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Il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri: “Non vado, non ne vale la pena”

Indossare la toga, ascoltare il presidente della Corte d’Appello e andarsene.
È questo che si è visto stamattina in tutti i tribunali d’Italia. I magistrati hanno lasciato le aule in senso di protesta contro il governo Meloni.
A partire da Napoli dove il procuratore capo Nicola Gratteri non si è presentato: "Resto qui in ufficio a lavorare perché non ritengo utile la mia presenza, dato che nel corso di tutto questo tempo, mesi e anni, nessuno ha chiesto e ha voluto un confronto per discutere sul piano pratico, tecnico e giuridico della riforma. Quindi andare lì a sentire lo stesso discorso fatto ieri, fatto in televisione ieri sera o fatto l'altro ancora, non ne vale la pena" ha detto ad Agorà Weekend su Rai 3.
I magistrati presenti nel tribunale partenopeo non si sono tirati indietro: poco prima che iniziasse a parlare il ministro della giustizia Carlo Nordio sono usciti con in mano una copia della Costituzione quando il sottosegretario alla presidente del Consiglio Alfredo Mantovano è salito sul palco.
Prima dell’inizio della cerimonia i togati all’arrivo di Mantovano a Roma hanno esposto cartelli con scritto: “Se volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, nelle carceri, nei campi, dovunque è morto un italiano per riscattare la nostra libertà, perché è lì che è nata questa nostra Costituzione”. I giudici, che hanno atteso il sottosegretario schierati sulla scalinata, sono poi entrati nell’aula per assistere al discorso del presidente della Corte d’appello e poi andare via quando è intervenuto il sottosegretario.


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A Milano i magistrati hanno distribuito sulle scale del tribunale copie della Carta costituzionale e il presidente della Corte d'Appello Giuseppe Ondei ha detto che “non è possibile che nel diffuso clima di tensione oggi esistente anche gli interventi meramente tecnici dei Capi degli Uffici giudiziari finalizzati solo a dare un contributo alla soluzione di problemi organizzativi nel mondo della giustizia nel solco della lealtà istituzionale, vengano qualificati come interferenze nelle competenze altrui se non addirittura attaccati in modo gratuitamente denigratorio sulla base di semplificazioni pericolose". Inoltre il rappresentante del Csm Dario Scaletta ha scandito “Resistere, resistere, resistere”.
Dopo aver lasciato l'aula magna per protestare contro la riforma della separazione delle carriere, il presidente del Tribunale Fabio Roia spiega le ragioni: "Prima di essere un presidente sono un magistrato e un cittadino. La riforma sulla separazione delle carriere fa diventare i pm un corpo di una potenza di cui tutti i cittadini dovrebbero avere paura". Sono usciti anche i presidenti dei tribunali di Lodi e Pavia. Quasi tutti i procuratori del distretto hanno lasciato l'aula. Il procuratore di Milano Marcello Viola è invece rimasto seduto al suo posto.


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"Chi scrive non è pregiudizialmente contrario alla separazione delle carriere perché, non senza sforzo, comprende la posizione ideologica di chi anela ad un processo accusatorio puro che si ritiene più giusto e garantista di altre forme processuali, ma è molto preoccupato della mancata espressa previsione di una tutela costituzionale della indipendenza ed autonomia del Pm dall'Esecutivo" ha detto il Pg di Cagliari Luigi Patronaggio. "Sono pochi i paesi in Europa che garantiscono una reale autonomia e indipendenza al pm che fatalmente viene attirato sotto un controllo, più o meno rigido, del governo di turno a prescindere dal suo colore politico. Il superamento di fatto dell'obbligatorietà dell'azione penale, con l'introduzione della individuazione dei reati a trattazione prioritaria da parte del Parlamento, ha aperto pericolosi spazi per una giustizia selettiva e di parte".


