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Due anni sono passati dall'arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto il 16 gennaio 2023. La Procura di Palermo continua ad indagare sulla fitta rete di protezioni che hanno permesso al boss di Castelvetrano di nascondersi per trent'anni (su cui si sa ancora ben poco) e mantenere il proprio ruolo direttivo all'interno dell'associazione mafiosa.
Di fatto un filone investigativo riguarda le “amanti” del boss. Lo scorso 14 aprile a finire in manette è stata Floriana Calcagno, il cui coinvolgimento nella latitanza del boss sarebbero stati gli scritti che Messina Denaro si scambiava con la sua "compagna", ovvero Laura Bonafede (già condannata a 11 anni e 4 mesi di carcere).
Quest'ultima, che aveva scoperto la relazione, nei pizzini che si scambiava con l'allora latitante usava pseudonomi specifici per riferirsi alla Calcagno ("Sbrighisi"; "Acchina"; "Handicap" e "Handicappata") mentre il boss ne usava anche altri (come "Fly" e "Luce").
Nei giorni scorsi, davanti al giudice, la Calcagno si sarebbe difesa ammettendo "una brevissima storia sentimentale, nella quale mai è stata rivelata la vera identità dell'uomo, conosciuto come il dottor Salsi, di cui non si è mai potuto dubitare per l'episodicità degli incontri".
In questi giorni in molti si sono concentrati su questa storia, mettendo in evidenza da una parte la vanità del padrino, presuntuoso ed arrogante; dall'altra la gelosia tra le sue donne, ma certamente non sono questi gli aspetti più inquietanti di una latitanza che è resistita nel tempo senza particolari intoppi.
Dalle indagini è emerso che il boss ha condotto per molti anni una latitanza normale nei territori di Castelvetrano, Campobello di Mazara e zone limitrofe, grazie ad una stretta rete di favoreggiatori che gli ha consentito di palesarsi a tutti con il suo viso, senza neppure nascondersi.
Libero di girare, tanto nel trapanese quanto nel palermitano, e ricevere anche cure mediche di primissimo livello.
Il Gip di Palermo, nella motivazione della sentenza con cui ha condannato a 8 anni Cosimo Leone, tecnico radiologo accusato di favoreggiamento scrive: "L'intero percorso sanitario di Messina Denaro presso l'ospedale di Mazara del Vallo è stato connotato da straordinaria rapidità ed efficienza, non soltanto con riguardo alla tempistica del ricovero, ma anche alla effettuazione della tac, originariamente programmata per il 20 novembre, ma poi anticipata dapprima al 17 novembre e poi al giorno 10 novembre". Nello stesso processo fu condannato a 10 anni anche l'architetto Massimo Gentile che avrebbe prestato la sua identità al latitante. L'accusa in aula fu sostenuta dal pm Gianluca De Leo. Tra la diagnosi di tumore al colon, malattia che poi lo ucciderà, fatta il 4 novembre del 2020, e il ricovero, passarono infatti solo 5 giorni. E dal ricovero alla effettuazione della Tac, grazie al cambio di turno chiesto da Leone, solo un giorno. Il 13 novembre infine il boss venne operato all'ospedale di Mazara. Oltre ad aiutarlo nell'accorciare i tempi sanitari, Leone - come risulta dai dati del traffico telefonico - fece avere al capomafia un telefono cellulare e una scheda telefonica 'pulita' per consentirgli di avere un canale di comunicazione verso l'esterno, “in un momento assai delicato, non solo per lo stato di salute del latitante, ma per l'intero assetto e per gli equilibri interni di 'Cosa Nostra”, scrive il gip. 


