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Dovrebbe essere fuori discussione (ma a qualcuno va ancora spiegato) che le intercettazioni sono uno strumento utilissimo, spesso decisivo, sul piano investigativo-giudiziario. Non di meno, un disegno di legge approvato dal Senato che ora passerà alla Camera si propone di ridurne drasticamente gli ambiti di operatività. Vietando che le intercettazioni possano durare più di 45 giorni, quasi che i delitti avessero delle scadenze come le cambiali. E ciò per tutti i reati non di criminalità organizzata e tuttavia gravi (ad esempio omicidio, rapina, stupro, corruzione, peculato, bancarotta, frodi fiscali etc.) tali da comportare accertamenti complessi perciò lunghi, ben oltre il termine di 45 giorni. Come si vede, si parla tanto di tutela dei diritti e di sicurezza, per poi varare leggi che vanno in direzione opposta!
Va poi considerato (come scrisse anni fa Nando dalla Chiesa) che da sempre gli “arcana imperii “segnano le barriere con cui il potere cerca di proteggere le sue deviazioni. Le intercettazioni violano queste barriere e mettono a nudo il potere, che mal tollera di essere controllato: per cui si spiega l’ostilità di chi può e conta verso questa forma di incisivo controllo che sono appunto le intercettazioni. Per qualcuno la discussione sul nuovo ddl ha assunto le cadenze del torneo ideologico a circuito chiuso.
Talora del rissoso attacco personale, anziché del confronto di idee. Il senatore Pierantonio Zanettin, “padre” della riforma, ha attaccato Nino Di Matteo e Francesco Pinto (magistrati, non senatori presenti in aula, quindi senza possibilità di replicare) per le dichiarazioni rese in due interviste al Fatto. A Di Matteo - della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo - Zanettin contesta di aver sostenuto che la nuova disciplina può limitare le indagini anche per i reati di mafia, nella misura in cui non si possono disporre intercettazioni per i cosiddetti reati “spia”. Secondo Zanettin questa sarebbe sociologia. È invece facile obiettare che la mafia non è più soltanto “Coppola e lupara”, ma agisce su livelli più sofisticati rispetto al passato. Le piste da seguire sono sempre più legate al denaro, ai suoi possibili percorsi e impieghi, ai collegamenti internazionali, alle nuove tecnologie nel settore finanziario e via seguitando. Rilevare questa realtà non significa fare della sociologia, ma fotografare la nuova mafia. Che risulta strettamente intrecciata con corruzione, appalti truccati, reati economico-finanziari: reati “spia”, appunto, che sarebbe opportuno poter indagare anche con le intercettazioni senza la mannaia dei 45 giorni per non disperdere elementi importanti in ordine ai reati propriamente di mafia.

Tratto da: La Stampa

Foto © Imagoeconomica

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