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"Già oggi si sono fatte scelte sostanziali e procedurali che accrescono le garanzie per i colletti bianchi e accentuano l'atteggiamento repressivo verso la criminalità comune - aggiunge - Sotto altro aspetto temo molto una nuova categoria di Pubblici Ministeri, autoreferenziali, privi dell'equilibrio proprio di chi si è nutrito della cultura della giurisdizione, tesi al raggiungimento di obiettivi di efficientismo gradito a chi detiene il potere e ne gestisce le carriere. E non si dica che la separazione delle carriere fosse un disegno gradito al compianto Giovanni Falcone che, come sa chi lo ha conosciuto personalmente, anelava ad un P.M. altamente specializzato, in grado di dirigere con autorevolezza la polizia giudiziaria e combattere efficacemente il crimine organizzato, ma fortemente inserito all'interno della magistratura, tutelato dalle ingerenze della politica e dei poteri forti". "A tal proposito voglio ricordare i pesanti attacchi che in vita ha subito Giovanni Falcone, provenienti da vari ed eterogenei segmenti del potere, e da cui, fino alla sua tragica fine, era riuscito a sottrarsi grazie alla toga e alle tutele che quella toga, che portava indosso, con onore e indipendenza di giudizio, gli garantiva", ha concluso.


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L'ipotesi di doppio Csm o "l'istituzione di diversi e nuovi organi di amministrazione”, di garanzia e disciplinari, distinti per giudici e pubblici ministeri avrà "inevitabili ripercussioni" e "almeno nell'immediato rallenterebbe ulteriormente" la macchina della giustizia "sottraendo preziose risorse" ha detto invece la Procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni.
Presenti anche ex magistrati simbolo della Procura di Milano come Gherardo Colombo e Armando Spataro e i vertici di istituzioni e forze dell'ordine in Lombardia. Quando la Procuratrice generale ha preso la parola sono rientrati in aula le decine di magistrati che erano usciti in protesta con la riforma sulla separazione delle carriere durante l'intervento precedente della capa dell'esponente del ministero della Giustizia, Monica Sarti.


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Anche a Torino alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario le toghe lasciano l'aula nel momento in cui prende la parola la rappresentante del Ministero, mentre il presidente della Corte d'appello, Edoardo Barelli Innocenti, sottolinea che "i giudici non devono fare politica e i politici non devono fare i giudici".  "A nostro giudizio è una riforma che indebolisce la magistratura nel suo complesso, in particolare l'ufficio del pubblico ministero, perché separandolo e sganciandolo dall'ordine giudiziario inevitabilmente lo attrae nell'orbita del potere esecutivo nel lungo periodo - ha spiegato Mario Bendoni, presidente della giunta piemontese dell'Anm - Senza un pubblico ministero indipendente, a non essere tutelati sono i diritti dei cittadini, in particolare quelli più deboli". Protesta silenziosa che si è ripetuta a metà seduta, nel momento in cui ha preso la parola Maria Teresa Gandini, rappresentante del ministero di Giustizia. Nell'intervento del procuratore generale Lucia Musti, l'attenzione è stata posta sui problemi delle mafie in Piemonte e dell'eversione di piazza nel capoluogo torinese.


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Anche a Reggio Calabria e Catania, molti magistrati sono usciti dall’aula della Corte d’assise d’Appello quando è iniziato l’intervento del rappresentante del ministero della Giustizia, Massimiliano Micheletti. Intanto, prima della cerimonia, i magistrati con la toga e con la Costituzione si sono riuniti all’ingresso della Corte d’appello e hanno spiegato le ragioni della protesta.
La nostra contrarietà alla riforma – ha affermato un sostituto procuratore – l’abbiamo provata a esprimere in tutte le sedi possibili anche cercando un dialogo con il governo e col Parlamento. Il Csm ha espresso parere negativo, peraltro già anticipato in numerose sedi rispetto a questa riforma, ma purtroppo le nostre obiezioni non hanno mai avuto riscontro. Non soltanto assistiamo quotidianamente a attacchi gratuiti e spregiudicati, fatti anche da importantissimi rappresentanti delle istituzioni, alla magistratura tutta e soprattutto alla figura del Pubblico Ministero che viene additato quasi come un nemico pubblico, un super poliziotto. Quindi riteniamo che sia nostro dovere far sentire alla collettività la nostra contrarietà e far sentire la nostra voce e la nostra opinione”. "Lo dico senza se e senza ma la separazione delle carriere, benchè legittima, non apporta alcun beneficio alla collettività” ha detto intervenendo alla cerimonia per l'inaugurazione del nuovo anno giudiziario a Reggio Calabria, il procuratore generale Gerardo Dominijanni. "Il sospetto poi - ha proseguito il magistrato - che essa sia un primo passo per sottoporre il pubblico ministero al controllo dell'esecutivo è forte. Su queste due affermazioni la magistratura è pronta a confrontarsi con chiunque, in qualunque sede, in qualunque momento". Dominijanni, ancora, si è detto "costretto ad osservare con amarezza, come ultimamente assistiamo ad esternazioni del signor Ministro che non solo offendono gratuitamente la magistratura ma, soprattutto, impediscono ogni dialogo. Dobbiamo ritornare alle discussioni costruttive recuperando lo spirito dei costituenti che forgiarono la nostra Costituzione".


