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A un anno dalla scomparsa di un monumento vivente dell’antimafia, la battaglia continua

È ancora vivo il ricordo dell’ultimo saluto a Vincenzo Agostino. Palermo in lacrime, una città intera raccolta attorno a un uomo che per 35 anni è stato il simbolo vivente della lotta alla mafia. Centinaia di persone hanno affollato la Cattedrale per piangere un padre, un marito, un combattente che non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia per il figlio e la nuora: Nino Agostino e Ida Castelluccio (incinta), uccisi dalla mafia – e non solo - in un giorno che doveva essere di festa.
Era il 5 agosto 1989. Vincenzo, insieme alla moglie Augusta Schiera e alla famiglia, si trovava nella casa al mare di Villagrazia di Carini per festeggiare il compleanno della figlia Flora.
Nino Agostino, agente del Commissariato San Lorenzo, non era solo un poliziotto. Dava anche la caccia ai latitanti, ed è proprio questa attività a metterlo nel mirino di Cosa Nostra e di quegli “ibridi connubi” — come li definì Giovanni Falcone — che all’epoca governavano Palermo.





Fu allora che nacque la promessa di Nonno Vincenzo, pronunciata sulle due bare: “Giuro che non mi taglierò mai più barba e capelli finché non avrò verità e giustizia”. Al suo fianco, in questa battaglia che sembrava impossibile, c’era Augusta. “Quando morirò, voglio che sulla mia lapide ci sia scritto: ‘Qui giace Schiera Augusta, madre dell’agente Nino Agostino. Una madre in attesa di verità e giustizia, anche oltre la morte’”. E così fu, per entrambi.
Ci vollero trent’anni per arrivare a un processo. Troppi. Per Augusta fu troppo tardi: la vita la richiamò a sé nel 2019.
Ma Vincenzo non si fermò. Continuò la sua battaglia come un moderno Jean Valjean, portando sulle spalle il peso della verità negata, con la determinazione di chi non si rassegna all’oblio.
Indimenticabile il momento in cui, nel febbraio 2016, puntò il dito contro Giovanni Aiello — il famigerato “Faccia da mostro” — riconoscendolo come l’uomo che aveva cercato suo figlio poche settimane prima dell’omicidio.


ciotti agostino libera


Indimenticabili i suoi occhi lucidi e quelle due dita alzate a formare una “V”, simbolo di vittoria, nel giorno della prima condanna all’ergastolo per il boss Nino Madonia. Una condanna confermata in appello. Poi, il colpo di scena in Cassazione: “Appello bis per il boss”, sentenziarono i supremi giudici. Per l’omicidio della giovane Ida, invece, nessuna giustizia: reato prescritto.
Dopo la morte di Vincenzo, la famiglia — in particolare il nipote Nino Morana Agostino — ha promesso: “Si riparte da qui. Raccogliamo il testimone e andiamo avanti in questo viaggio verso la verità che i miei nonni hanno sempre portato avanti”.
Certe persone non muoiono mai davvero. Vincenzo Agostino è una di queste. Vive nei volti, nelle parole, nelle idee delle nuove generazioni sulle quali riponeva le speranze. Vive nella memoria collettiva come una sentinella di giustizia, come una fiamma che nessuna mano mafiosa potrà mai spegnere. Nessun depistaggio, nessun colpo di spugna.


agostino vincenzo amduemila pb


La sua barba lunga, divenuta simbolo di resistenza, è oggi un’eredità per chi si rifiuta di dimenticare, per chi ancora vuole dare un volto ai “pupari”, come Vincenzo era solito chiamare i mandanti esterni a Cosa nostra. La sua voce, rotta dal dolore ma mai piegata, continua a risuonare nelle piazze, nelle aule di tribunale, nei cuori di chi ancora crede che la verità sia un diritto e non un privilegio. Perché la giustizia, anche se lenta, sa arrivare.
E finché ci sarà anche solo un nipote, un amico, un cittadino disposto a dire “Io ricordo”, allora nulla sarà perduto.
Allora, la battaglia di Vincenzo sarà ancora la nostra.

Foto © Davide de Bari

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