Imputati due ex generali: Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni. Avrebbero intralciato i pm che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del pentito Riggio
Inizierà domani al Tribunale di Caltanissetta il processo per depistaggio a carico di due generali dei Carabinieri (oggi in pensione) Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni. I due ufficiali avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio. Ex agente di polizia penitenziaria poi affiliato in Cosa Nostra, Riggio dal 2018 sta rilasciando una serie di dichiarazioni importanti su quanto avvenuto in quel tragico biennio delle stragi, '92-'94, e sulle sue conoscenze con esponenti deviati dei servizi di sicurezza. I due militari dell’antimafia, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l'accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni di Riggio sulla strage di Capaci. Alla sbarra anche l'ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tersigni, 63 anni, difeso dall'avvocato Basilio Milio, e l'82enne Pellegrini hanno lavorato a lungo per la Dia. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone. Al centro della vicenda ci sono le dichiarazioni di Riggio. In precedenza era stata la Procura generale di Palermo ad aver espresso seri dubbi sulla gestione del collaboratore Riggio, partendo dalla considerazione che fino al maggio 2001 non si trovano documentazioni sul rapporto confidenziale avviato mesi prima.
“La mancanza di relazioni di servizio, o di appunti riservati, nei primi 16-17 mesi della pluriennale interlocuzione tra la Dia di Palermo ed il pregiudicato e confidente Pietro Riggio è significativa - aveva affermato il sostituto procuratore generale Giuseppe Fici rivolgendosi alla Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino - Non sono mai state redatte relazioni e appunti riservati? E perché, se così è? Come si fa a gestire in questo modo, quando poi nella fase successiva è ben documentato come correttamente deve essere gestito un rapporto di questo genere? E' sparito tutto? E perché? Sono domande a cui non si può e non si deve sfuggire nel valutare le circostanze riferite dal Riggio che non sono state confermate dai due ufficiali dei carabinieri, prime fra tutte il progetto di attentato al dottor Guarnotta, ma anche il disinteresse all'idea del Riggio, che aveva in mano la fascetta di banconote, che con una microspia avrebbe potuto viaggiare verso Provenzano”. Secondo i pm nisseni i due ex investigatori, che respingono le accuse, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio, all'epoca loro confidente, rivelazioni che, sempre a dire degli inquirenti, avrebbero potuto portare alla cattura del latitante Bernardo Provenzano e a scoprire un progetto di attentato all'ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta.
Angiolo Pellegrini © Imagoeconomica
Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l'altro favorendo la latitanza del boss corleonese. Pellegrini, ex comandante della sezione Anticrimine, fu anche l'autore del rapporto che nel 1981 svelava gli affari del boss Bernardo Provenzano nella sanità siciliana, attraverso le forniture ad Usl ed ospedali. Il 30 novembre 2019 Riggio fu sentito, per la prima volta in un processo, nel dibattimento Capaci bis. In quella occasione parlò anche del coinvolgimento di una "donna, sui 35-40 anni, appartenente ai servizi segreti libici''. "Mi ricordo che Peluso si accompagnava con una donna - aveva aggiunto - mi disse che era una persona vicina ai servizi segreti libici" e ha ricordato di avere saputo che la compagna di Peluso "apparteneva ai servizi libici" così come ''la suocera che svolgeva servizio all'ambasciata libica". "C'era un collegamento di veridicità in quello che mi diceva'', aveva sostenuto in aula il pentito. In aula il collaboratore di giustizia Riggio aveva riferito anche quanto apprese da Peluso nel 2000 sulla "volontà di Cosa nostra di eliminare il giudice Leonardo Guarnotta", ex membro del pool antimafia di Antonino Caponnetto e all'epoca presidente della corte che stava giudicando il fondatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri per concorso esterno a Cosa nostra. "Peluso - aveva detto Riggio in aula rispondendo alle domande dell'avvocato Salvatore Petronio - voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta. Le ragioni non me le disse, se non l'esigenza di rifugiarsi dopo l'attentato. Aveva anche fatto uno schizzo sull'abitazione del giudice. Io quel giorno stesso riferii dell'attentato al colonnello della Dia". Sul punto però rispetto al verbale reso ai pubblici ministeri, Riggio aveva cambiato un po' le sue dichiarazioni. Ai magistrati aveva detto: "Peluso mi disse che la 'nostra organizzazione' aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un 'palazzo', ritengo fosse quello dove abitava il magistrato". Alla domanda de perché fino a quel momento non avesse mai parlato della strage di Capaci, Riggio replicò, collegato in videoconferenza: "Non ho parlato prima della strage di Capaci perché, purtroppo, ho avuto modo di conoscere il sistema dall'interno e se io ne avessi parlato prima oggi sarei un uomo morto...".
Foto di copertina © Shobha
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