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Laura Bonafede


E' alla clinica La Maddalena che è stato operato per la seconda volta, il 4 maggio del 2021, è lì che è stato ricoverato più volte ed è sempre lì che è stato arrestato dopo 30 anni di latitanza il 16 gennaio del 2023: Matteo Messina Denaro ha potuto contare su delle complicità anche all'interno della struttura sanitaria di via San Lorenzo? E' uno dei filoni sui quali sta indagando la Procura e, se è esclusa una responsabilità dell'azienda ospedaliera, si stanno invece cercando delle responsabilità individuali.
Dei medici l'ex superlatitante ha avuto bisogno come l'aria in questi ultimi due anni, cioè da quando un medico di Castelvetrano, in seguito ad una colonscopia, gli ha diagnosticato il tumore al colon. A seguirlo - e con la piena consapevolezza che fosse proprio Messina Denaro, l'uomo più ricercato d'Italia - secondo il procuratore Maurizio De Lucia e l'aggiunto Paolo Guido, sarebbe stato il medico di base Alfonso Tumbarello, finito infatti in carcere con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sarebbe stato lui a prescrivergli farmaci e visite, ma anche a formare la cartella a nome di "Andrea Bonafede" (in carcere pure lui per favoreggiamento) per consentire gli interventi. 
Alla sbarra è finito anche il medico Alfonso Tumbarello, finito in carcere con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (la Procura ha chiesto per lui 18 anni, ndr).
L'inchiesta sui medici guarda anche al palermitano ed in particolare alla clinica La Maddalena dove Messina Denaro è stato operato per la seconda volta, il 4 maggio del 2021, e ricoverato più volte, fino al giorno dell'arresto.
Ma l'inchiesta della Dda diretta da Maurizio de Lucia si svolge a 360° proprio per ricosturire tutti i movimenti del capoluogo siciliano. Anche per questo, come scritto da La Repubblica, nei giorni scorsi è stata convocata in Procura, Franca Alagna, la compagna di Matteo Messina Denaro che lo rese padre della figlia, Lorenza. La donna ha riferito di non ricordare dove fosse esattamente l’appartamento in cui si trovava negli anni Novanta.
Certo è che Messina Denaro a Palermo veniva spesso.
Le indagini hanno svelato che nel 2012 il padrino faceva la spesa in una nota gastronomia di via Daita, a due passi dal Teatro Politeama. Nel novembre 2014 acquistò un'auto (una Fiat 500) alla “Nuova Co.ri.” di via Tasca Lanza, con l’identità dell’architetto Massimo Gentile. Nel 2020, il boss andò a Carini per un’altra 500.
E nel 2022, stavolta a nome Bonafede, sempre a Palermo aveva acquistato un'Alfa Romeo Giulietta in una concessionaria di corso Calatafimi. E poi ancora si recava dall'oculista in via Pietro Scaglione, una volta a nome Bonafede ed un'altra, nel 2016, a nome Giuseppe Giglio. Il titolare ha detto di non aver mai saputo la vera identità del paziente. Nel capoluogo si faceva anche tatuare in via Rosolino Pilo, in pieno centro a Palermo. 


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Alfonso Tumbarello © Imagoeconomica


Per ricostruire le protezioni del boss si rileggono anche le vecchie carte. L'asse storico resta quello con Brancaccio anche sei i fratelli Graviano sono in carcere dal 1994. L'asse con Palermo fu mantenuto con i Lo Piccolo i primi del 2000, quando i pizzini viaggiavano tra Francesco Luppino, di Campobello, e Mimmo Serio (uomo dei boss di San Lorenzo), ma anche successivamente.
Tra il 2008 ed il 2009 ci sono alcuni fatti importanti dove “Diabolik” (uno dei soprannomi del capomafia) aveva espressamente dato il proprio parere sul tentativo di ridar vita alla commissione provinciale di Cosa nostra e la gerarchia nel mandamento di San Lorenzo. Leggendo le carte dell'operazione “Perseo” appare evidente come i capimafia di Palermo avessero cercato il boss di Castelvetrano per avere l'appoggio sulla riorganizzazione della commissione provinciale. Il promotore di tale ambizioso progetto era Benedetto Capizzi, esponente del mandamento di Villagrazia-Santa Maria del Gesù, che aspirava a capeggiare. Per raggiungere il suo obbiettivo aveva chiesto aiuto ai boss Giuseppe Scaduto e Benedetto Spera, rispettivamente capo mandamento di Bagheria e Belmonte Mezzagno. In particolare questi due avevano il compito di convincere i dissidenti, rappresentati in particolare da Gaetano Lo Presti (capomandamento di Porta Nuova), assolutamente contrari alla riorganizzazione.


