministro Musumeci.
Tutte le cerimonie sono consentite naturalmente, tenuto conto del contesto e quindi con la sobrietà che la circostanza impone a ciascuno”, aveva fatto sapere qualche giorno fa, auspicando a celebrazioni formali e solenni svuotate, evidentemente, della denuncia che imporrebbe il richiamo dei veri valori della resistenza. Quelle parole forti che sicuramente avrebbero meglio reso omaggio al pontificato di Papa Francesco, mai titubante nel denunciare le guerre, il riarmo, le mafie o le politiche repressive contro gli ultimi.
Ebbene la città di Palermo non è rimasta silente e ha visto sfilare un migliaio di persone per celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione.
Tutto ha avuto inizio con la consueta cerimonia di deposizione delle corone d’alloro e dei fiori presso la lapide dedicata ai caduti di Cefalonia e il cippo commemorativo di Pompeo Colajanni, a cui hanno partecipato il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, l’assessore regionale Alessandro Aricó, il deputato regionale Vincenzo Figuccia, il prefetto di Palermo Massimo Mariani e il rappresentante dell’ANPI, Ottavio Terranova. Le formalità istituzionali hanno subito lasciato il posto all’attivismo più vivo della città. Presenti la Cgil Palermo, Arci Palermo, presidio Donne per la pace e la comunità palestinese. 


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La marcia, partita dal Giardino Inglese ha poi percorso via della Libertà e via Ruggero Settimo per giungere verso le 11.15 in piazza Verdi.
Molte realtà si sono unite alla comunità palestinese di Palermo che da oltre un anno e mezzo subisce un genocidio portato avanti dall’entità sionista e con la complicità della comunità internazionale e del nostro Paese, l’Italia… Antisionismo è antifascismo e antifascismo è antisionismo!”, gridava Jamil El Sadi della comunità palestinese, membro di Our Voice.
Tante sono state le bandiere della Palestina che hanno animato la folla, richiamando ad una resistenza che oggi ritorna attuale per un popolo a cui viene negato il diritto di esistere. Il blocco totale a Gaza imposto da Israele ha superato il 50° giorno e le organizzazioni umanitarie avvertono che le scorte di cibo si stanno esaurendo. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, 51.266 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della guerra nell’ottobre 2023, e 116.991 sono stati feriti. Ma i numeri potrebbero essere più alti: centinaia di corpi rimangono sepolti sotto le macerie, impossibili da recuperare senza attrezzature.


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Karim El Sadi


Il ritorno dell’Ovra fascista col decreto sicurezza

Come Anpi cerchiamo di divulgare quelli che sono stati i valori fondanti della resistenza perché da lì è nata la costituzione e la nostra legge fondamentale che oggi è sottoposta a rischio…Ogni giorno questo governo fa un passo avanti per demolire la democrazia. Pensate a cosa significa questo decreto sicurezza approvato in via d’urgenza, superando un dibattito parlamentare che era doveroso e necessario”, ha denunciato il vice presidente vicario dell’Anpi, Armando Sorrentino, richiamando al provvedimento, che è stato trasformato dal governo in decreto legge dal governo, bypassando così il dibattito parlamentare.
Un corpus di nuove norme liberticide che attenta in maniera diretta all’ordine democratico del nostro Paese. L’Articolo 31 del decreto prevede non solo la possibilità da parte della pubblica amministrazione e delle università, di fornire informazioni all'intelligence, ma in particolare potenzia le attività sotto copertura degli agenti, permettendo loro di sequestrare, uccidere, organizzare clan mafiosi e prenderne il controllo, fare stragi, organizzare reti di narcotraffico e molto altro ancora. Non solo, l'articolo 31 consente agli agenti segreti la fabbricazione e il trasporto di materiale esplosivo.


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Inoltre il blocco stradale, che ora è un illecito amministrativo, diventa un reato e se avviene nel corso di una manifestazione, la pena può arrivare fino a sei anni. Si introducono, al contempo, sanzioni più severe per chi protesta contro grandi opere, inasprendo le pene per violenza o minaccia a pubblico ufficiale quando mirate a bloccare infrastrutture strategiche. Rispetto al ddl, prevede un aumento della pena più consistente (dalla metà anziché un terzo) e ridefinisce le opere protette come infrastrutture legate a energia, trasporti, telecomunicazioni o altri servizi pubblici.
Un decreto, dunque, che minaccia i principi costituzionali del diritto al dissenso e alla libertà di pensiero, tutelati rispettivamente dagli articoli 2 e 21 della Costituzione. Diritti fondamentali in un sistema democratico e che non possono essere limitati in assenza di reali emergenze di ordine pubblico.
“I partigiani hanno lottato per sconfiggere il nazifascismo e da allora abbiamo avuto 80 anni di pace e abbiamo una Costituzione che si richiama alla pace, una Costituzione antifascista. Per noi questo giorno è importante, ma lo è ancora di più perché vogliamo che la pace sia duratura”, ha detto Ottavio Terranova rappresentante dell’Anpi nel corso delle manifestazioni per il 25 aprile.


