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“Il libro di un sociologo in difesa di una società libera”. Con questo incipit, il professore associato nel dipartimento di Scienze politiche della Luiss, Alessandro Orsini affronta la sua analisi che, a partire dalla constatazione del livello di corruzione del sistema politico e mediatico del nostro Paese, disseziona col rigore scientifico delle scienze sociologiche, l’onnipervasivo apparato di menzogne che hanno condotto l’Europa sulla strada della guerra totale. 
Nella prima parte del libro viene, appunto, analizzata la corruzione dell’informazione in Italia sulla politica internazionale. Nella seconda viene chiarito cosa sia il metodo del sospetto. Nella terza parte viene rivelato il contributo del suo pensiero dato dal realismo politico. Infine nella quarta parte si occupa della promessa a Gorbacev sulla non espansione della NATO.
L’analisi inizia da un presupposto geopolitico: con il crollo dell’URSS, il potere americano in Europa si è espanso in modo incontrollato, trascinando nella NATO numerosi Paesi dell’Est (Polonia, Ungheria, Paesi Baltici, Balcani, fino a Svezia e Finlandia). In questo contesto, l’Italia ha assunto un ruolo subalterno, dove l’allineamento agli USA diventa un requisito fondamentale per accedere alle sedi del potere.
Orsini menziona, a questo proposito, il caso emblematico di Franco Frattini, la cui candidatura al Quirinale nel 2022 è stata bloccata perché considerato "troppo vicino alla Russia". Una circostanza rivelata da Matteo Renzi, che in un’intervista a Massimo Giletti ha confermato le pressioni americane sui partiti italiani.
Un altro caso storico di sudditanza agli USA che ha dimostrato come le leggi italiane possano essere violate se Washington lo richiede, è il rapimento dell’imam Abu Omar, avvenuto il 17 febbraio 2003. Una delle vicende più documentate di azione illegale condotta dai servizi segreti americani in un Paese straniero. Omar venne rapito a Milano da 10 agenti dalla CIA con la complicità dei servizi segreti italiani e venne portato in Egitto dove fu torturato con l’accusa di essere legato al fondamentalismo islamico. Nonostante, nel dicembre 2010, la Corte d’appello di Milano condannò numerosi agenti CIA e alcuni collaboratori italiani del Sismi, il governo italiano si avvalse del segreto di Stato, sancito dall’intervento della Corte Costituzionale che annullò le sentenze.

L’informazione di uno Stato satellite

Nel volume, Orsini evidenzia come il conflitto russo-ucraino sia stato il banco di prova più evidente del controllo americano sull’informazione italiana. Ogni posizione dissonante con il filo americanismo è stata puntualmente sottoposta ad interventi censori e coercitivi. Persino le posizioni più menzognere, ma fedeli a Washington, sono state ripagate con alte onorificenze all’interno dell’apparato militare dell’Alleanza.
Viene evocato il caso di Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa, quando in un’intervista a La Stampa del 24 febbraio 2023, sostenne che l’Ucraina e la Russia erano giunte a una situazione di stallo. A suo dire, nessuno dei due eserciti sarebbe potuto avanzare.


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Alessandro Orsini © Imagoeconomica


Una posizione che contraddiceva la posizione di Biden, favorevole ad una prosecuzione del conflitto fino ad un’ipotetica sconfitta di Mosca.
Subito dopo smentì totalmente le sue precedenti affermazioni, esibendo la sua fedeltà incondizionata alla politica estera americana.
“Sono fermamente convinto che sia un dovere per un ogni Paese democratico sostenere la resistenza delle Forze Armate Ucraine contro la vile aggressione russa”, scrisse in un successivo comunicato stampa.
Quando Cavo Dragone ha terminato il suo incarico di capo di Stato maggiore della Difesa, è diventato l’italiano più alto in grado alla NATO, dove si è insediato come presidente del Comitato militare, il 17 gennaio 2025.
Non mancano esempi nel mondo del giornalismo. “Giancarlo Loquenzi, conduttore del programma Zapping, si è distinto per la diffusione delle posizioni filo-statunitensi durante la guerra in Ucraina, allineandosi apertamente alla narrazione promossa dalla Casa Bianca. Nel dicembre 2022 ha ricevuto il Premio Amerigo per la radio, consegnato direttamente dal console americano. Nello stesso anno, Claudio Pagliara, corrispondente e responsabile dell’ufficio Rai di New York, è stato premiato nella categoria televisione, a conferma del riconoscimento istituzionale riservato a chi ha raccontato gli Stati Uniti secondo una prospettiva favorevole”, riporta in aggiunta Orsini.
L’informazione, vincolata dalla politica estera statunitense non poteva ammettere voci dissonanti alla pace attraverso la pressione militare su Mosca.

