José Luis Ledesma racconta i giorni oscuri della dittatura argentina: “Il potere non ama le persone che studiano e pensano”
“Credo che la prima domanda che un artista dovrebbe porsi sia: ‘che tipo di artista voglio essere?’”. A dirlo è Davide Dormino, artista visivo, scultore e docente presso la RUFA, l’Accademia delle belle arti di Roma (Rome University of Fine Arts), ospite durante l’ultimo appuntamento della rassegna culturale di OurVoice: “Resistenzə”. Dormino, noto per le sue opere che affrontano tematiche sociali e politiche, ha inaugurato a Berlino nel 2015 una delle sue opere più celebri, intitolata “Anything to Say?”. Una scultura itinerante in bronzo che raffigura tre persone in piedi su sedie: Julian Assange, Edward Snowden e Chelsea Manning, note per aver reso pubblici dei documenti riservati riguardanti violazioni dei diritti umani e abusi di potere da parte dei governi. Accanto a loro c’è una quarta sedia vuota, simbolo di un invito rivolto al pubblico a unirsi a loro, prendendo parte attiva nella difesa della verità e della libertà di espressione. “Io amo il mondo, l’essere umano e le sue contraddizioni - ha spiegato Dormino -. Nel caso specifico di Anything to Say?, le contraddizioni sono evidenti: tre persone che hanno sfidato il potere per mostrarci cosa accade alle nostre spalle. Credo che a smuovere le coscienze delle persone sia l’arte militante che va ad incidere nel stra immaginario”.
José Luis Ledesma
Tuttavia, l’arte nobile di Dormino non è l'unico esempio di genio creativo messo al servizio dell’impegno sociale. Anche la street artist campana Trisha Palma utilizza l’arte come strumento di impegno civile. “Tra le tematiche di cui mi sono occupata - ha spiegato Palma - c’è anche la Palestina, dove sono stata tre volte per dei campus di arte con bambini”. Tornata a Napoli, ha realizzato a Pianura, un quartiere della periferia napoletana, un murale che raffigura una bambina conosciuta a Betlemme mentre disegnava una bandiera palestinese. “Poco prima di arrivare qui da voi - ha proseguito - mi è stata inviata una foto in cui si vede che hanno rovinato il volto della bambina. In un primo momento ci sono rimasta male, poi ho capito che quel murale stava disturbando qualcuno. Credo che lo scopo dell’arte sia proprio questo - ha ribadito la street artist - dare fastidio, altrimenti è solo decorazione”.
Durante l’ultimo appuntamento di “Resistenzə”, ha portato il suo contributo anche José Luis Ledesma, il noto fotoreporter che ha documentato conflitti e crisi umanitarie, offrendo una narrazione visiva straordinaria capace di raccontare il disagio, l’ingiustizia e la violenza spesso ignorati dai media tradizionali.
“La dittatura teme la fotografia e tutte le arti visive - ha spiegato Ledesma -. Perché, negli anni, l’immagine, in tutte le sue forme, è stata il primo vero influencer nel mondo. La fotografia, in ogni epoca, ha sempre dato fastidio ai regimi totalitari”, ha sottolineato il fotoreporter che ha documentato anche la dittatura argentina durante il regime di Jorge Rafael Videla. Infatti, Ledesma ha vissuto in prima persona gli anni dei desaparecidos, le persone sequestrate, detenute illegalmente e fatte sparire durante le dittature militari in America Latina. “Ho documentato ciò che accadeva in Argentina. Ricordo quando ho fotografato una fucilazione durante gli anni della dittatura, ma il giornale per cui lavoravo fece passare quello che era chiaramente un’esecuzione come uno scontro a fuoco tra terroristi e forze di polizia”. Un’esperienza terribile, in cui spesso si trovava a lavorare fianco a fianco con colleghi che, in realtà, erano agenti dei servizi segreti.
Davide Dormino
“Per questo motivo, nel 1982 ho deciso di trasferirmi in un altro paese”. Il contesto in cui operava Ledesma era estremamente pericoloso. Le dittature agiscono in modo brutale e privo di una logica sana. “In Argentina, come oggi a Gaza con i bambini palestinesi, hanno ucciso tantissime persone, inclusi bambini che non avevano nulla a che fare con quel tipo di situazione. Persone scomparse senza motivo, magari solo perché studiavano o pensavano”.
Foto © Paolo Bassani
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