Non più la pista nera, ma quella mafiosa. Svolta nel caso dopo anni di indagini
Ad uccidere Piersanti Mattarella non furono due neofascisti, ma due mafiosi. Né è convinta la Procura di Palermo che, dopo anni di indagini interforze, ha recentemente iscritto nel registro degli indagati i boss Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese in qualità di killer dell’ex presidente della Regione Sicilia assassinato nella centralissima via Libertà di Palermo il 6 gennaio 1980.
A distanza di 45 anni dall’agguato, le indagini su uno dei più importanti delitti eccellenti della storia del Paese prende una svolta. Secondo la procura capitanata da Maurizio de Lucia, dunque, non furono i killer dei Nar Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, come riteneva Giovanni Falcone, assolti in tutti e tre i gradi di giudizio. Ora l’attenzione è sui due fedelissimi di Totò Riina. Antonino Madonia, al tempo 28enne, avrebbe scaricato i sei colpi della calibro 38 contro Mattarella, mentre Lucchese - 22enne – guidava la 127 bianca con cui si diedero alla fuga successivamente.
Non due nomi di poco conto: entrambi sono condannati all’ergastolo per svariati omicidi. Tra questi, nel loro curriculum criminale “annoverano” anche l’assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso in via Isidoro Carini il 3 settembre 1982.
Cambia la pista, ma restano i misteri. Come, ad esempio, quello del guanto di pelle rinvenuto a bordo dell’auto usata per l’agguato. Il proprietario della vettura disse subito che non era suo. Dunque, erano dei killer. Ma dopo essere stato portato all’ufficio Corpi di reato per esaminarne il DNA, il guanto scomparve. Nel tempo venne accusato un ipotetico sicario di estrema sinistra, senza mai avere un riscontro.
Non più dunque i Nar, ma Lucchese, della famiglia Ciaculli, e Madonia figlio di don Ciccio, rampollo della famiglia di Resuttana, una delle più potenti di Palermo. Ed è proprio quest’ultimo nome che infittisce i misteri.
Entrati a far parte del “gotha” di Cosa nostra all’inizio degli anni ’70, i Madonia si affermano nella zona di Resuttana dopo la prima guerra di mafia, durante la quale furono interessate le zone di San Lorenzo e Acquasanta, in particolare. Una guerra finita con l’epurazione di una serie di soggetti ritenuti pericolosi per i Corleonesi e l’avanzare da parte di quest’ultimi verso Palermo. “Una pulizia etnica, più che una guerra”, come la definì il procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo durante la requisitoria del processo a carico di Scotto e Rizzuto. Nel tempo i Madonia sono entrati nella cerchia ristretta dei fedelissimi di Totò Riina. Nino Madonia godeva della piena fiducia di Riina al punto da essere autonomo anche se fedelissimo di Riina, e permettersi di commettere reati anche al di fuori del mandamento, intrattenendo rapporti proficui con i servizi segreti per conto di Cosa nostra. Tra questi anche il duplice omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio (incinta), compiuto il 5 agosto ’89. In primo e secondo grado - con rito abbreviato – Nino Madonia è stato condannato all’ergastolo. Il prossimo 14 gennaio è atteso il verdetto della Cassazione.
Foto © Archivio Letizia Battaglia
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