La propaganda sulla Russia contraria alle trattative

Nel racconto dei media occidentali, è sempre stato Putin a rifiutare un cessate il fuoco, mentre in realtà la Casa Bianca si è opposta fin dall'inizio a qualsiasi sospensione dei combattimenti, respingendo anche ogni tentativo di mediazione, come quello cinese del marzo 2023. Quando Xi Jinping si recò a Mosca per promuovere la pace durante la battaglia di Bakhmut, gli Stati Uniti, tramite il portavoce John Kirby, dichiararono che un cessate il fuoco avrebbe favorito la Russia e danneggiato l’Ucraina, spingendo quindi Kiev a respingere ogni proposta in tal senso. Il resto è storia: Il 20 maggio 2023, a mezzogiorno, Bakhmut è stata completamente conquistata dai russi dopo un’operazione durata 224 giorni, iniziata l’8 ottobre 2022.
Putin, inizialmente – riporta il docente della Luiss – cercava una soluzione diplomatica per evitare una guerra prolungata e costosa, ma cambiò strategia dopo la battaglia di Kherson nel 2022, quando l’intervento occidentale – come il supporto militare degli Stati Uniti con i missili Himars – impedì alla Russia di mantenere il controllo della città. La perdita di Kherson, avvenuta l’11 novembre 2022, segnò la fine delle speranze di dialogo con la NATO e l’inizio di un massiccio investimento bellico da parte di Mosca.


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Possibilità, quella di una trattativa, che era a portata di mano nell’aprile 2022. In quel momento, Kiev e Mosca avevano raggiunto un’intesa preliminare: l’Ucraina si sarebbe dichiarata neutrale, rinunciando alla NATO e ad accogliere forze straniere, in cambio di garanzie di sicurezza da parte di vari Stati, inclusa la Russia. Zelensky si era mostrato aperto all’idea, riconoscendo che la neutralità era la richiesta centrale dei russi. Tuttavia, il processo si interruppe bruscamente dopo la visita a Kiev del premier britannico Boris Johnson, che – secondo quanto raccontato dal negoziatore ucraino Dadid Arakhamia – ha dissuaso Kiev dal firmare qualunque accordo, spingendola a continuare la guerra.
Secondo le dichiarazioni dello stesso Putin, nel dicembre 2023 le forze russe erano passate da 180.000 a 617.000 soldati. Un incremento che dimostra come l’iniziale impiego ridotto di truppe fosse dovuto alla convinzione, poi rivelatasi illusoria, di poter risolvere il conflitto con una trattativa.

