Il fondatore di Libera: “Non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani. Ha preferito i deboli ai potenti”

Non è stato un cammino facile, ma certamente autentico. È uno degli aspetti fondamentali che hanno caratterizzato il legame profondo e sincero tra Papa Francesco e don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che a sorpresa, durante un’intervista a Repubblica, ha rivelato un dettaglio inedito sul percorso del Santo Padre nella lotta alla mafia: un cammino tutt’altro che semplice, “ostacolato anche all’interno del Vaticano”. È una rivelazione carica di amarezza, quella raccontata dal noto e instancabile sacerdote che da anni combatte mafie, corruzione e ingiustizie sociali. Resta però un fatto indiscutibile: il pontificato di Francesco ha rappresentato una svolta sotto diversi aspetti, anche morali e politici. Per questo motivo, don Ciotti ha auspicato che la Chiesa di Pietro “resti fedele al messaggio di Papa Francesco”.
Il magistero di Bergoglio ha mostrato fin dall’inizio una profonda attenzione per gli ultimi, i sofferenti, gli emarginati. Basti pensare al suo primo viaggio a Lampedusa: un gesto simbolico ma potentissimo. “Tre giorni prima di essere ricoverato - ha ricordato don Ciotti - di fronte alle immagini terribili dei migranti in catene, il Papa ha scritto che l’atto di deportare le persone ferisce la dignità di tanti uomini e donne, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità”. Un segno inequivocabile del fatto che Francesco abbia saputo portare con sé un’esperienza personale di migrazione, trasformandola in una sensibilità pastorale diventata anche una sfida per la coscienza dell’Occidente. Peccato che “molti potenti che in morte lo stanno osannando, in vita non abbiano accolto il suo messaggio radicale, che oltre alle migrazioni ha toccato altri temi scomodi: dalla tratta alla povertà, dalle distruzioni ambientali alle guerre, fino alle carceri”.


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Non dovrebbe sorprendere, dunque, che il pontificato di Francesco sia stato una vera e propria provocazione, una sfida rivolta non solo ai fedeli, ma anche alla stessa struttura ecclesiastica. “Anni fa - ha ricordato il fondatore di Libera citando le parole di Bergoglio - disse: ‘Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano’”. Francesco ha costretto molti cristiani “tiepidi” a confrontarsi con la coerenza tra fede e vita, tra predicazione e azione concreta. Ha scardinato l’idea di una religione accomodante, aprendo la strada a una Chiesa che scende in strada, che vive tra gli ultimi, che assume posizioni scomode e rivoluzionarie. D’altronde, come don Ciotti, anche Papa Francesco ha sempre abbracciato l’esperienza della condivisione, quella che si consuma per strada, tra la gente comune e i problemi reali. Infatti, da Pontefice, Bergoglio non ha mai rinunciato al contatto diretto con la realtà e la sofferenza, come quella che emerge dalle storie dei familiari delle vittime di mafia. Uno degli episodi più emblematici risale al marzo 2014, “nella chiesa di San Gregorio VII a Roma”. E più di recente - ha ricordato don Ciotti - con un gruppo di donne e bambini in fuga da contesti mafiosi. Da non dimenticare il grande impulso dato al convegno sull’uso sociale dei beni confiscati, tenutosi in Vaticano, o il suo coinvolgimento - già da cardinale - nel contrasto alla corruzione. Anche se l’impegno più rivoluzionario è stato la scomunica ai mafiosi. Dopo una visita in Calabria, Papa Francesco ha precisato che chi vive di malaffare e violenza è fuori dalla comunione con Dio. “Qualche mese dopo l’incontro coi familiari delle vittime, in visita pastorale in Calabria, il Papa definì i mafiosi ‘adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza’”. Quella di Bergoglio, naturalmente, non è stata una semplice dichiarazione morale. Dietro vi era una vera e propria strategia, culminata nella creazione in Vaticano di una commissione di esperti - a cui ha partecipato anche don Ciotti - per approfondire i temi legati alla criminalità e alla corruzione. Un progetto che, a un certo punto, si è interrotto. “Non l’attenzione di Papa Francesco, che è rimasta viva - ha ribadito il sacerdote e attivista -, ma internamente al Vaticano c’è stato un freno”.


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© Imagoeconomica


Papa Francesco è stato, ed è ancora, una vera fonte di ispirazione. “Non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani - ha ricordato don Ciotti attraverso le pagine de La Stampa -. È sempre stato accanto ai poveri e ai detenuti. Ai carnefici, invece, ha rivolto parole durissime, come quando si rivolse direttamente ai mafiosi, pregandoli di cambiare vita: ‘Lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Ancora c’è tempo, per non finire all’inferno’”. Anche sul fronte del mondo carcerario, Bergoglio ha voluto un coinvolgimento pieno nel cammino della Chiesa. Ha aperto una Porta Santa a Rebibbia, celebrato la Pasqua a Regina Coeli e ricordato che “la reclusione non è lo stesso di un’esclusione”. Peccato che, anche in questo caso, alle sue parole non siano seguiti gesti concreti da parte delle istituzioni. Anche i poveri, che il Papa ha sempre posto al centro, continuano a essere ignorati dal sistema. Le guerre, che ha condannato con forza disumana, continuano a dilaniare popoli e a generare nuove sofferenze. Ora che non c’è più, resta la speranza – quella vera – che ci lega alla sua eredità spirituale. Sta a noi continuare a custodirne la memoria e l’impegno con le azioni e con il coraggio, non solo con le commemorazioni.


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