Il controesame della super-testimone al processo sulla strage di Brescia
Interrogatori da Gestapo, diari rubati e la figura di Mario Mori che continua a comparire, ma in quale veste? Una cosa è certa, le foto che ritraevano il generale Delfino assieme ad estremisti di destra mentre parlavano dell’attentato al locale Blue Note non dovevano uscire; men che meno doveva essere rivelato il contenuto di queste riunioni che si svolgevano alla caserma dei Carabinieri di Parona.
È questo il nocciolo principale del controesame della super-teste Ombretta Giacomazzi, nell’ambito dell’udienza presieduta da Roberto Spanò che si è tenuta il 15 aprile a Brescia per la Strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974. La testimonianza è durata più di cinque ore, e ne saranno necessarie altre per dare il tempo agli avvocati di concludere. Al processo è imputato Roberto Zorzi, considerato dai magistrati uno degli esecutori materiali della strage.
Rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile Giovanni Picchieri, la teste ha ripercorso ciò che ha subito durante la sua reclusione a Venezia, con particolare attenzione alla presenza di due carabinieri, Mario Mori e Angelo Pignatelli, insieme al generale Delfino.
Giacomazzi ha confermato che Delfino si era presentato in carcere accompagnato, in occasioni separate dai due ufficiali: Pignatelli lo aveva già visto a Parona, mentre Mori lo aveva notato solo al momento del suo arresto in Tebaldo Brusato. “Angelo Pignatelli l’ho già visto a Parona. Mori sinceramente no perché io l’ho sempre visto un po’... cioè l’ho visto quando sono stata arrestata in Tebaldo Brusato. Poi l’ho rivisto lì, ma lui è sempre stato zitto. Io non l’ho mai visto in certe riunioni, per cui non posso sapere che ruolo avesse”, ma “sicuramente Delfino” aveva voluto "rassicurare sia Angelo Pignatelli, sia Mori che io non avrei mai parlato dei fatti suoi”, cioè delle attività dell’Arma e delle riunioni di Parona in cui si discuteva dell’attentato al locale Blue Note.
Infatti, ha raccontato il teste, durante l’incontro con Mori, Delfino le aveva fatto esplicitamente promettere silenzio, davanti a lui, riguardo a tali eventi. Lo stesso è avvenuto con Pignatelli, in un incontro separato in una stanzetta riservata.
L’avvocato Picchieri durante l’udienza ha citato le SIT del 2015 e 2016 per precisare che Giacomazzi aveva già descritto il motivo delle visite (rassicurare Mori e Pignatelli sul suo silenzio):
“Allora, a sommare informazioni il 23 settembre 2015 lei ha affermato: ‘La persona di nome Angelo è venuta anche a trovarmi a Venezia col Capitano Delfino. Non ricordo ora se l’Angelo fosse in uniforme o meno, come lei mi chiede. Io sapevo che l’Angelo era un importante dell’Arma. L’incontro ha avuto luogo in una stanzetta riservata che mi sembra utilizzassero per rappresentanza. È possibile che quello stesso giorno io abbia visto anche Vino e Trovato, ma in un’altra sala, e mi sia incontrata con l’avvocato. Comunque, l’incontro con Delfino e l’Angelo ha avuto luogo separatamente. Io ho garantito che mai avrei parlato e ho spiegato che non disponevo più delle fotografie del Ferrari”, che ritraevano il Delfino assieme ai soggetti legati all’estrema destra, tra cui Marco Toffaloni.
Sempre sul filone della reclusione a Venezia l’avvocato di parte civile Piergiorgio Vittorini si è concentrato sul comportamento intimidatorio del generale Delfino e sulla sparizione di un diario cruciale.
Giacomazzi ha descritto un episodio in cui Delfino, durante un interrogatorio in carcere, l’aveva afferrata per i capelli in modo aggressivo, rigirandole la testa, perché tentava di parlare con i magistrati (Vino e Trovato) senza seguire le sue istruzioni. Mori, presente, lo aveva invitato a calmarsi – “Mori gli fa questo segno di dire stai calmo. Tutti lo hanno tenuto calmo Delfino” –; era visibilmente arrabbiato, trattenendo a stento la rabbia, e questo è stato l’unico episodio in cui ha perso il controllo, spaventandosi persino della propria reazione. Giacomazzi ha confermato che Delfino la minacciava regolarmente, dicendole che l’avrebbe tenuta d’occhio per tutta la vita e che la sua influenza poteva raggiungerla ovunque.