La propaganda sulla debolezza di Mosca

Nella fase iniziale della guerra, la Casa Bianca assicurava che gli Ucraini avrebbero riportato soltanto vittorie sfolgoranti. C’erano enormi aspettative sulla controffensiva di Kiev che, iniziata il 5 giugno 2023, è terminata con un fallimento di tutti gli obiettivi dichiarati. Al contrario Mosca ha ripreso l’avanzata.
“Nel 2024 l’esercito russo ha conquistato 4168 chilometri quadrati di territorio ucraini, oltre sette volte in più rispetto al 2023. La strategia di Biden di sconfiggere la Russia in campo usando gli ucraini era fallita”.
L’idea diffusa dal Corriere della Sera, secondo cui il leader del Cremlino avrebbe investito poco nella guerra per mancanza di risorse, era una colossale menzogna: più che un limite, era una strategia fondata sull’ottimismo per una soluzione negoziata molto rapida.
I risultati sono poi emersi chiari ed inequivocabili. “Il 18 dicembre 2024 Zelensky, dopo un’ecatombe al fronte, ha dichiarato che l’Ucraina non aveva le forze per riconquistare i territori occupati dai russi. Eppure, la Nato aveva armato l’Ucraina per raggiungere proprio questo fine. In un sistema dell’informazione libero, la dichiarazione di Zelensky avrebbe scatenato le critiche dei grandi media contro le politiche fallimentari della Nato, ma questo non è accaduto”.
Orsini, evidenzia con amarezza, che il 100% dei conduttori radiofonici e televisivi dei grandi media si è schierato con la Casa Bianca di Biden per l’invio delle armi fino alla sconfitta della Russia sul campo, con l’eccezione di Mario Giordano, ma, “oltre a farla franca sempre, il giornalista filo-americano non riconosce mai i propri fallimenti”.
Secondo il professore, quando le democrazie occidentali conducono un’azione di guerra, il giornalismo filo-americano riporta i fatti passando attraverso tre fasi: esaltazione collettiva; distacco dalla realtà; capovolgimento della realtà.
Quando Zelensky riprese una parte del Kherson nel 2022, “i giornalisti filo-americani si abbandonarono a un’euforia irrefrenabile” e anziché concludere che i russi si erano ritirati senza combattere, “conclusero che gli ucraini erano fortissimi”. Francesco Verderami del Corriere della Sera, il 28 maggio 2022 aveva scritto “che la Russia aveva esaurito il 70% delle sue risorse militari in Ucraina. Ma era falso”.
Mentre l’articolo 11 della nostra Costituzione sancisce che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, “i giornalisti filo-americani hanno capovolto la realtà”, sostenendo in maniera criminale che lo scontro all’ultimo sangue per sconfiggere la Russia fosse una “politica di pace”.


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Il caso dello sterminio a Gaza

Il caso di Gaza mostra come, nonostante l’interesse diffuso del pubblico, i media mainstream abbiano progressivamente evitato di trattare il tema quando è diventato evidente che Israele stava colpendo intenzionalmente civili, con l'appoggio della Casa Bianca. In un sistema mediatico fortemente influenzato dal potere politico, le logiche di mercato – secondo cui l’audience determinerebbe i contenuti – smettono di funzionare su questioni internazionali delicate.
“Il pubblico interessato a Gaza è grande; eppure, i conduttori televisivi filo-americani hanno smesso di parlarne quando è parso evidente che Israele stava sparando intenzionalmente sui civili con il sostegno della Casa Bianca”, scrive Orsini, evidenziando come mentre infuriava il conflitto, il governo Meloni ha continuato a fornire armi a Israele, con un volume di esportazioni che, tra dicembre 2023 e gennaio 2024, sono passate da oltre 730.000 euro a oltre 1,3 milioni. Questo avviene in un contesto in cui figure come Antonio Tajani, già nel 2006 membro del direttivo dell’European Friends of Israel e successivamente commissario europeo all’industria, hanno favorito gli interessi economici israeliani in Europa. Durante il suo mandato, infatti, le importazioni europee da Israele sono più che raddoppiate, passando da meno di 8 a oltre 17 miliardi di euro tra il 2000 e il 2011.

Bugie e propaganda sulla NATO

Nel libro si dà anche ampio spazio alle menzogne sui fatti antecedenti al 24 febbraio 2022, che mettono in luce le gravi responsabilità dell’Occidente nella disastrosa ecatombe che ancora oggi continua a dilaniare il Paese. Un’analisi che parte dall’indignazione espressa dal giornalista del Corriere della Sera, Paolo Valentino che in un testo del 26 gennaio 2025 accusa la Russia di aver violato l’accordo del 1997, nel quale Mosca si era impegnata a rispettare la sovranità ucraina in cambio della restituzione delle armi nucleari sovietiche. “Secondo lui, questo rende la Russia un Paese inaffidabile. Tuttavia, l’analisi storica dei fatti mostra una realtà più sfumata”.
Nel 1990, gli Stati Uniti avevano promesso a Gorbacev che la NATO non si sarebbe espansa verso est se il Cremlino avesse accettato la riunificazione tedesca nella NATO.
“L’accordo sul non dispiegamento di truppe straniere sul territorio dell’ex DDR fu incorporato nell’articolo 5 del Trattato sullo stato finale della Germania, firmato il 12 settembre 1990 dai ministri degli Esteri delle due Germanie, Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia”, riporta il professore.
Una promessa che non venne rispettata, e negli anni successivi l’Alleanza si allargò sempre più verso i confini russi. Questo processo di espansione, secondo le dichiarazioni dello stesso segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, è una delle cause principali del conflitto in Ucraina. Stoltenberg ha anche rivelato che Putin avrebbe cercato una soluzione diplomatica prima dell’invasione, ma l’Alleanza preferì non trattare.


