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Il criminologo e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale risponde alle domande di ANTIMAFIADuemila sull’Art. 31 del Ddl Sicurezza

In che modo la legittimazione di determinati reati da parte dei servizi di intelligence potrebbe incidere negativamente sul principio democratico e sul rispetto delle garanzie costituzionali?
Le cause di giustificazione applicabili ai servizi di intelligence incidono negativamente tutte le volte in cui violano palesemente i principi liberali della nostra Costituzione. Le regole a cui fare riferimento non possono non essere ricercate all’interno della Carta stessa e mai al di fuori di essa. La ragione ed il fondamento dell’attività dei servizi informativi risiede nel pieno rispetto della nostra Carta Costituzionale. Se così non fosse non saremmo più uno Stato democratico. È vero che vada tutelato l’interesse della sicurezza dello Stato ma mai violando palesemente la Costituzione ed il suo legame indissolubile con la difesa delle istituzioni e dei valori democratici. Qualsiasi attività dei servizi segreti che travalichi i limiti del rispetto dei principi costituzionali, a mio parere, è da ritenersi ai limiti dell’eversione, se non proprio eversiva.

Alla luce degli abusi di potere già documentati nella storia italiana da parte dei servizi segreti, la normativa vigente prevede meccanismi di controllo adeguati a prevenire condotte illecite, oppure esiste un rischio concreto di depistaggi e insabbiamenti?
A dimostrare, senza ombra di dubbi, il rischio concreto di depistaggi e insabbiamenti sono i rapporti acclarati tra servizi segreti italiani e criminalità, in alcuni casi, provati anche processualmente con sentenze passate in giudicato. I cosiddetti "servizi segreti deviati", non di rado, hanno avuto contatti con organizzazioni mafiose o terroristiche eversive. Esistono documenti delle varie commissioni parlamentari che si sono succedute nel tempo che, con minuzia probatoria, hanno svelato l’intreccio tra criminalità e terrorismo politico che per tanti anni ha condizionato la storia del nostro Paese. Esiste una realtà storica fatta di terroristi neri, servizi deviati, depistaggi piduisti e bombe mafiose che ancora oggi rappresentano la “zona occulta impenetrabile” di una Nazione senza memoria e senza verità.

Considerando i precedenti di coinvolgimento istituzionale in reati di Stato, ritiene che l'attuale Ddl Sicurezza possa agevolare collusioni tra i servizi di intelligence, la criminalità organizzata, il terrorismo e il narcotraffico?
L’agevolazione delle collusioni tra servizi segreti e criminalità ci sarà tutte le volte in cui l'eccesso di potere si paleserà, nel cattivo uso del potere da parte dell’avente diritto e nella deviazione del potere da quei principi generali stabiliti dal legislatore e dalla Costituzione. L’attuale DDL Sicurezza concede un potenziamento dei poteri ed una eccessiva discrezionalità che nel loro insieme possono portare i servizi segreti ad operare per un fine diverso da quello prefissato dalla norma attributiva del potere. Il rischio di collusioni c’è ed andrebbe evitato ponendo paletti specifici oltre i quali non si dovrebbe mai andare.

Nel caso ipotetico in cui un agente dei servizi segreti infiltrato in un'organizzazione di narcotrafficanti scalasse i vertici dell'organizzazione fino a diventarne leader, e successivamente venisse arrestato e rimpatriato, quali sarebbero le conseguenze sul piano giudiziario? La normativa vigente potrebbe determinare un’immunità di fatto, compromettendo la lotta al narcotraffico?
Questo esempio richiama alla memoria due istituti di diritto penale: l'agente sotto copertura che si colloca all'interno di un procedimento penale già avviato e, quindi, presuppone l'esistenza di una notizia di reato a monte del suo operato, e l’agente provocatore che, invece, agisce prima e a prescindere dall'acquisizione di una notitia criminis. A mio parere anche l’infiltrato dei servizi segreti deve operare rispettando i limiti consentiti dalla legge tenendo ben presente che non può essere colui che fa sorgere in altri il proposito criminoso, né può fornire un contributo tale da poter essere considerato rilevante per la commissione del reato. Solo nel rispetto di questi limiti, infatti, l’attività svolta dall’agente provocatore andrà esente da pena per mancanza di dolo. Il provvedimento in esame pone all’attenzione di noi esperti il concreto rischio di una debordazione del rispetto della legge in favore di una immunità non facilmente ammissibile non nostro ordinamento giuridico.

La trasformazione della pubblica amministrazione in una struttura obbligata a fornire informazioni ai servizi segreti, anche in deroga alla tutela della privacy dei cittadini, rappresenta un rischio di ritorno a modelli repressivi del passato?
Questa è una parte della normativa della quale non condivido neanche le virgole. La norma obbliga enti pubblici, università, aziende statali e concessionarie di servizi pubblici a un ruolo di collaborazione e assistenza verso i servizi segreti. Se il provvedimento diventasse legge, esse potranno essere chiamate a fornire informazioni in totale deroga alle normative sulla privacy e sul rispetto della persona umana.

L’ampliamento dei poteri dei servizi di intelligence e l’accesso a un numero sempre maggiore di informazioni personali comportano un rischio di utilizzo strumentale per scopi politici, come avvenuto in precedenti esperienze storiche? E tali poteri potrebbero essere utilizzati appositamente e intenzionalmente per influenzare l’orientamento politico della Nazione?
Assolutamente sì. È proprio questo il rischio maggiore che si correrà. L’accesso indiscriminato a banche date sensibili senza prevedere adeguati controlli pone in concreto il rischio che organismi come gli organi inquirenti (ad esempio uffici di polizia giudiziaria e procure della Repubblica) potrebbero essere illegalmente “spiati”. L’articolo 31 del DDL trasforma la pubblica amministrazione in una sorta di “polizia politica” che in concreto potrebbe mettere a rischio la sicurezza democratica del nostro Paese. I servizi segreti non possono e non hanno il potere di mettere a rischio le indagini in corso da parte della magistratura. Sarebbe un’ingerenza inammissibile ma che purtroppo già abbiamo visto anche di recente (cfr. processo Borsellino quater).

Quali alternative normative proporrebbe per garantire l’efficacia delle operazioni di intelligence senza pregiudicare i principi dello Stato di diritto e la trasparenza democratica?
Non occorrono alternative, le regole ci sono e il faro da seguire per il rispetto della legge lo abbiamo. C’è bisogno di un serio intervento mirato sulle garanzie funzionali ed è auspicabile, per consentire maggiore chiarezza sull’applicazione della legge, tenere categoricamente fermi i limiti costituzionali che neppure il ricorso alla sicurezza nazionale può superare. L’attuale DDL mi sembra di poter dire che in alcuni casi potrebbe pregiudicare i principi fondanti dello Stato di diritto e della democrazia parlamentare come è la nostra.

Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.

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