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Per il procuratore generale reggino, "le riforme, vieppiù costituzionali, non andrebbero imposte, ma costruite insieme con tutti gli attori, avvocatura compresa ovviamente. Denigrare, e non dialogare, il corpo giudiziario, è iniziativa pericolosa per ciò che all'esterno viene percepito. Impedire un processo di disbiosi dei poteri dovrebbe essere l'imperativo morale dei nostri giorni, e il mio appello va tanto alla magistratura quanto alla politica. Quella che nell'immaginario collettivo è ormai una 'guerra' presuppone vincitori e vinti". "Continuare su questa china - ha concluso Gerardo Dominijanni - significa che a perdere sarà solo il popolo italiano, a vincere sarà solo la criminalità”. Caterina Asciutto, presidente dell'Anm di Reggio Calabria, ha detto che "non si può restare in silenzio. Il silenzio sarebbe il risultato, esso sì, di un calcolo di convenienza corporativa che, in nome della Costituzione, su cui hanno prestato giuramento, i magistrati italiani rifiutano". Spiegando le ragioni della protesta, il presidente dell'Anm di Reggio Calabria ha definito "ristrettissimi e inusuali" i tempi di approvazione della riforma in tema di separazione delle carriere del 16 gennaio scorso da parte della Camera dei Deputati, "e senza alcun emendamento". Per la rappresentante dell'Anm, attorno alla proposta di riforma (due Csm, Alta Corte disciplinare e sistema di sorteggio ndr), "ruotano l'intenzione e l'obiettivo di separare la carriera dei pubblici ministeri da quella dei giudici".


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Duro anche il presidente della Corte d'Appello di Roma, Giuseppe Meliadò: "E’ arduo sostenere che le nuove riforme siano in grado di realizzare, almeno a Roma, in tempi brevi un significativo cambio di passo nei tempi della giustizia civile e penale". Applausi dai colleghi quando il presidente ha stigmatizzato la decisione del governo di trasferire le competenze in materia di immigrazione dalle sezioni specializzate alle Corti d’appello: “Ha destato sgomento la scelta del legislatore di trasferire, con procedura d'urgenza, senza alcun aumento dell'organico e senza risorse aggiuntive, alla Corte di appello le procedure di convalida dei provvedimenti di trattenimento degli stranieri adottati dal Questore, ad appena pochi mesi dall'opposta scelta di rafforzare le sezioni di primo grado competenti in materia di protezione internazionale".
E ancora: “Si tratta di una scelta priva di alcuna apparente razionalità, che rischia di destabilizzare i già precari equilibri del contenzioso, gettando un'ombra su tutta l'attività della Corte per la sua indubbia capacità di interrompere i processi virtuosi con grande fatica avviati in questi ultimi anni”.
"La separazione delle carriere è uno specchietto, è un progetto con cui si vuole ridisegnare l'ordine costituzionale. Il vero obiettivo è lo spacchettamento dell'ordine superiore del Csm" e "ridurre ai minimi termini autonomia della magistratura. Così si crea anche una separatezza culturale tra pm che entra nella cultura dell'amministrazione per avvicinarsi all'esecutivo. Si crea così un giudice sempre più solo davanti alle aggressioni esterne, più burocrate e attento ai risultati aziendalistici ma meno ai diritti dei cittadini" ha detto il presidente della Corte di Appello di Firenze, Alessandro Nencini.

Foto © Imagoeconomica

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