Una “strategia stragista dell'ala più aggressiva della mafia, si parlava allora in modo particolare dei Corleonesi. E in realtà quegli attentati che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante per mettere i pubblici poteri di fronte a degli out-out. Che questi out-out potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del paese era ed è materia opinabile”.
Le parole dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano lasciano poco spazio a dubbi.
Il 28 ottobre 2014 davanti alla Corte d’Assise di Palermo (presiedete Alfredo Montalto) nell’ambito del processo Trattativa Stato - Mafia aveva, in parte, confermato l’ipotesi dei pubblici ministeri: la mafia aveva, tramite la campagna stragista, messo lo Stato davanti ad un aut - aut, cioè ad obbligarlo a fare qualcosa.
Che cosa in particolare?
L’ipotesi accusatoria era di quella di costringere i pubblici poteri ad apportare delle modifiche di tipo normativo, riassunte poi nel celeberrimo ‘papello’ di Salvatore Riina, in merito alle misure carcerarie.
La storia, si sa, è diversa dalla verità processuale; e la storia racconta che una cosa avvenne: il ministro della giustizia Giovanni Conso fece scadere oltre 300 provvedimenti di 41 - bis per altrettanti detenuti mafiosi, anche dopo la pubblicazione di una relazione della Dia che ipotizzava l’esistenza di una ‘trattativa in corso’.
Prese la decisione “in assoluta solitudine”, disse l’ex guardasigilli davanti ai magistrati.
La deposizione di Napolitano disegna un quadro inequivocabile che però non è piaciuto ai giudici della cassazione.
Nelle motivazioni della sentenza di terzo grado con cui vennero assoluti tutti gli imputati istituzionali e dichiarati prescritti i reati a carico dei mafiosi non si sono prese minimamente in considerazione le parole dell’ex capo dello Stato.
Sono stati infatti chirurgicamente rimosse dalla struttura della sentenza poiché nella sentenza viene argomentato che i mafiosi tentarono di istaurare una trattativa con lo Stato ma quest’ultimo, secondo i supremi giudici, non l’avrebbe recepita.
Una contraddizione in termini in quanto il messaggio intimidatori invece arrivò.
Napolitano - che ai tempi delle stragi era Presidente della Camera - riferì sempre in udienza che quella strategie aveva uno “scopo destabilizzante” e ricattatorio.
“Le coincidenze in realtà non esistono” ha commentato durante il podcast Aaron Pettinari.
E difatti le concomitanze di eventi sono molte, troppe, per essere gettate nell’oblio da una sentenza ’tweet’, come l’aveva definita l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato.
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