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Orsini contesta anche la narrazione occidentale secondo cui l’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO sarebbe stata una diretta conseguenza dell’invasione russa: quei due Paesi, in realtà, erano già coinvolti nella struttura militare dell’organizzazione ben prima del 2022. La prova è Trident Juncture 2018, la più grande esercitazione militare della Nato dopo il 1991, la fine della guerra fredda, che si è svolta tra ottobre e novembre 2018 con la partecipazione della Svezia e della Finlandia.
Allo stesso modo, viene evidenziamo che non è l’Ucraina a voler entrare nella NATO: secondo l’articolo 10 del Trattato istitutivo della Nato, è la NATO stessa a dover invitare i nuovi membri, quindi è stata proprio l’Alleanza Atlantica ad avviare l’ingresso ucraino.
Infine, smentisce la menzogna, ancora largamente propagandata, sul fatto la NATO sia un’alleanza esclusivamente difensiva, ricordando interventi militari come il bombardamento della Serbia nel 1999 e l’intervento in Libia nel 2011, entrambi considerati violazioni del diritto internazionale.
Un quadro che delinea con evidenza che l’Occidente avrebbe potuto porre in essere azioni decisive per fermare un conflitto sanguinoso, costato centinaia di migliaia di vite ma ha preferito, come ricordato dal primo ministro inglese, Boris Johnson, avviare una “guerra per procura”, al fine di determinare una sconfitta strategica per la Russia.
Giornalisti e studiosi, solo per aver proposto fin dall’inizio del conflitto un’analisi fondata che contrastava la politica estera della Casa Bianca e metteva in discussione la dottrina della pace attraverso la forza militare, sono stati tacciati di essere “putiniani”, “pacifinti”, “amici delle dittature” e sono stati allontanati dal sistema mediatico mainstream.
Marc Innaro, dal 2014 al 2022, responsabile della sede di corrispondenza Rai a Mosca, dopo che in un collegamento al Tg2, aveva esposto la versione ufficiale russa, secondo cui la trentennale espansione ad est della NATO era la causa scatenante dell’intervento militare russo, è stato gradualmente demansionato e silenziato dalla Rai che lo ha costretto al trasferimento in Egitto.
Anche Orsini si è visto stracciare il contratto dalla Rai, mentre Bianca Berlinguer ha testimoniato che l’emittente televisiva aveva minacciato di chiudere la sua trasmissione (Cartabianca) se avesse continuato a ospitare le critiche del professore verso le politiche della Casa Bianca.
L’invito finale del professore associato alla Luiss è volto alla resistenza, ancora persistente in quelle penisole di informazione libera, rappresentate da quotidiani, ad esempio, che rifiutano i finanziamenti dello Stato.
Un’ attività di ricerca e di informazione che va accompagnata oggi dalla forza interiore necessaria per vincere la paura data delle coercizioni del sistema:
“La possibilità di parlare liberamente ha bisogno di essere accompagnata da un progetto pedagogico basato sull’educazione al coraggio. La prima qualità di uno studio è una qualità extrascientifica: il coraggio. Una giornalista o uno studioso della società libera non dirà mai una verità scomoda in televisione sulle guerre o sul terrorismo se è privo di coraggio, giacché dire una verità scomoda su questi temi mortiferi significa toccare interessi molto grandi che i governi difendono con la mano pesante”. 

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