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Rearm Europe: l’Europa ripercorre le stesse logiche di guerra di 80 anni fa

Proprio il riarmo ha costituito un altro tema cardine della manifestazione: “questa l’Italia che sognavano i nostri nonni? È questa l’Italia e l’Europa che sognavano i sopravvissuti alle leggi razziali e ai campi di sterminio? Un’Italia e un’Europa che spendono 800 miliardi in riarmo; un’Italia e un’Europa che tagliano fondi a sanità, scuole, università, welfare? Un Italia e un’Europa dello sfruttamento dei lavoratori? Dell’asservimento a Washington?”, ha denunciato il portavoce della comunità palestinese di Palermo, Karim El Sadi, anch’esso membro di Our Voice.
La questione è seria. Entro il 2030, l’Europa rischia seriamente di entrare in rotta di collisione con una guerra totale. I segnali sono sempre più evidenti: mentre i negoziati tra Stati Uniti e Russia restano bloccati, il vecchio continente si prepara a scenari di conflitto, abbandonando ogni prospettiva di distensione. Il Parlamento europeo ha approvato una nuova strategia di difesa comune, in sinergia con la Commissione Von der Leyen, che spinge verso una militarizzazione condivisa del continente, volta a rendere l’UE capace di agire in modo autonomo ed efficace sul piano militare. Al centro resta il sostegno incondizionato all’Ucraina, inclusa la possibilità di revocare i limiti all’uso di armi occidentali contro obiettivi in territorio russo — misura che entra in diretto conflitto con la dottrina nucleare russa aggiornata da Putin nel 2024.


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Questa svolta bellica si concretizza nel programma “Rearm Europe”, da 800 miliardi di euro, e nel Libro bianco della Difesa, dove si delineano investimenti in armamenti avanzati (missili a lungo raggio, intelligenza artificiale, sistemi autonomi) e nella piena prontezza delle forze armate entro il 2030. In parallelo, la NATO intensifica le esercitazioni militari, come la “Ramstein Flag 2025”, coinvolgendo decine di velivoli, basi operative e scenari di attacco simulato, con particolare attenzione alla risposta a una possibile offensiva russa. Una nuova dottrina di guerra che non lascia posto ad alcuna possibilità di distensione, in vista dell’accordo di pace tra Washington e Mosca. L’Europa ha già scelto la guerra sposando le posizioni più oltranziste di Kiev, che vanno dal riconoscimento della Crimea fino alla possibilità di entrare nella NATO. Una questione esistenziale per la Russia che è stata la causa scatenante del conflitto.


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Gaza: la resistenza che non si ferma dal 1948

Il portavoce della comunità palestinese ha poi proseguito ricordando l’esempio di lotta che un popolo assediato continua a tramandarci da decenni:
tutti i nostri fratelli e sorelle che sono ancora in vita nella striscia di Gaza sono sopravvissuti a decenni di pulizia etnica fatta di massacri, espulsioni e crimini di ogni sorta. Quelli che oggi si trovano a Gaza, ma anche in Cisgiordania, quelli che voi vedete scrollando gli schermi dei vostri telefoni, sono sopravvissuti alla Naqba, nel 1948, sono sopravvissuti alla guerra dei sei giorni nel 1967, a stragi continue, alla prima intifada, alla seconda, alle detenzioni, alle torture, alle offensive israeliane del 2008, del 2009, del 2012, del 2014, del 2019, del 2021 e ora a questa”.
Un’oppressione per la quale non ci può essere altra risposta che non sia la resistenza attiva, che richiama direttamente quella dei nostri padri costituenti.
Quanti altri palestinesi devono essere uccisi, quanti campi profughi devono essere bombardati, quanti ospedali devono essere colpiti, quanti lembi di carne dovete vedere prima che questa Europa razzista e collusa definisca questo dramma come genocidio?! I palestinesi hanno diritto a resistere, in tutti i modi. Affrontando il carro armato, testimoniando la realtà nelle tv, o sfamando migliaia di bocche di bambini a Gaza”, ha denunciando El Sadi, commemorando infine la figura di Papa Francesco.


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Unico leader mondiale ad opporsi ai padroni della guerra, a parlare di genocidio e denunciare Israele per i suoi crimini, criticato da vivo e poi pianto da morto da quei leader che prima lo accusavano di essere filiputiniano o antisemita, a partire dal governo israeliano che ha fatto cancellare i post di condoglianze dai propri profili ufficiali. Ennesima dimostrazione della natura criminale di questo governo e di questo stato, che mentre dice di festeggiare la pasqua cristiana reprime i fedeli e impedisce loro di pregare nei luoghi di culto solo perché palestinesi”.
L’appello finale dell’attivista va alla lotta attiva nel nostro Paese, per fermare la grave deriva a cui questo governo ci sta conducendo, rievocando le ombre di quell’oscuro passato che ci ha consegnato agli orrori più indicibili.
Questa non è l’Italia e non è l’Europa che sognavano, non l’Italia per cui hanno perso la vita le 623 donne partigiane cadute. A 80 anni dalla liberazione non possiamo consentire che l’Italia che sognavano i partigiani versi in queste condizioni. Non lo permetteremo. Continueremo a metterci di traverso!”.

Foto © Our Voice

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