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Riportiamo integralmente l’intervento dell’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato durante la conferenza tenutasi ieri presso la Sala dei caduti di Nassirya in occasione della conferenza “Quale antimafia?”

Stiamo parlando delle stragi. Il tema delle stragi, purtroppo, in Italia non è un tema soltanto giudiziario, non è un tema che riguarda il passato, ma è un tema che è sempre stato e resta di scottante attualità politica. Perché le stragi neofasciste non sono state eseguite e realizzate soltanto dagli esecutori neofascisti che sono stati individuati e condannati: le sentenze sulla strage di Piazza Fontana, le sentenze sulla strage di Bologna, le sentenze sulla strage di Brescia hanno accertato che dietro gli esecutori neofascisti c'erano pezzi del sistema di potere italiano, settori dello Stato deviato. Particolarmente significative sono le sentenze definitive di condanna che purtroppo l'opinione pubblica non conosce, che hanno condannato vari vertici dei servizi segreti italiani ed esponenti di vertice delle forze di polizia per avere depistato quelle indagini, dimostrando come per decenni apparati dello Stato abbiano operato affinché non venissero alla luce le responsabilità di mandanti e di complici eccellenti di quelle stragi. Ma se questo è già un fatto drammatico, è ancora più drammatico che non possiamo raccontarci questa storia come una storia al passato. Il passato non passa. Se è vero, com'è vero, che sino a tre anni fa un esponente di vertice di una delle forze politiche dell'attuale maggioranza ha celebrato in una sala del Senato il generale Maletti, uomo simbolo dei servizi segreti che hanno depistato l’indagine e condannato con sentenza definitiva, come un uomo di Stato. Se è vero, com'è vero, che esponenti di vertice delle attuali forze politiche vogliono riscrivere la storia continuando a negare la responsabilità di neofascisti nelle stragi di Bologna e continuando a tirare fuori piste internazionali che si sono rivelate da tempo farlocche, è inquietante che i vertici della stessa parte di maggioranza indichino ancora come loro spiriti guida e come punto di riferimento politico personaggi che hanno avuto gravi responsabilità nella pianificazione della strategia della tensione.
Il passato non passa, dunque. Lo stragismo resta un tema di scottante attualità politica e oggi chi detiene il bastone del comando vuole utilizzare questo bastone per riscrivere la storia. Il passato non passa neanche per le stragi di mafia del '92 e del '93, perché vi sono indizi plurimi e inequivocabili che anche quelle stragi non furono opera esclusiva di mafiosi, ma che insieme a loro operarono altre entità criminali che orientarono l’azione dei mafiosi utilizzando ancora una volta lo stragismo, così come era avvenuto per le stragi neofasciste, come strumento occulto di lotta politica, come strumento per orientare l’evoluzione del quadro politico. Uno degli indizi più rilevanti e inequivocabili è la sequenza impressionante di depistaggi che hanno segnato le indagini sulle stragi del 1992 e del 1993: depistaggi realizzati facendo sparire documenti essenziali, insabbiandone altri, creando false piste, creando falsi collaboratori di giustizia, riducendo al silenzio anche con l'eliminazione fisica testimoni e complici depositari di segreti scottanti ritenuti inaffidabili.
L'opinione pubblica conosce solo i casi più eclatanti di questi depistaggi, come la sparizione dell'Agenda Rossa, le dichiarazioni del falso collaboratore Vincenzo Scarantino in una memoria che ho depositato alla Commissione Antimafia, nella quale ho elencato, dal 5 settembre, un inventario di tutti questi depistaggi e di questi buchi neri che ancora non sono risolti. I depistaggi sono il sigillo del potere che si cela dietro le stragi, e vengono realizzati da settori deviati dello Stato per impedire che si possa risalire dal livello degli esecutori materiali mafiosi a quelli superiori dei mandanti e dei complici eccellenti.