Doppio gioco

In un primo momento sembrava che Matteo Messina Denaro fosse d’accordo con la ricostruzione della commissione provinciale. Era il boss bagherese Scaduto a tenere i contatti. “Dunque per il fatto di Matteo Denaro - si legge nelle intercettazioni - ... io sono in contatto con lui e cose… se avete di bisogno un contatto… un contatto con Matteo”. Salvatore e Giovanni Adelfio, ritenuti vicini a Capizzi, avevano fatto intendere anche che la volontà di riformare la commissione provinciale partiva proprio da là, dal super latitante. Il tramite del boss di Castelvetrano con le cose di Palermo era Franco Luppino il quale avrebbe garantito il massimo appoggio per la riuscita della cosa.


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Ma quando è il momento di dare l'ultima parola ad intervenire è proprio Messina Denaro, con tanto di pizzini. Il protagonista è sempre il boss Scaduto che informa i suoi interlocutori su un incontro avvenuto il giorno prima con il gruppo dei dissidenti (a cui pure aveva partecipato l’allora latitante Giovanni Nicchi). Scaduto di fatto riferiva che la fazione legata a Lo Presti Gaetano aveva tirato fuori un pizzino di Matteo Messina Denaro e lo aveva fatto leggere al bagherese.
“Mentre ero là - diceva Scaduto nell'intercettazione - (…) mi escono pizzini pure, incontri che hanno fatto con Trapani (… ) biglietti che ci sono arrivati da Trapani .. i pizzini li ho visti pure io… li ho letti io … ho riconosciuto la calligrafia dei pizzini che arrivano a me … la stessa calligrafia… che ci dice: “noi non conosciamo a nessuno., noi siamo fermi per come siamo stati” dice “siamo in rapporti con tutti ,… chi ha bisogno siamo a disposizione … per altre cose non riconosciamo a nessuno”…”. Un intervento quest'ultimo che fa capire come il boss di Castelvetrano fosse tutt'altro che d’accordo con la rifondazione della commissione provinciale.


Il legame con i Biondino

Altro punto di contatto è quello con la famiglia Biondino. Un rapporto che era ben saldo ancor prima che Girolamo Biondino (fratello di Salvatore, noto autista di Totò Riina), venisse scarcerato. Sempre tra il 2008 ed il 2009 c'erano i due cugini, con lo stesso nome, Giuseppe Biondino. Forti del loro nome, stavano inserendosi negli affari del mandamento di San Lorenzo, in particolar modo nella riscossione del pizzo, anche in quei locali già messi a posto.
Mariano Troia, all'epoca reggente riconosciuto di San Lorenzo, avvisava: “Che è tutto questo bordello...tutte queste cose...picciotti siete pregati gentilmente di restare dentro”. La situazione era spigolosa. Il figlio di Salvatore addirittura faceva intendere che lo stesso Messina Denaro avesse dato l'ok (“vedi che qua se c´è qualcuno che si deve stare dentro sei tu...lui mi ha detto che qua il territorio è il mio”). Tramite Franco Luppino arrivò una prima risposta da parte dello stesso capomafia trapanese: “Sandro, ma né ora né mai...ti posso già subito dire, fin da adesso vai tranquillo. Primo perché non se n´è parlato mai...però non li toccate perché sono figli di amici, di picciotti che ci tengo”. Nonostante ciò, alla fine, su San Lorenzo si trovò un nuovo equilibrio con tanto di sponsorizzazione ufficiale per uno dei due Biondino, il figlio di Girolamo, con l’altro che nel frattempo era stato arrestato. I fatti li racconta ai magistrati Manuel Pasta, arrestato nel 2009 e poi diventato collaboratore di giustizia. Dopo l’operazione che porta in carcere i Lo Piccolo, racconta Pasta, “Giuseppe Biondino figlio di Girolamo, riesce a essere... a riprendersi in mano San Lorenzo. Inizialmente trova un antagonista nell’architetto Giuseppe Liga, che era il nostro capo mandamento, ma, essendo che il Biondino Giuseppe, figlio di Girolamo, era sponsorizzato dal Messina Denaro e da Gianni Nicchi, riesce a vincere diciamo, tra virgolette, la guerra di successione con Troia Mario e quindi gli viene consentito di prendersi in mano San Lorenzo. Quindi dal gennaio 2008 i Biondino si riappropriano di San Lorenzo”. 


