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Le parole del procuratore capo di Prato ai microfoni del Corriere della Sera

La mafia cinese è un pericolo concreto e non da oggi. D'altronde già nelle carte del maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino entrava la pista del traffico di stupefacenti fra Bangkok-Roma-Palermo”. A parlare è Luca Tescaroli, procuratore capo di Prato, ai microfoni del Corriere della Sera. “Il giro d'affari è stimato fra il 2 e il 7% dell'intero commercio mondiale e, per quanto riguarda il nostro Paese, uno studio del Censis parla di oltre 5 miliardi di euro, pari al 2,5% del totale delle entrate tributarie - risponde alle domande di Ferruccio Pinotti -. La criminalità cinese ha conquistato spazio significativo e ha rapporti con altre realtà criminali: con la 'Ndrangheta, la Camorra, la Sacra Corona Unita. Si relaziona anche con esponenti di gruppi criminali albanesi”. Una mafia galoppante, ben radicata nei territori, con elevate capacità di “stringere rapporti corruttivi”, spiega il magistrato. E una capitale - Prato - in cui è in corso una vera e propria guerra per accaparrarsi la fetta maggiore del mercato. “Griffe importanti e nomi altisonanti non esitano a servirsi di questi ‘terzisti’ - continua Tescaroli -. L'importazione di materia prima proviene dalla Cina attraverso il Pireo, i porti slavi e Gioia Tauro. Nel 2023 e nel primo semestre del 2024 solo a Prato sono giunte merci per un valore dichiarato di 1,3 miliardi, e acquisti intraunionali per 10 miliardi e 678 mila euro. Le merci sono trasferite in un Paese europeo, l'Ungheria, e da lì nel resto dell'Ue grazie a società schermo che non pagano l'iva perché operano in sospensione di imposta. I capitali poi vengono riciclati”. Da qui la necessità di estendere la normativa antimafia sui collaboratori di giustizia anche a soggetti stranieri. Così da poter contrastare anche dall’interno l’organizzazione, come fu per Cosa nostra negli anni ’80 e ’90.

Foto © Piero Di Stefano

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