Giovanni Motisi, soprannominato “’u pacchiuni” è un superlatitante di Cosa nostra, condannato all’ergastolo per omicidi eccellenti, tra cui quello del dirigente della squadra mobile di Palermo Ninni Cassarà, Roberto Antiochia e Giuseppe Montana.
Killer fidato di Totò Riina, fu attivo negli anni '80 e '90, ma dal 1998 nessuno lo ha mai visto.
Alcune notizie ci sono arrivate dalla Colombia: il settimanale Gente, con un articolo a firma di Antonello Zappadu - fotoreporter e pubblicista italiano - ha annunciato nei giorni scorsi la sua morte ma la procura di Palermo, per ora, non ha trovato riscontri.
Secondo alcune fonti del giornalista, lo storico latitante sarebbe morto in una clinica a Cali per un tumore al pancreas.
L’ultima traccia concreta risale al 1999, quando ipoteticamente festeggiò il compleanno della figlia in una villa.
Nel 2002 sarebbe stato costretto a cedere il suo ruolo come capo del mandamento di Pagliarelli da Nino Rotolo. Le motivazioni sono varie: poca presenza sul territorio e gestione opaca delle finanze del clan.
Da allora è scomparso portandosi dietro, presumibilmente, anche dei segreti.
Anzelmo, uno dei sicari di Cassarà che successivamente ha deciso di collaborare con le autorità, ha riferito al sostituto procuratore dell'epoca, Gioacchino Natoli, che Motisi prese parte alle riunioni preliminari in vicolo Pipitone. Si tratta del centro nevralgico della holding del mandamento mafioso dei Galatolo e dei Madonia in cui, secondo il collaboratore di giustizia Vito Galatolo (ex boss dell’Acquasanta) chiamato a testimoniare dinnanzi alla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, nell'ambito del processo sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio, “venivano latitanti, carabinieri, uomini dei servizi segreti come Bruno Contrada e Giovanni Aiello (alias “Faccia da mostro”, ndr) […]. Da Fondo Pipitone partiva tutto e venivano tutti”.
La prima riunione preliminare “si tenne ad inizio luglio - disse Anzelmo a Natoli -. L’ordine della commissione presieduta da Riina era di uccidere Cassarà e Montana”. Una direttiva che venne poi messa in atto.
Motisi era con Salvatore Biondino (autista di Salvatore Riina), e con Salvatore Biondo detto il “corto”, dentro un furgone quel 6 agosto 1985: si erano sistemati davanti al residence di Cassarà, pronti a colpire, quando la sua auto varcò l’ingresso. Presenti anche Calogero Ganci, Nino Madonia e Francesco Paolo Anzelmo che fecero fuoco appostati nelle scale del palazzo di fronte.
Nessuno sapeva che Cassarà sarebbe tornato a casa.
Chi avvisò Cosa nostra? Motisi potrebbe saperlo? Potrebbe sapere anche altri segreti?
Secondo il pentito Calogero Ganci, Motisi faceva parte della “commissione” che ha discusso dell’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, poi ucciso con la moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta.
Motisi potrebbe sapere qualcosa di nuovo in merito a quell’eccidio?
La caccia continua.
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