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Con le riforme Cartabia e Nordio, sulla giustizia siamo oltre il volere di B.

In un Paese distratto dallo scandalo Boccia-Sangiuliano, dall'arringa difensiva di Matteo Salvini (dopo la richiesta di condanna della Procura di Palermo nel processo Open Arms); dalle beghe interne al Movimento Cinque Stelle (con Giuseppe Conte e il "garante" Grillo che si scambiano accuse senza esclusione di colpi); dal tentativo di riconciliazione tra Matteo Renzi ed il Pd (nel silenzio-assenso della segretaria Elly Schlein?), avanza in maniera strisciante il piano d'assalto alla Costituzione.

A colpi di riforme della giustizia, con la scusa del garantismo, si cerca di truccare la partita apponendo variazioni di legge volte a colpire da una parte la libertà dell'informazione e dall'altra la magistratura.

Un progetto che è stato sviluppato ed affinato nel corso del tempo. Somministrato ai cittadini a "piccole dosi", producendo quel senso di assuefazione che fa sembrare normale ciò che normale non è.

Aspetto inquietante è che le riforme più recenti, Cartabia e Nordio, si sovrappongono ai principi sviluppati nel “Piano di rinascita democratica” della loggia massonica Propaganda 2 (P2).

Un documento che fu scritto probabilmente nel 1976 dal maestro venerabile Licio Gelli insieme ad alcuni “consulenti” esterni e che fu sequestrato nel 1982 all’aeroporto di Fiumicino nel doppiofondo della valigia di Maria Grazia Gelli, la figlia, che rientrava in Italia da Nizza.

Tra gli obiettivi vi era certamente la trasformazione del sistema politico di allora, attraverso l’istituzione di una dinamica bipartitica, una riforma costituzionale per la modifica delle competenze delle due Camere, nonché un forte controllo sui media e sull’informazione, e una riforma della magistratura.


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Licio Gelli

Verso l'oblio di Stato

La legge sulla presunzione d’innocenza, accompagnato dal diritto all'oblio, è stata la prima spallata all'informazione.

Un bavaglio dato alla stampa ma anche ai magistrati laddove gli unici a poter parlare di inchieste ed operazioni sono i procuratori con comunicati e raramente con conferenze stampa.

Così, nel 2025, rischia seriamente di essere compromesso non solo il futuro del giornalismo d'inchiesta, ma si mina anche quel diritto sacrosanto dei cittadini sancito dall'articolo 21 della nostra Costituzione.

Un diritto che va oltre la libertà di manifestazione del pensiero rilevando l'importanza del diritto di informare, cioè di trasmettere notizie agli altri, come diritto di informarsi, cioè di attingere informazioni da più fonti, e come diritto di essere informati.

In base a quella legge, che presto entrerà in vigore nel silenzio più totale dei media,  non si potranno fare nomi, né parlare nei dettagli dei reati senza una sentenza definitiva. E siccome il meccanismo dell’improcedibilità farà saltare metà dei processi, ecco che sparirà il racconto su centinaia di fatti che potranno anche non avere rilevanza sul piano penale, ma che certamente possono averla sul piano politico e sociale.

L'ultima "trovata" politica, approvata in Consiglio dei Ministri, è lo schema di decreto legislativo che esercita la delega al divieto della pubblicazione testuale delle ordinanze di custodia cautelare.

Trae spunto da un emendamento presentato dal deputato Enrico Costa, recentemente fuoriuscito da Azione per far ritorno in "Forza Italia" per cui il giornalista potrà redigere soltanto un breve riassunto del documento (fondamentale per comprendere le ragioni di un arresto e di un’indagine), con un evidente rischio di distorsione dei fatti.
Verrà discusso nelle Commissioni Giustizia della Camera e del Senaro, ma non ci saranno modifiche. Così il “bavaglio” entrerà nel codice penale sancendo un nuovo futuro per l’informazione giudiziaria sui "soliti" colletti bianchi.

Ad esso si aggiungono quei provvedimenti con forti limiti alla possibilità di pubblicazione delle intercettazioni, nonché le limitazioni date alla stessa magistratura.