Durante gli interrogatori, ha raccontato la super-testimone - i magistrati Vino e Trovato sono stati presenti ma sono sembrati acquiescenti a Delfino, che aveva interrotto gli esami, isolato Giacomazzi in un’altra stanza e poi l’avrebbe ammonita di non dire “cavolate”. Giacomazzi, al tempo, non aveva capito se i magistrati fossero complici o semplicemente passivi, ma aveva percepito che Delfino dominava la situazione.
“Quando loro sono venuti, i magistrati, insieme a Delfino, insieme ai carabinieri, tutti in una stanza per interrogarmi. Alcune volte ho cercato di anticipare Delfino e parlare con i magistrati, ma non ce l’ho mai fatta, per cui ho sentito la sua tensione addosso e tutte le volte che io tentavo di dire qualcosa lui ha bloccato tutti, lui, Delfino, mi ha messo nell’altra stanza e mi ha avvertita di non dire cavolate.”
“Fino a quando si è visto che Delfino si è stufato e mi ha detto esattamente che cosa dovevo dire se volevo finire i miei sei mesi, oppure se tradurre i sei mesi della reticenza e falsa testimonianza in concorso in strage”.
Ho avuto “paura di Delfino per quello che mi ha fatto e soprattutto perché lui sapeva che io avevo le fotografie e quindi ero una testimone scomoda”, ha detto.
Giacomazzi ha espresso una paura persistente nei confronti di Delfino, anche nel 2014 durante le SIT con Giraudo, temendo la sua rete di fedelissimi nonostante il suo declino dopo il caso Soffiantini (1998). La sua paura è derivata dal fatto che Delfino sapeva delle fotografie in suo possesso e la considerava una testimone scomoda. Nelle SIT del 2014, aveva dichiarato di essere ancora viva “per miracolo” e di non sentirsi rassicurata dalle autorità.
Il diario scomparso
La teste è tornata sul diario scomparso, non elencato nel verbale di perquisizione del 28 maggio 1974. Conteneva annotazioni delle ultime settimane, inclusi dettagli sui movimenti con Silvio Ferrari, le visite a via Leardi e nomi come Delfino e Sandrini (“il biondo”).
Giacomazzi ha poi sottolineato che i carabinieri hanno perquisito casa sua più volte senza lasciare verbali, portando via oggetti personali senza restituirli. Il diario, fondamentale per documentare l’attività di Delfino, non è mai stato mostrato da Giraudo, che ha presentato solo fotocopie incomplete di altri diari. Giacomazzi è certa della sua esistenza e della sua sparizione, che lei e sua madre hanno notato già all’epoca.
“Mia madre ha chiesto al tribunale di restituirci la nostra roba, che insieme ai diari c’erano anche cose nostre personali. Adesso non sto dicendo che mi hanno portato via il mobile da casa, però c’era qualcosa che mia madre ha voluto a tutti i costi. Non ci hanno mai restituito niente. Io questa cosa me la sono ricordata così, ma in quel diario che mi è sparito c’erano le cose degli ultimi tempi" ha detto; “erano tutte le note che io ho fatto quando mi sono spostata con Silvio, perché loro mi hanno anche portato via delle cose, i diari, anche quando io ho frequentato Gussago, per dire, per cui tanto tempo prima. Ma in quel diario che mi è sparito, che nessuno mi ha più restituito, non mi hanno restituito niente, io sono certa di aver scritto le cose delle ultime settimane”. “Certo, però io a un certo punto, quando loro non mi hanno detto niente, io sono stata zitta”. Il Presidente ha verificato che il diario non compare nell’elenco dei sequestri (che ha incluso altri quaderni e agende, come il diario “Personalità” o quello con scritte di destra, ma non quello descritto). “Quindi abbiamo chiarito che il diario famoso è sparito sin dall’inizio, che la teste ha mostrato queste fotocopie che sono incomplete già nel momento in cui sono state mostrate”, ha detto il presidente della corte.
L’attentato al Blue Note e il ruolo di Silvio Ferrari
Durante l’udienza, Ombretta Giacomazzi ha risposto anche alle domande dell’avvocato Michele Montempi, relative all’attentato al Blue Note e al ruolo di Silvio Ferrari, con particolare attenzione alle sue perplessità e ai coinvolgimenti di altre figure, come il generale Delfino.
Giacomazzi ha riferito che Ferrari, inizialmente coinvolto nel trasporto dell’ordigno esploso, aveva sviluppato diffidenze e ripensamenti. Poco prima dell’attentato, aveva litigato con Marco Toffaloni (recentemente condannato a trent’anni in primo grado dal tribunale dei minori per essere uno degli esecutori della strage) probabilmente perché non voleva più partecipare all’azione, sentendosi costretto o pentito.
