Un cambio di paradigma che sconvolge l’assetto mondiale. Una scacchiera che dal 1989 vedeva negli Stati Uniti il vertice della piramide, il centro di un impero indissolubile che mai avrebbe potuto essere messo in discussione. Il summit dei Brics a Kazan ha sancito la fine del dominio del G7. Un’occasione che ha visto riunirsi i massimi rappresentanti delle nuove economie emergenti che con i nuovi ingressi (Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto, Arabia Saudita) rappresentano il 42% della popolazione mondiale, il 36,6% del Pil globale e il 60 per cento della produzione di idrocarburi. Ne abbiamo parlato con Margherita Furlan commentando il suo ultimo libro, intitolato appunto “Brics scacco matto: l’ultima scelta vivere o morire”.
Si intitola così perché in questo viaggio che in qualche modo racconto si vede da subito che qualcosa è cambiato nello scenario collettivo, nello scenario globale. Noi siamo in una fase di decadenza, rispetto a qualcosa che si sta muovendo, che sta cercando di unire popoli e Paesi tra di loro molto differenti”, ha detto Margherita, spiegando che si tratta di Paesi uniti da un “forte sentimento di rivalsa”, poiché c’è stato “un forte colonialismo”, soprattutto “nell’ultimo secolo”, non solo nei confronti dei popoli africani, ma anche verso ad esempio il popolo russo.
Le sanzioni economiche che noi abbiamo perpetrato, non solo nei confronti della Federazione russa ma anche dell’Iran, o dei dazi che abbiamo applicato nei confronti della Cina, ha causato un avvicinamento tra alcuni popoli che sono riusciti a creare un sistema politico economico, ma soprattutto commerciale ed energetico, già differente ed autonomo rispetto al nostro modo di vivere la vita”, ha continuato, spiegando come questi nuovi attori mondiali potrebbero essere indipendenti rispetto allo stretto di Hormuz, così come dal Mar Rosso.
Tra questi paesi dei Brics ci sono i maggiori produttori di gas e petrolio del mondo e di conseguenza noi dobbiamo fare i conti con questo tipo di mondo che si è venuto a creare”.
Una costatazione che ci porta alla seconda grande domanda da porsi. L’Occidente accetterà mai un cambio di paradigma dalla sua posizione dominante? Ritorna in mente in questo senso la dottrina Wolfowitz del 92’ che in quel National Security Strategy of the United States si impegnava ad impedire la nascita di una nuova potenza in grado di capovolgere l’ordine politico economico costituito.
Secondo la giornalista il primo grande perdente su cui questa politica strategica ha avuto successo è proprio il vecchio continente. Celebri in questo senso le parole del primo segretario generale della NATO Hastings Lionel Ismay, secondo cui l’Alleanza non nasceva solo per dei motivi militari, ma per “tenere gli Stati Uniti dentro, i sovietici fuori e sotto controllo i tedeschi e l’Europa”. Di fatto, l’Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord mirava a separare definitivamente la Russia dal resto del continente per evitare la costituzione della più grande potenza economica mondiale. Un piano divenuto fattuale con la distruzione dei gasdotti del North Stream.
L’Europa ha perso la guerra in Ucraina, oggi non contiamo più nulla rispetto a prima di questo conflitto…Ci sono degli equilibri da rifare, Yalta non esiste più….in mezzo ad una situazione mediorientale ancora caotica… Si sta creando il grande Israele, all’Iran sicuramente questo non piace, ma è un grande partner della Russia e quindi sicuramente la Russia come la Cina potranno mediare per evitare un conflitto più ampio”, ha concluso poi la giornalista, prendendo atto di un declino inesorabile che potrebbe essere scongiurato solo dall’emergere di una nuova élite intellettuale, in grado di rapportarsi, con una nuova visione del mondo, al resto del pianeta.

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