Due picciotti si trovarono a Roma, nei pressi dello Stadio Olimpico. Era un giorno particolare: si giocava l’ultima partita, ma non c'entrava la sfida tra Udinese e Roma. Si trattava dell’ultimo ‘colpo’ che l’ala stragista di Cosa nostra intendeva infliggere allo Stato.
Nel podcast di ANTIMAFIADuemila ‘Nero su Bianco’ si torna a parlare di stragi mafiose e del loro legame con la politica di ieri e di oggi.
L’obiettivo, quel giorno, erano i carabinieri: Gaspare Spatuzza e Salvatore Benigno si trovavano su Monte Mario, telecomando alla mano.
Una Lancia Thema carica di esplosivo e tondini era parcheggiata nei pressi dello stadio, in attesa del passaggio delle camionette dei carabinieri.
Quando i due mafiosi ritennero che fosse il momento, premettero il pulsante, ma non accadde nulla. Benigno ci riprovò, ma ancora nulla.
L’attentato, che avrebbe dovuto mettere in ginocchio lo Stato, fallì e non venne mai più riproposto.
Questa storia, apparentemente semplice, porta con sé ancora oggi mille interrogativi ai quali è necessario dare una risposta.
L’analisi deve partire necessariamente dal contesto in cui avvenne l’attentato del 23 gennaio 1994: il 13 gennaio il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi si dimise, tre giorni dopo il capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro sciolse le Camere e indisse nuove elezioni.
In quel momento politico particolarmente delicato, Cosa nostra fece politica. Aveva iniziato a farlo qualche anno prima, quando, dopo aver ucciso i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle stragi del 1992, portò la strategia delle bombe sul continente, colpendo le città di Roma, Firenze e Milano.
Gaspare Spatuzza, nell’udienza del 23 marzo 2018 nell’ambito del processo ‘Ndrangheta stragista, parlò di “morti che non ci appartengono”: Cosa nostra cambiò e divenne protagonista di una strategia di tipo terroristico.
Ma perché?
Secondo le dichiarazioni del pentito Spatuzza, quell’attentato serviva per “smuovere” alcuni personaggi e, per riuscirci, era necessario “colpire i carabinieri”.
Anche qui sorge una domanda: gli uomini dell’Arma dovevano essere colpiti solo per dimostrare la capacità militare di Cosa nostra di poter agire ovunque e comunque, oppure si voleva inviare un messaggio preciso a qualcuno?
Sta di fatto che pochi giorni dopo, precisamente il 26 gennaio, Silvio Berlusconi annunciò la sua discesa in campo; e mentre scandiva le parole “l’Italia è il paese che amo” qualcuno ‘vendeva’ i fratelli Graviano alle manette dei Carabinieri.
Semplice coincidenza o frammenti di una storia ancora da scrivere e raccontare?
Segui il PODCAST: Nero su Bianco
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