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A poche ore dal verdetto il pensiero va a Vincenzo e Augusta, genitori dell’agente assassinato

L’angoscia che incombe da 35 anni sulla famiglia Agostino è a un punto di svolta. O almeno una parte. Domani la Corte di Cassazione dovrà decidere se condannare il boss Nino Madonia come mandante dell’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio (incinta), uccisi il 5 agosto ’89 a Villagrazia di Carini. Il 14 gennaio scorso la Procura generale aveva chiesto la conferma della condanna all'ergastolo per il boss di Cosa nostra, di recente indagato dalla procura di Palermo anche per l'omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Nell'ottobre del 2023 la Corte di Assise di Palermo ha ribadito l'ergastolo per Madonia, già inflitto in primo grado dopo il rito abbreviato. Ma i supremi giudici della Prima Sezione Penale necessitavano di più tempo. Per questo il differimento dopo la camera di consiglio e l’udienza straordinaria fissata per il 30 gennaio.
Per lo stesso fatto, il 7 ottobre scorso nel processo con rito ordinario - quello di Madonia si è svolto con rito abbreviato - è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Palermo anche il boss dell’Acquasanta Gaetano Scotto, accusato del duplice omicidio Agostino-Castelluccio. Assolto, invece, l'altro imputato, Francesco Paolo Rizzuto - sedicente amico di infanzia di Nino Agostino -, accusato di favoreggiamento aggravato.
Noi familiari dobbiamo aspettare ancora, con la stessa angoscia che si porta dietro la mia famiglia da più di 35 anni - aveva commentato Nino Morana Agostino, nipote dell’agente ucciso, dopo la decisione della Suprema Corte -. Ci auguriamo che i giudici con questa proroga decidano adeguatamente e condannino definitivamente colui che ha ucciso brutalmente i miei zii". Parole di speranza, tradite un po’ dall’emozione, un po’ dall’incognita del differimento. Una decisione insolita, che non ha intimorito il sostituto procuratore generale della Cassazione Giuseppina Casella. L’importante è che "decidano bene”, aveva commentato fuori dall'aula Giallombardo.
In questi attimi tornano alla mente i volti e le parole di Vincenzo Agostino e di Augusta Schiera, genitori dell’agente di polizia assassinato. Due monumenti viventi dell'antimafia che da quel tragico 5 agosto 1989 non hanno smesso di girare in lungo e in largo per l'Italia per testimoniare il proprio dolore, alla continua ricerca di verità e giustizia. Una corsa disumana, nella quale il tempo non ha giocato a loro favore.
Augusta si è spenta nel 2019, prima ancora che iniziasse il processo.
"Il giorno che Nino e Ida si sono sposati ero la donna più felice del mondo - disse Augusta su Radio In 102qualche anno prima di morire -. Una serenità che poi sfuma quando li hanno uccisi in riva al mare. Quel mare che Nino tanto amava. E il dolore per mio figlio non si calmerà mai. Ho atteso in vano le risposte. E fino ad oggi non è accaduto niente. Ma ci sono i miei figli ed i miei nipoti, che mi hanno già detto che loro continueranno sempre questa richiesta di giustizia. Della loro esistenza ringrazio Dio. Io non posso morire senza giustizia. La spero, la voglio. E, se dovessi morire senza, ho già detto ai miei figli di scrivere: 'Qui giace Schiera Augusta, mamma dell'agente Antonino Agostino. Una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte'". Chi va a rendere un omaggio floreale ad Augusta sa quanto pesa quel monito inciso sulla lapide. 


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Fabio Repici © Imagoeconomica


Nonno Vincenzo”, invece, ci ha lasciati lo scorso aprile. Nonostante le difficoltà e la salute sempre più precaria ha presidiato ad ogni udienza del processo a carico di Scotto. Fino all’ultimo. “Mentre guardavo la tv sento un botto, pensavo a un petardo. Poi altri ancora. Sento mia nuora che urla, il tempo di uscire e vedo mio figlio che si appoggia al cancello, con una mano si teneva il petto come se si volesse asciugare il sangue, con l’altra teneva la moglie e la gettò per terra - raccontò a processo -. Io ho cercato di abbracciare mio figlio. E sentivo gli spari che lo trafiggevano a destra e sinistra. Mia nuora quando era stata buttata a terra si rialza e dice: 'Io so chi siete'. Gli spararono un colpo e cadde a terra. Anche mio figlio cadde a terra e capii che non c’era più niente da fare”. Da quel giorno promise sulle due bare che non si sarebbe più tagliato barba e capelli fino a quando non avrebbe ottenuto verità e giustizia. E così fu. Era un Jean Valjean(personaggio immaginario protagonista del romanzo I miserabili dello scrittore francese Victor Hugo), come lo descrisse l'avvocato Fabio Repici nella sua arringa difensiva, che "si è fatto carico del mondo per cercare di dare giustizia a suo figlio e a sua nuora”.
Dal 1989 per la famiglia Agostino il tempo si è fermato. Un limbo caratterizzato da silenzi e depistaggi istituzionali; un eterno presente. Lo stesso richiamato, nel 2020, dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo durante la requisitoria del processo ‘Ndrangheta stragista quando, rifacendosi al filosofo Nietzsche, disse: “Quelle stragi eversive, spaventose, drammatiche, consumate ai danni di tutti noi e di uno Stato di cui tutti noi siamo cittadini, sono proprio la rappresentazione giudiziaria del concetto filosofico dell’eterno presente. Tutti siamo chiamati a ricostruire fino in fondo quegli accadimenti proprio perché tutti ancora portiamo addosso ferite, paure, il peso enorme del compito che ci viene riservato, il dolore, la rabbia, il desiderio di verità”. Domani i supremi giudici avranno il compito di affermare la verità. “Costi quel che costi, perché noi viviamo un eterno presente da cui dipende il nostro domani - chiosò Lombardo nella sua requisitoria -. Perché per noi il tempo si è fermato in questo eterno presente e diventerà altro solo quando tutto quello che va ricostruito sarà ricostruito fino in fondo".
La famiglia Agostino desidera un esito positivo per porre fine a questi anni di dolore. Sognano di uscire dalla Cassazione con le mani al cielo e due dita alzate a formare una “V” in segno di vittoria, come fece Vincenzo Agostino quando uscì commosso dall’aula bunker di Palermo il giorno in cui Madonia venne condannato all'ergastolo in primo grado e disse: “Questo è un principio di verità”.

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