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Tribunale di Palermo © Paolo Bassani


Poi ancora. “Erano arrivati in quel periodo, quindi nel 2008, dei bigliettini del Messina Denaro a Giuseppe Biondino, figlio di Salvatore. E addirittura il Biondino Giuseppe, figlio di Salvatore, si allontanò per tre giorni da Palermo e mi disse - quando tornò chiaramente me lo disse, non prima - che si era proprio visto con Messina Denaro… mi diceva che loro erano nel cuore di Messina Denaro, tant’è vero che in una riunione con altri esponenti di 'Cosa Nostra', il Biondino fece vedere materialmente questi bigliettini…è chiaro che Messina Denaro non può decidere sul Palermo, perché il paese è del paesano, ma è chiaro che è un’influenza, quindi è un... quando esprime un giudizio o una volontà chiaramente influenza l’iter delle cose. Non può decidere, ma quando dice: 'I cugini Biondino sono nel mio cuore e ci tengo', quindi questa frase viene fatta conoscere a tutti a Palermo e uno ne tiene conto. Perché fu detto questo e fu fatto sapere? Perché questi contrasti tra il Troia Mario e i cugini Biondino, potevano portare anche a fatti di sangue, quindi quando il Messina Denaro dice: “Io ci tengo”, fare un’azione sui Biondino sarebbe stato fare comunque uno sgarbo al Messina Denaro. (..)”.
Anche la moglie di Giuseppe Biondino, Giovanna Micol Richichi, agli inquirenti aveva raccontato di aver visto, letto e poi bruciato con le sue mani i pizzini che arrivavano direttamente da Matteo Messina Denaro. La donna, per sei mesi nel 2012, ha parlato dei segreti di Cosa nostra dopo l'arresto del marito. Poi, dopo una serie di strani episodi che vedevano minacciati i suoi familiari, la moglie di Biondino è tornata sui propri passi tornando persino nell'abitazione del boss di San Lorenzo. E' dalle sue dichiarazioni che ha preso spunto l'indagine “Apocalisse”. E sui bigliettini inviati da Messina Denaro la donna raccontò ai pm: “Perché io so bene, li ho visti, li ho letti, li ho toccati dei bigliettini che arrivavano da Trapani. Io personalmente li ho bruciati… c'era scritto che lui appoggiava mio marito nel ruolo che stava e voleva intraprendere”. Cioè “essere lui il capo della famiglia di San Lorenzo. Appoggiava mio marito, lo rincuorava nel senso che comunicava a mio marito, in questo bigliettino, che lui avrebbe dato il suo appoggio sia per lui, cioè per mio marito, sia per il cugino Giuseppe Biondino del '77, in quanto figli di due suoi cari amici, cioè mio suocero Girolamo Biondino e il fratello Salvatore Biondino”. Da questi elementi appare evidente come l'influenza di Messina Denaro su Palermo sia stata continua nel corso degli anni, in particolare dopo l'arresto dei Lo Piccolo, ultimi grandi “padrini” del capoluogo. Una voce, la sua, che è sempre stata tenuta in considerazione.
Così come ha dichiarato il collaboratore di giustizia Vito Galatolo. L’ex boss dell’Acquasanta, pentitosi nel novembre 2014, aveva parlato di un progetto di attentato, mai revocato, deliberato sin dalla fine del 2012, nei confronti del Pm Nino Di Matteo. Una richiesta inviata con una lettera da Matteo Messina Denaro per conto di altri, letta in un summit ristretto a cui partecipò assieme al suo vice, Vincenzo Graziano, ed i capi mandamento di San Lorenzo e Porta Nuova, Girolamo Biondino e Alessandro D’Ambrogio. Inoltre aveva spiegato anche il motivo per cui il pm doveva essere ucciso: “si era spinto troppo oltre”. Uno progetto di attentato, come scritto dai magistrati nisseni nella richiesta di archiviazione che “resta operativo". 
Una vicenda che rientra nell'elenco dei segreti che Messina Denaro si è portato con sé nella tomba. Ed anche su questo si dovrebbe avere il coraggio di far luce.

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