Più trascorre il tempo e più si manifesta in tutta la sua complessa organicità, il disegno di lungo respiro dell’attuale maggioranza: stravolgere progressivamente alcuni cardini fondamentali del nostro Stato costituzionale di diritto, riportando l’orologio della storia all’età precostituzionale. Uno dei passaggi storici della transizione dallo Stato monarchico-assolutistico a quello moderno, fu la regolazione del conflitto di interessi, realizzata stabilendo la separazione del patrimonio personale del sovrano da quello della collettività, cellula germinativa di tutta la successiva legislazione finalizzata a impedire l’indebita commistione tra interessi privati e quelli collettivi nella gestione del potere pubblico. Un altro momento fondativo dello Stato moderno, fu la protezione dei diritti dei cittadini contro le prevaricazioni dei funzionari pubblici, che raggiunse il suo apice con la penalizzazione dell’abuso di ufficio.
Entrambi questi pilastri sono stati gravemente intaccati. Con l’abrogazione del reato di abuso di ufficio approvata nel 2024, il conflitto di interessi è stato definitivamente sdoganato come prassi legittima di esercizio del potere anche nei casi estremi nei quali il pubblico funzionario omette di astenersi in presenza di un interesse proprio, ovvero di prossimi congiunti, o negli altri casi prescritti dalla legge. Allo stesso tempo è stato legalizzato, caso unico in Europa, anche l’uso distorto del potere per finalità affaristiche, nepotistiche, clientelari, discriminatorie e vessatorie dei cittadini. Così come accadeva nell’Italia narrata ne I Promessi Sposi, vero e proprio manuale di antropologia nazionale, i cittadini senza potere potranno essere impunemente “abusati” dai piccoli e grandi Don Rodrigo di turno. Si tratta solo di una spia di un fenomeno carsico di grande portata che oltrepassa i confini della legislazione penale, estendendosi ad altri settori nevralgici della gestione del potere pubblico. Il conflitto di interessi e l’abuso di potere, in tutte le loro molteplici declinazioni, sono divenuti ormai la cifra occulta del potere.
Un altro passaggio storico fondativo dello Stato moderno, fu l’abolizione di sistemi di giustizia separati a seconda delle classi sociali. La giustizia ordinaria era riservata al popolo, mentre l’aristocrazia e i ceti sociali più abbienti potevano essere giudicati solo dai loro pari. Oggi si assiste al revival in chiave moderna e sofisticata della vecchia giustizia classista con la costruzione da parte della maggioranza di un diritto penale fondato su un doppio binario: minimalista, e castrato dei più penetranti strumenti di indagine come le intercettazioni, per le condotte illegali dei ceti superiori; iper repressivo per i reati delle classi inferiori. In questa poderosa marcia a ritroso verso i tempi più bui della nostra storia, si inscrive la criminalizzazione del dissenso sociale verso le politiche governative, anche quando espresso con modalità incruente. Il “pacchetto Sicurezza” in corso di approvazione, con il suo ampio ventaglio di misure intimidatorie e repressive verso dissidenti e marginali, è una delle declinazioni più rivelatrici del codice culturale di questa maggioranza.
L’ordine pubblico viene concepito come gestione militarizzata del territorio, con la liberalizzazione dell’uso della forza, arresti e processi con rito direttissimo. La polizia diventa l’asse fondamentale della governance quando il consenso non può più essere assicurato da salari, redditi e consumi, continuamente bloccati e tagliati a causa di politiche economiche antipopolari che sviliscono e precarizzano il lavoro, dal programmato smantellamento dello Stato sociale a favore di privatizzazioni. Nella stessa direzione si muove l’art. 31 del “pacchetto Sicurezza” in corso di approvazione, una norma con la quale si vuole imporre a tutti gli appartenenti alla Pubblica amministrazione – un potenziale bacino di centinaia di migliaia di pubblici impiegati e funzionari – l’obbligo di prestare la loro collaborazione ai Servizi segreti anche in violazione delle norme vigenti in materia di tutela della privacy. Ciò che appare inquietante è l’ostinato e immotivato rifiuto della maggioranza di emendare tale norma prevedendo, come precauzione minimale, il controllo preventivo del Copasir, organo che rappresenta il Parlamento, sulla stipulazione delle convenzioni segrete con le quali si vuole imporre l’obbligo di collaborazione in violazione della privacy. Un altro indice della nostalgia per i bei tempi andati antecedenti all’avvento della Costituzione, è l’accusa alla magistratura di insubordinazione al potere politico, ripetuta ogni volta che i giudici disapplicano leggi approvate dalla maggioranza, o ne sospendono l’applicazione, perché ritenute in contrasto con le norme di rango superiore della Costituzione e del diritto comunitario. Tanti, troppi, esponenti di vertice della maggioranza trovano ancora oggi inaccettabile la regola aurea del moderno Stato costituzionale di diritto che sancisce che nessun potere è legibus solutus; anche le maggioranze politiche contingenti sono soggette al rispetto della legge, cioè di norme costituzionali e sovranazionali di ordine superiore, la cui custodia è affidata a magistrature di cui deve essere assicurata l’indipendenza dal potere politico. Nell’officina della grande restaurazione i lavori fervono per rimettere le “cose a posto” anche su questo fronte. Con la riforma del premierato e con la riforma costituzionale della magistratura, si provvederà ad “aggiustare” questo ingombrante marchingegno della divisione e del bilanciamento dei poteri, che finalmente potranno tornare a essere affidati alle mani di un unico gruppo oligarchico di comando, al vertice della piramide del potere. Come ai “bei tempi andati”, per l’appunto.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
Foto © Paolo Bassani
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