di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
“Caselli invece di rispondere con precisione alla mia pubblica domanda su che cosa avesse trovato alla Procura di Palermo quando arrivò nella città siciliana dopo le orrende stragi del ’92 mi rigira la questione dicendo cosa ha fatto la politica. Potrei fare un lungo elenco. I governi guidati da Berlusconi hanno inasprito tutta la legislazione antimafia e hanno favorito l’arresto di centinaia di latitanti mafiosi. Ad esempio, già dal 2002 con il governo Berlusconi del tempo rendemmo permanente il 41-bis, il carcere duro dei mafiosi. Abbiamo poi inasprito lo stesso 41-bis. Abbiamo tolto il gratuito patrocinio per i mafiosi. Abbiamo aumentato, con i governi di centrodestra, i poteri dei procuratori nazionali antimafia”. E ancora “abbiamo poi reso più incisive le norme sul sequestro dei beni della criminalità organizzata, favorendo l’acquisizione al patrimonio dello Stato di migliaia e migliaia di beni”. Parola di Maurizio Gasparri che, replicando ad un articolo dell'ex magistrato Gian Carlo Caselli, pubblicato da Il Fatto Quotidiano, non ha perso l'occasione per mostrare la sua spocchia ed arroganza. “Questi sono i fatti - ha concluso nel suo sproloquio - Noi abbiamo rafforzato il carcere duro, le confische ai mafiosi. Altri fanno il bla bla negli inutili convegni”.
A chi si riferisce il senatore Gasparri (fascista ex Msi, ed ex An, oggi in Forza Italia) quando parla degli “altri” che fanno “bla bla”? Quando chiede a Caselli cosa trovò quando arrivò a Palermo dovrebbe forse rigirare la domanda al suo “eroe” Mario Mori, che assieme al capitano Ultimo, Sergio De Caprio, convinse il magistrato che non perquisire il covo del capo dei capi Totò Riina dopo l'arresto fosse una buona idea.
Mario Mori
Un operato ritenuto assurdo anche nelle sentenze assolutorie che hanno riguardato il generale dei Carabinieri.
Basta andare a rileggersi le parti di quella sentenza sulla mancata perquisizione del covo del boss corleonese in cui si mettono in evidenza tutte le pecche operative compiute nella scelta di non effettuare immediatamente la perquisizione. Dove si individuano condotte “certamente idonee all'insorgere di una responsabilità disciplinare”.
O ancora quella sul mancato arresto di Provenzano, in cui i giudici d'appello confermano che: “Le scelte tecnico-investigative adottate dagli imputati (soprattutto quelle di non curare adeguatamente gli spunti investigativi emersi dall'incontro di Mezzojuso), a maggior ragione ove si consideri che esse vennero adottate da esperti Ufficiali di Polizia giudiziaria, inducono più di un dubbio sulla correttezza, quantomeno dal punto di vista professionale, dell'operato dei due e lasciano diverse zone d'ombra che il dibattimento, nonostante lo sforzo profuso dalla Pubblica Accusa, non è riuscito a dipanare".
E che dire della sentenza definitiva sulle stragi del 1993 in cui si legge che l'effetto che ebbe sui mafiosi quel dialogo che avviarono nel 1992 con il sindaco Vito Ciancimino “fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. Questa iniziativa al di là delle intenzioni con cui fu avviata (…) ebbe sicuramente un effetto deleterio per le istituzioni confermando il delirio di onnipotenza dei capi mafiosi e mettendo a nudo l’impotenza dello Stato”.
La venerazione di Gasparri per i vari Mori, De Donno non ha limiti, così come senza limiti è la spregiudicatezza quando si parla dell'operato dei governi di centrodestra e la lotta alla mafia.
Gian Carlo Caselli
Quale lotta alla mafia?
Gasparri difende l'operato del centrodestra e dei governi Berlusconi, ovvero di quell'ex Presidente del Consiglio, oggi deceduto, che, come dicono le sentenze, pagava la mafia con "cospicue somme di denaro".
Sul punto al senatore Gasparri consigliamo vivamente di leggere le motivazioni della sentenza di condanna per concorso esterno nei confronti di Marcello Dell'Utri. I giudici certificano che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
La Cassazione aveva poi evidenziato come vi fosse un “patto di protezione andato avanti senza interruzioni” in cui Dell’Utri era il garante per “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.
E tornando alle mirabolanti azioni antimafiose intraprese dai governi “Berlusconi & company” ancora una volta ci ritroviamo noi a dover fare l'elenco degli inganni.
Agli smemorati vogliamo ricordare alcuni fatti.
Nella sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-Mafia viene passata in rassegna un'importante testimonianza come quella dell'ex ministro Roberto Maroni che, in un’intervista al Tg3 del 16 luglio 1994, denunciò l'"imbroglio" con cui il Consiglio dei ministri aveva approvato il "decreto Biondi" (anche conosciuto come "Salvaladri").
Roberto Maroni
Con quella normativa si vietava la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica Amministrazione e quelli finanziari, comprese corruzione e concussione.
Inoltre, sottobanco, sarebbero state inserite disposizioni che favorivano Cosa Nostra.
