E davanti al Gip gli indagati restano in silenzio
E' maleodorante l'odore di 'Ndrangheta che si respira attorno alle tifoserie di Milano. L'inchiesta della Procura di Milano mette in evidenza una fitta rete di affari ed interessi che si sviluppa in Lombardia ma che arriva fino ad alcune delle più importanti famiglie calabresi.
Una storia che non si radica solo nel presente. Gli inquirenti hanno registrato più incontri tra membri del tifo organizzato e uomini vicine alle consorterie criminali.
Ma non era solo una questione di vicinanza.
“I calabresi sono la mia famiglia” diceva il capo della curva Sud milanista Luca Lucci. Un linguaggio chiaro e preciso.
Alcuni suoi fedelissimi (Rosario Calabria, Antonio Rosario Trimboli e Islam Hagag detto “Bonsai”) sarebbero collegati con le cosche di Platì dei Barbaro e dei Papalia.
Alcuni di loro non sono stati arrestati nell'ultima indagine, ma il nome emerge in alcune conversazioni che riguardano Antonio Bellocco, il rampollo dei clan di Rosarno ucciso il 4 settembre da Andrea Beretta.
Nel luglio 2023, in occasione di una festa a casa di Matteo Norrito (altro membro del direttivo interista) Bellocco asserisce che Calabria apparterrebbe ad uno dei tre mandamenti della 'Ndrangheta. “Platì siamo a 20 minuti lui è Jonica e noi siamo Tirrenica, Rosario è un bravo ragazzo” affermava.
Calabria, che è padrino di battesimo del figlio di Lucci, viene indicato come figura vicina a Domenico Papalia, figlio di Antonio Papalia già referente della 'Ndrangheta in Lombardia, come emerso in svariati processi.
Anche Trimboli, secondo pm, sarebbe in rapporti con i Papalia. Mentre Hagag conterebbe su amicizie importanti come quella di Francesco Barbaro, figlio di Rocco Barbaro detto “’U Sparitu”, ritenuto in passato il referente della 'Ndrangheta in Lombardia.
Come riportato da alcune testate agli atti vi sono anche delle fotografie.
Un altro episodio documentato riguarda i saluti fatti arrivare proprio da Luca Lucci, al boss Salvatore Barbaro (sposato con la figlia del boss Rocco Papalia e cugina di Domenico Papalia), che si trovava in carcere.
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Sul fronte nerazzurro è evidente che tutto ruota attorno ad Antonino Bellocco, garante anche per le altre famiglie.
“Noi abbiamo i problemi nostri, se io gli apro la porta, quello vuole entrare nel salone, quello vuole entrare nella cucina, l’ignoranza crea problemi che non si può parlare più” diceva rispetto alla vicenda dell'allontanamento del gruppo degli Irriducibili dalla curva Nord.
E' emerso che il gruppo, tentarono di rientrare appoggiandosi ad altre famiglie mafiose.
E Bellocco spiegava: “Tutti si sono avvicinati a voi, 187 famiglie hanno complicato la vera situazione perché si sono messi con i Santi Luca è stata un pochettino brutta là”.
Per dirimere la controversia vi fu persino un incontro con Santo La Rosa, pregiudicato legato al clan Piromalli al bar Vizio Italiano ritrovo degli Irriducibili. Dopo il colloquio si sfoga: “Siamo pronti al peggio, io qua con la 38 vengo!”.
C'era una brutta aria e il rischio dello scoppio di una guerra era alto.
Giuseppe Fabrizio, cognato di Bellocco soprannominato “il Principale” in un'altra conversazione ribadiva: “Non gli conviene questa roba, ci sono già i Pelle, quando fanno qualcosa là (Milano) arriva subito qua sotto e poi si rompono gli equilibri di tutte le cose”.
Il ruolo di Giuseppe Calabrò
Nella spartizione degli affari c'erano equilibri sottili da mantenere. Tra gli interessi vi era anche la gestione del parcheggio di San Siro. E' qui che entra in scena Giuseppe Calabrò detto “’U Dutturicchiu”, già capo prima della cosca “La Minore” e poi di quella “La Maggiore” di San Luca d’Aspromonte, coinvolto in numerosissimi sequestri di persona. Oggi è tra gli imputati nel processo per il sequestro e l’omicidio della giovane Cristina Mazzotti. Il nome di Calabrò di recente compariva anche nell'indagine Hydra in carico alla DDA di Milano per aver incontrato a Roma il boss di camorra Angelo Senese, fratello del più noto Michele Senese detto “o pazzo”.