“Silvio non ha voluto più fare probabilmente questa cosa che stavano obbligandolo a fare. O forse si è ravveduto”, “ha avuto diffidenza in queste persone che invece lo hanno continuato a istigare, in pratica, che doveva fare certe cose per cui era deciso, e lui ha avuto dei ripensamenti in quel periodo” ha detto Giacomazzi confermando che Delfino è stato a conoscenza dell’attentato al Blue Note, poiché se ne è parlato durante riunioni a Parona, da lui organizzate. Tuttavia, non ha specificato se Delfino fosse il diretto organizzatore, ma ha sottolineato che è stato una figura centrale nelle discussioni.
“Allora si è parlato di tante cose, si è parlato dell'attentato, chiamiamolo attentato, che allora non lo chiamavano attentato”, ha detto, “hanno parlato anche del fatto che Silvio avrebbe dovuto trasferirsi a Milano e che avrebbe dovuto lavorare per loro, i presenti di questa riunione”, ha aggiunto.
“No, allora i Carabinieri, in questo caso Delfino e questo famoso Angelo Pignatelli, hanno trovato un appartamento, mi ricordo questo benissimo, che sarebbe stato dalle parti del Tribunale, non perché dovesse fare qualcosa al Tribunale, però in quelle vicinanze, e avrebbe dovuto svolgere un ruolo. Quale non lo so”.
L’attentato era stato pianificato per un sabato sera, quando il locale era frequentato, probabilmente per colpire una persona legata alla questura (un questore o vicequestore), che lo frequentava in quel giorno, ha riferito il teste: “Quel sabato hanno dovuto farlo di sabato perché al sabato andava probabilmente a ballare, non lo so, questo personaggio che faceva parte della questura. Adesso non so se era questore o un vicequestore, oppure non lo so. Comunque, hanno parlato di una persona che frequentava questo locale solo di sabato”.
Non è stato chiaro perché Ferrari sia stato scelto per l’attentato. Giacomazzi ha ipotizzato che conoscesse i responsabili (inclusi i veronesi e i carabinieri di Parona) da tempo, ma non ha avuto dettagli precisi.
Rizziero Ziliano e le foto al generale Delfino
L’avvocato Fausto Cadeo (per la parte civile Zambarda) si è concentrato su Rizziero Ziliano e sul contesto delle riunioni a Parona.
Giacomazzi ha descritto Ziliano come un “picchiatore”: “Si sapeva che lui andava fuori dalle scuole e picchiava”. Era amico del gruppo, ma non un partecipante regolare alle riunioni di Parona, dove si è recato occasionalmente, principalmente per fotografare di nascosto i partecipanti:
“Ma il Rizziero è venuto a Parona in un paio di occasioni, non è che sia venuto regolarmente, ma è venuto esclusivamente per fotografare, quindi è stato in macchina con me, Silvio, Sandrini che guidava la macchina. Probabilmente lo ha incaricato Silvio, io credo, ed è stato tenuto a fotografare i nostri spostamenti, quando entravamo, quando uscivamo. Io credo che sia stato lui a scattare queste famose fotografie che poi io ho visto, perché Rizziero gli riportava i negativi, lui le stampava, eccetera”.
Ziliano ha scattato foto segrete durante le riunioni nella caserma di Parona, probabilmente su incarico di Silvio Ferrari “perché a Parona, in questa caserma, c'era un... è come se... cioè, nel retro, nel retro c'era una finestra e le riunioni si tenevano nell'interrato”. Le foto hanno ritratto ingressi e uscite dei partecipanti (tra cui Delfino, Sandrini, Toffaloni, Pignatelli e altri).
Giacomazzi ha riferito che Ferrari ha stampato queste foto (in via Leardi) e gliele ha affidate come “cassaforte” prima di partire per Milano, definendole materiale da custodire.
Le riunioni a Parona sono state considerate clandestine ma Giacomazzi è stata presente e ha ascoltato discorsi compromettenti, come quelli sull’attentato al Blue Note: “Sono i discorsi che le stavo dicendo appunto stamattina, quelli di colpire il Blue Note”.
“Nessuno ha fatto obiezioni sul fatto che una ragazzina ascoltasse dei colloqui così compromettenti?”, ha chiesto il Presidente.
“Probabilmente Silvio me lo aveva imposto. Ma poi io credo, questo l’ho capito più avanti, quando tu sei così arrogante e pensi che puoi fare tutto, queste cose non ti preoccupano. Non sto parlando dell’arroganza mia, sto parlando dell’arroganza di Delfino”, ha risposto la teste.
La prossima udienza è stata fissata per 12 maggio alle ore 9.30.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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