Un decreto che, hanno evidenziato i giudici della Corte d'Assise di Palermo, interveniva sull'articolo 275 del codice di procedura penale. Se prima di allora si prevedeva che “…quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 416 bis… ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo… è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”. Di fatto, mentre per gli altri reati la custodia cautelare era l’extrema ratio, per i reati di mafia era una scelta obbligata fino a prova contraria. L’articolo 2 del decreto Biondi modificava quella norma: nel senso che anche per i delitti di mafia il giudice, prima di applicare la custodia in carcere, avrebbe dovuto cercare e illustrare le esigenze cautelari, prima date per scontate. Inoltre si restringeva ulteriormente la possibilità di arresto preventivo in caso di pericolo di fuga: non bastava più il “concreto pericolo che l’imputato si dia alla fuga”, ma occorreva provare che l’indagato “stia per darsi alla fuga”. Inoltre vi era anche un altro articolo, l’art. 9, (che portò Maroni a denunciare anche in televisione il fatto) in cui si diceva: 'Nell’art. 335 del C.C.P. il comma 3 è sostituito dal seguente: le iscrizioni previste dai commi 1 e 2 sono comunicati alla persona alla quale il reato è attribuito, al suo difensore e alla persona offesa che ne facciano richiesta. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine il pubblico ministero può disporre con decreto motivato il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore complessivamente a 3 mesi'.
Maroni, sentito nel dicembre 2016 come teste, aveva ribadito di essersi sentito "imbrogliato" perché quella norma era stata inserita nel testo a sua insaputa. Fu una telefonata del Procuratore Caselli ad avvisarlo che con quella norma diventavano difficili, se non impossibili, le indagini sulla mafia. Il 23 luglio 1994 il decreto venne poi ritirato per una questione relativa alla ritenuta mancanza di motivi di urgenza.
Successivamente, caduto il governo dopo appena 7 mesi, vi furono anche altri interventi della politica sul tema antimafia.
Lamberto Dini
Nell’agosto del 1995 è stato il governo tecnico di Lamberto Dini a varare un nuovo ddl, con i voti bipartisan di centrodestra e centrosinistra (contrari solo Verdi e Lega) in cui, tra le altre cose, si rendeva la custodia cautelare più breve e più difficile da applicare. L’arresto per reati di mafia da obbligatorio diventava facoltativo, la norma che prevedeva l’arresto in flagranza per testimoni reticenti veniva abolita.
L'Ulivo, con l’appoggio del centrodestra dal ’96 al 2001, arrivò a decretare la chiusura di Pianosa e Asinara, l'abolizione di fatto dell’ergastolo (per due anni), e la predisposizione di una legge anti-pentiti (la Fassino-Napolitano) che ridusse i benefici e gli sconti di pena per i collaboratori di giustizia, imponendo loro di raccontare tutto quello che sanno entro sei mesi.
Nel mezzo ci fu anche il tentativo di disegno di legge per consentire la dissociazione ai mafiosi.
Tutti elementi che erano contenuti nel papello, ovvero l'elenco di richieste presentato allo Stato per interrompere le stragi.
Tra i punti chiave vi era anche l' annullamento del decreto 41-bis.
Un vero e proprio tarlo per i boss di Cosa nostra, 'Ndrangheta e Camorra.
E' noto che nel 2002 il boss stragista Leoluca Bagarella, intervenendo in teleconferenza a un processo dal carcere de L’Aquila, lesse una dichiarazione a nome dei detenuti in sciopero della fame contro i politici che non avevano mantenuto le promesse sul 41-bis: “Siamo stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche”. E il 22 dicembre, allo stadio di Palermo, comparve uno striscione a caratteri cubitali: “Uniti contro il 41-bis. Berlusconi dimentica la Sicilia”. Il 27 dicembre l'ex premier, intervenendo in conferenza stampa al municipio di Catania, rispose quasi giustificandosi che "il 41-bis contiene una filosofia illiberale, ma siamo stati costretti ad adottarlo affinché permanga per tutta la legislatura, perché la gente ha diritto a non avere paura".
Questione carcere duro
Veniamo dunque al 41-bis, citato da Gasparri come se fosse una pietra miliare del centrodestra.
Sempre nel 2002 con la legge 279 si trasforma il carcere duro per i mafiosi da provvedimento amministrativo straordinario, rinnovato di semestre in semestre dal ministro della Giustizia, in una misura stabile dell’ordinamento penitenziario.
Quello che in apparenza sembrava come un duro attacco alla mafia, però, sortì un effetto opposto.
E così vi furono centinaia di boss che ottennero la revoca del 41-bis dai Tribunali di sorveglianza, per una serie di difficoltà interpretative della nuova legge e perché la riforma agevolava le richieste di annullamento.
Nel 2006, con il governo di centrosinistra in auge, ma anche con l'appoggio del centro destra, vi fu il mega-indulto Mastella di tre anni, che includeva anche i reati collegati a quelli mafiosi e il voto di scambio politico-mafioso. Votarono contro Idv, Pdci e Lega.
Ma tutto questo, ovviamente, denigratori della trattativa Stato-mafia e nuovi “fascisti” al potere (Gasparri è tra loro), volutamente omettono in ogni discorso.
Così come dimenticano l'elenco dei condannati per mafia (vedi i vari Cosentino, Matacena o D'Alì), che per anni hanno sporcato gli scranni delle Istituzioni.
Ma la storia è fatta di fatti che prescindono dal rilievo penale.
Ricordarli non è ostinazione, ma un diritto-dovere sacrosanto per tutti coloro che credono nella democrazia e che pretendono la verità sulle stagioni buie di stragi, delitti e trattative.
Foto © Imagoeconomica
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