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L’articolo del procuratore capo di Prato sulle colonne de Il Fatto Quotidiano

“Sono passati circa 43 anni da quando venne approvata il 13 settembre 1982 la proposta di legge (Rognoni-La Torre), che introdusse, fra l’altro, la confisca di prevenzione (preceduta dal sequestro) per la criminalità organizzata di tipo mafioso. Una confisca che – mirando a rimuovere i beni di origine illecita dalla circolazione economica, con o senza una precedente condanna penale – rappresentò una rivoluzione copernicana”. Eppure, sebbene la confisca ai mafiosi in Europa sia gradita, “in Italia viene osteggiata”. Così il procuratore capo di Prato Luca Tescaroli sulle colonne de Il Fatto Quotidiano.
L’idea di confiscare i beni ai mafiosi nacque da un’idea del Consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici, assassinato con un’autobomba il 29 luglio 1983, “che l’aveva suggerita e condivisa con Pio La Torre, il quale con tenacia l’aveva portata avanti, tant’è che i mafiosi decisero di ucciderlo il 30 aprile 1982 - scrive -. Questa misura ha fattivamente contribuito all’erosione delle enormi ricchezze accumulate dalla criminalità organizzata e ha rappresentato una spina dolorosa nel fianco dei corleonesi, che hanno mirato a farla eliminare con le stragi del biennio 1993-1994, pretendendo, fra l’altro, la sua abolizione in cambio della cessazione dello stragismo”.
Un modello normativo che nel tempo è stato esteso anche a forme diverse di criminalità rispetto a quella mafiosa. “Sebbene l’originaria normativa abbia subito modifiche significative, la misura ha trovato un crescente consenso internazionale - si legge -. Di recente, il sistema italiano della confisca di prevenzione è stato assunto come ‘modello’ dal legislatore europeo nell’ambito dell’Unione e il 13 febbraio 2025 è intervenuta un’importante sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo che ha riconosciuto la piena legittimità della confisca con la normativa europea, rigettando i molteplici ricorsi avanzati, stabilendo che può essere applicata nei confronti di beni di presunta origine illecita con la finalità di impedire l’arricchimento ingiusto. I giudici di Strasburgo hanno sottolineato l’importanza di due requisiti che ne condizionano l’applicabilità elaborati dalla giurisprudenza italiana: uno è quello della c.d. correlazione temporale, secondo cui la misura può essere applicata solo nei confronti di beni acquisiti dall’individuo durante il periodo in cui avrebbe presumibilmente commesso reati comportanti profitti illeciti; l’altro è quello elaborato dalla Corte costituzionale, in forza del quale la misura è giustificata solo nella misura in cui i reati presumibilmente commessi dall’individuo in questione siano fonte di profitti illeciti, per un importo ragionevolmente congruo con il valore dei beni da confiscare. Una decisione che rappresenta dunque un arresto rassicurante circa la conformità di tale modello di non-conviction based confiscation rispetto ai canoni garantistici e che produce un effetto deterrente legato al messaggio che la confisca è in grado di lanciare, e cioè che il crimine non paga”.
E qui il paradosso, sottolinea Tescaroli. “All’estero la confisca di prevenzione viene mutuata, mentre nel nostro Paese si assiste a una continua campagna di demonizzazione dell’istituto, che vede in prima linea media politicamente orientati, l’Unione delle Camere penali ed esponenti delle università, tutti portatori di una diversa sensibilità rispetto alla pericolosità del patrimonio illecitamente accumulato - scrive -. Eppure, la criminalità mafiosa conserva la sua pericolosità, si sono affermati gruppi criminali stranieri di straordinaria pericolosità (cinesi, albanesi e nigeriani), la corruzione e la criminalità economica si diffondono in modo continuo”.
Se, per il momento, l'attacco all'istituto a livello europeo è stato respinto, resta ancora da attendere la decisione su un altro caso delicato sottoposto all'attenzione di Strasburgo, evidenzia Tescaroli: il ricorso “Cavallotti c. Italia”. In questo contesto, conclude Tescaroli, tra le varie questioni da affrontare, vi è quella complessa dell'ammissibilità di esiti divergenti tra il processo penale e quello di prevenzione, dal momento che quest'ultimo potrebbe concludersi con l'applicazione della misura anche in presenza di un'assoluzione nel merito in sede penale.

Foto © Paolo Bassani

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