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Gli inquirenti hanno registrato gli incontri tra Calabrò e Giuseppe Caminiti, che assieme a Gherardo Zaccagni controllava la "Kiss & Fly”, società che ha gestito i parcheggi allo stadio San Siro.
Gli inquirenti hanno dimostrato come Calabrò riceveva da Caminiti delle somme di denaro in maniera continuata, proprio per affrontare le spese legali cui doveva far fronte, in quel particolare momento, in relazione al processo per il sequestro Mazzotti.
Calabrò, dunque, sarebbe stato garante mafioso per l’affare dei parcheggi a San Siro, anche per evitare che altre famiglie potessero avanzare pretese, e la polizia ha registrato anche un summit con lo stesso Bellocco ed altri.
Ugualmente sono stati fotografati alcuni soggetti vicini ai Morabito di Africo.
Di tutto per i biglietti
Come risaputo, dietro ai rapporti con la criminalità organizzata e comune, vi è una fitta rete di affari. In particolare ci si concentra sulla questione biglietti e la loro vendita abusiva nonché il pressing per averne sempre di più.
Come emerso dalle indagini, i vertici della Curva Nord avrebbero "fatto ricorso ad ogni strumento", creando anche situazioni plateali per attirare l'attenzione mediatica, al solo scopo di "inviare messaggi alla società e indurla a cambiare idea" su quanti assegnarne. Ne sono conviti i pubblici ministeri che nella loro richiesta di misura cautelare, citano vari episodi che fanno riflettere sul 'potere' dei responsabili delle tifoserie.
E ancora dalle carte di indagine viene a galla anche un altro episodio inquietante: un responsabile di una cooperativa, la "4Exodus", si sarebbe reso "disponibile ad interessarsi per far ottenere misure alternative alla pena detentiva a conoscenti ed amici" di Beretta, ottenendo "in cambio favori come, ad esempio, maglie firmate dai giocatori per i propri familiari o la 'prelazione' per la propria cooperativa sull'eventuale donazione devoluta dalla curva a seguito iniziative benefiche".
Tribunale di Milano © Imagoeconomica
La via del silenzio
Ieri intanto era il giorno dei primi interrogatori di garanzia e, senza particolari sorprese, da alcuni dei leader ed esponenti delle Curve Nord e Sud (Inter e Milan), si è scelta la via del silenzio.
Ieri nel carcere di San Vittore, davanti al gip Domenico Santoro e ai pm Paolo Storari e Sara Ombra, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere Francesco Lucci, tra i capi della tifoseria milanista e fratello del responsabile Luca, e i suoi sodali Riccardo Bonissi e Luciano Romano. Lo stesso ha fatto Andrea Beretta, ex capo della Curva Nord che era parte del direttivo assieme a Marco Ferdico e Antonio Bellocco, l'esponente della cosca di Rosarno che ha ucciso poco meno di un mese fa.
Nel pomeriggio, sentiti in video collegamento, sono rimasti muti anche i rossoneri Christian Rosiello, bodyguard di Fedez, Islam Hagag amico del rapper, Fabiano Capuzzo e Alessandro Sticco. Prossimamente saranno sentiti anche gli altri ultrà, tra cui Luca Lucci e Marco Ferdico, i quali, salvo sorprese, sceglieranno la stessa strategia difensiva, sempre avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Aspettando le audizioni di Simone Inzaghi, Javier Zanetti e Davide Calabria, le società, non indagate ma tacciate di non aver tagliato i ponti con le tifoserie, di non essere state in grado di fermare quella illegalità, fatta di affari legati ai parcheggi, ai biglietti e al catering e nascosta dietro la passione per il calcio, sono al lavoro assieme consulenti tecnici nominati dalla Procura in virtù di un procedimento speciale di prevenzione: i due esperti dei pm per i prossimi mesi dovrebbero individuare tutte le criticità e dare indicazioni di intervento precise e puntuali. Si va dunque dal potenziamento dei controlli all'ingresso sui biglietti e sui posti a sedere assegnati, fino allo stop alle scene, viste troppo spesso, dei giocatori sotto la curva costretti o a consegnare le maglie ai capi ultrà o a subirne gli insulti.In caso di mancato adeguamento potrebbe scattare il commissariamento.
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