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Ed è impressionante ed estremamente significativo che i depistaggi posti in essere per le stragi politico-mafiose del '92 e '93 siano la perfetta replica, siano il copia-incolla degli stessi depistaggi posti in essere in precedenza per ostacolare le indagini sulle stragi neofasciste. Una continuità di know-how dei depistaggi, una continuità di modulo operativo che appare significativa della continuità nel tempo di apparati deviati che, dopo aver operato per depistare le indagini sulle stragi neofasciste, sono entrati in campo per depistare anche le indagini sulle stragi di mafia.
Non solo i depistaggi accomunano le stragi neofasciste e quelle mafiose, ma non è privo di significato che troviamo a operare nei teatri delle stragi mafiose alcuni degli stessi personaggi che sono stati condannati per le stragi neofasciste e che sono coinvolti a vario titolo in quelle stragi. Faccio riferimento soltanto al caso più noto, Paolo Bellini, ma non è l'unico, e potrei fare molti altri nomi. Ne ha già parlato Paolo Bolognesi. Paolo Bellini è stato condannato come esecutore della strage di Bologna, una strage eseguita da neofascisti ma pianificata da Licio Gelli e da un vertice dei servizi segreti italiani, Umberto Federico D’Amato. Bellini, esponente di Avanguardia Nazionale, collegato da decenni ai servizi segreti e protetto dai servizi segreti, si reca in Sicilia 30 volte nel periodo cruciale delle stragi, interloquisce direttamente con Antonino Gioè, mafioso a sua volta legato ai servizi ed esecutore della strage di Capaci, e, come riferito da vari collaboratori di giustizia, suggerisce ai mafiosi di alzare la posta eseguendo gli attentati contro i beni artistici nazionali che vengono effettivamente eseguiti nel 1993. La stessa strategia che era stata messa a punto dalla destra neofascista negli anni ’70. È inquietante, come è stato accertato nei processi, che vertici di polizia, appoggiati dall’attuale maggioranza, venuti a conoscenza che Bellini stava interloquendo con gli esecutori della strage di Capaci, non solo siano rimasti assolutamente inerti. Non solo non hanno informato nessuno, nemmeno i servizi segreti, ma per di più hanno imposto di non redigere alcuna relazione di servizio e hanno distrutto documenti importanti che costituivano corpi di reato.
Un altro indizio inequivocabile che le stragi del '92 e '93 non furono solo di mafia è l'accertata partecipazione a fasi cruciali delle stragi di soggetti esterni. Un soggetto esterno è indicato da Spatuzza, che sovrintendeva all’operazione di caricamento dell’esplosivo sulla Fiat 126 usata come autobomba per la strage di Via D'Amelio. Gli infiltrati della polizia nella strage di Via D'Amelio sono menzionati da Franca Castellese, madre del piccolo Giuseppe, che era stato rapito, la quale implorava il marito Giuseppe Di Matteo, che aveva preannunciato ai magistrati di voler rivelare i retroscena della strage di Via D'Amelio, di non parlare mai ai magistrati degli infiltrati della polizia nella strage di Via D'Amelio, ricordandogli che avevano un altro figlio. E chi erano i soggetti di sesso femminile che sono stati indicati come partecipi alla strage di Via dei Georgofili?
Di quali interessi erano portatori? E chi furono coloro che, come ha accertato una consulenza della passata commissione parlamentare antimafia, dopo che i mafiosi lasciarono il Fiat Fiorino nella via dove doveva esplodere, aggiunsero una dose supplementare di esplosivo per aumentare la portata devastante? E chi erano coloro, ancora non individuati, che portarono in via Palestro a Milano la macchina piena di esplosivi? Chi era la donna che viene indicata come partecipante a quell'operazione? Chi erano coloro che portarono in via Sabini il 2 giugno del 1993 un'autobomba sul percorso che doveva attraversare Carlo Azeglio Ciampi? I collaboratori di giustizia non sanno nulla di questa autobomba.


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Chi erano tutti questi? Io e i miei colleghi magistrati, che in passato non ci siamo limitati a fare indagini sugli esecutori mafiosi delle stragi, ma abbiamo cercato di alzare il livello coltivando quelle piste, ci siamo dovuti scontrare con un muro di ostracismo anche all'interno dei settori della magistratura. Alcuni di noi hanno subito procedimenti disciplinari, altri sono stati estromessi dalle indagini sulle stragi, altri ancora penalizzati nella carriera.
Ho proseguito fino all'ultimo giorno: la mia segretaria mi diceva che il tempo stava scadendo, e io ho firmato l'ultima relazione sul coinvolgimento dei neofascisti nelle stragi del '92 e del '93. Pensavo di aver concluso il mio compito, ma il destino ha voluto che dovessi continuare come componente della Commissione Antimafia. Allora ho fatto tesoro di tutto quello che avevo capito e, il 5 settembre del 1993, ho depositato una memoria di 57 pagine in cui ho elencato analiticamente tutti i buchi neri delle stragi, indicando tutti i testimoni che dovevano essere sentiti, tutti i documenti che dovevano essere acquisiti, e segnalando anche piste che nessuno aveva mai coltivato. Il risultato? Lo stesso risultato che ho vissuto all'interno della magistratura. Non solo non è stato sentito un solo testimone, ma da quel momento in poi ho percepito un ostracismo crescente. Ho sentito montare un'insofferenza nei miei confronti: hanno cominciato, prima ancora che iniziassero le audizioni su Mafia e Appalti, a parlare di un mio conflitto di interessi; hanno tentato di buttarmi fuori in tutti i modi.
Io ho fatto stampare diverse copie di questa memoria perché voi possiate rendervi conto della grave responsabilità istituzionale e politica di questa maggioranza, che si rifiuta da due anni di occuparsi delle stragi di Capaci, delle stragi di Milano, delle stragi di Firenze, del fallito attentato allo Stadio Olimpico. Non sono interessati a tutte queste stragi, non sono interessati ai depistaggi, non gli interessa sapere chi erano i soggetti esterni; certo che non gli interessa, perché il passato non è passato. Se si seguono queste piste, arrivano a casa loro, arrivano in posti che non si devono vedere, e quindi non mi meraviglio affatto di quello che mi sta accadendo. Non voglio assolutamente fare un paragone con dei giganti come Falcone e Borsellino, ma anche loro hanno tentato di screditare, di fermarli, quando hanno cercato di coltivare le stesse piste. L'attentato all'Addaura si verificò pochi mesi prima che Falcone stesse preparando il mandato di cattura per Fioravanti e Cavallini per l'omicidio a Mattarella, e quando Falcone parlò di menti raffinatissime capì che aveva toccato la coda del serpente. Gli hanno poi impedito di continuare a fare quelle indagini, come ha lasciato scritto nei suoi diari, ed è stato ucciso poco prima di essere nominato procuratore nazionale antimafia, per riprendere proprio le indagini sui delitti politici eccellenti, come mi confidò personalmente. Mi disse: “Se divento procuratore nazionale, faremo le indagini che non ci hanno fatto fare sino ad oggi.” Evidentemente questo tema resta un tema scottante, non è un tema del passato; è un tema che, attraverso la politica, cela verità terribili dietro le stragi neofasciste e le stragi politico-mafiose, che sono come la lava incandescente di un vulcano. Se questo vulcano dovesse ruttare con la collaborazione di un Bellini, con la collaborazione di un Graviano, come disse Falcone in un'audizione antimafia, forse dovremmo riscrivere la storia di questo paese, e tanti non vogliono riscrivere questa storia e vogliono impedirci di farlo. Ma noi faremo il nostro dovere fino in fondo.

Foto © Imagoeconomica

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