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Enrico Costa

Prima la magistratura, poi la Costituzione

E' proprio su quest'ultimo piano che si gioca oggi la partita più dura.

Come ci ricordano svariati addetti ai lavori la separazione dei poteri e l’indipendenza di quello giudiziario da quello politico, attraverso un delicato equilibrio di assegnazione delle funzioni, è un caposaldo dell’ordinamento costituzionale democratico italiano.

Tuttavia oggi c'è una ferma volontà di Governo di limitare proprio l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Ed anche in questo caso ci sono fortissimi elementi di congiunzione con il piano di rinascita democratica, riproposto in parte da Silvio Berlusconi (numero di tessera P2, 1816), ma mai pienamente raggiunto sotto i suoi governi.

B. era pratico di campagne denigratorie e delegittimazioni mediatiche contro l'operato dei pm.

“Questi giudici sono doppiamente matti - sosteneva l'ex Cavaliere nel 2003 -. Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana".

Al tempo se ne discuteva in Aula e si vedeva tra i fautori anche l'ex capo dello Stato Francesco Cossiga.

Oltre vent'anni dopo, lo scorso marzo, il Governo ha approvato l'introduzione dei test psicoattitudinali per l’accesso alla professione di magistrato, per quei bandi pubblicati a partire dal 2026.

Come se non bastasse, poi, ecco il disegno di legge sulla separazione delle carriere tra pm e giudici, con tanto di divisione del Csm in due, che è in fase di discussione alla Camera.


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Francesco Cossiga

Il Guardasigilli Carlo Nordio, proseguendo sul solco già tracciato in precedenza dal suo predecessore, Marta Cartabia, ha da tempo fissato il prossimo obiettivo: la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale introducendo criteri di discrezionalità o di priorità nell'esercizio dell'azione penale.

L'abbattimento di uno dei massimi principi costituzionali per i magistrati viene reso più possibile dopo che il governo Draghi ha già dato al Parlamento la possibilità di dettare linee guida ai procuratori sulle priorità di indagine.

Nella riforma Cartabia si prevede che sia il Parlamento “per legge” a stabilire “criteri generali” che i procuratori devono “recepire” quando indicano le priorità di indagini con le circolari. Ed è il ministro della Giustizia, quindi il governo, a indicare al Parlamento i criteri da votare.

Cosa voleva la P2 di Gelli in materia di ordinamento giudiziario? Tra le altre cose proprio "la riforma del Consiglio Superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento" e la "responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull'operato del Pubblico Ministero”.

Due modifiche di tipo Costituzionale.

Ed è a questo che punta questo Governo: modificare la Costituzione.

Se a tutto ciò si aggiunge lo smantellamento costante delle normative antimafia (da ultimo è stato svilito l'istituto dei collaboratori di giustizia), nonché i continui limiti investigativi sui reati commessi contro la pubblica amministrazione (vedi abrogazione dell'abuso d'ufficio, il divieto di proroga delle intercettazioni dopo 45 giorni esclusi i casi di mafia e terrorismo, e limitare l'uso dei trojan) è evidente che sulla giustizia si stia superando ogni limite. Ben oltre gli indegni governi democristiani, socialisti, e berlusconiani.

Tornano in mente le parole di un magistrato (nonché libero pensatore) come Bruno Tinti, deceduto nel 2021) che di fronte ai bavagli all'informazione ed ai continui scandali avvisava:

"I cittadini non sapranno più nulla, i delinquenti che hanno infiltrato la politica a ogni livello si presenteranno con le mentite spoglie di brave e oneste persone. La classe dirigente perpetuerà se stessa senza controlli e senza resistenze. La parte sana di essa si ridurrà progressivamente. E l’Italia diventerà un paese senza legge e senza etica, sempre più povera e indifesa. Fino al disastro finale, fino alla bancarotta istituzionale ed economica".

Come dargli torto?

Elaborazione grafica di copertina by Paolo Bassani

Foto interne © Imagoeconomica

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